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L'APPROFONDIMENTO

di Giorgio Provinciali

eroi e assassini

20/6/2022

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Il 23 maggio scorso Vadim Shishimarin è il primo prigioniero di questa guerra ad essere processato  e condannato da un tribunale ordinario per i crimini commessi. Per ricordarne brevemente i misfatti,  il soldato russo in questione partecipa alla sanguinosa invasione di Chupakhivka, cittadina ucraina  nella regione di Sumy nord-orientale e, durante un momento di calma piatta, spara a sangue freddo  in testa a un anziano inerme che, in bicicletta, stava lentamente facendo ritorno a casa dalla moglie.  Gli eventi vedono il soldato catturato dall’Esercito ucraino durante la liberazione dei territori  occupati, processato da un Tribunale ordinario e condannato all’ergastolo. Nei salotti televisivi  italiani, ormai assuefatti alla propaganda buonista e non interventista, si alternano per almeno una  settimana critici d’arte, filosofi, ex corrispondenti in pensione e pacifinti di ogni confessione nell’intento di proporci un assassino per eroe. Vadim Shishimarin è un ragazzo di 21 anni mandato  in guerra, va capito, dicono. Poverino, ha eseguito un ordine. Soltanto il Generale Capitini, l’unico  interpellato in grado di potersi esprimere con piena cognizione di causa in materia militare, fa  sommessamente notare che l’ordine impartito al soldato russo rientra tra quelli contro l’individuo, la  persona, a cui lui avrebbe potuto sottrarsi.
Gli veniva chiesto di aprire il fuoco contro un civile inerme,  non contro un obiettivo militare. Oleksandr Shelipov, il sessantaduenne freddato dal ventenne con un  colpo in testa, muore. Poco più di due settimane dopo, vengono catturati Aiden Aslin e Shaun Pinner, soldati britannici arruolati come volontari nelle fila dell’esercito ucraino. Giudicati da un tribunale  russo improvvisato nella regione di Donetsk, vengono condannati a morte insieme a Saaudun Brahim,  cittadino marocchino. L’accusa è di “terrorismo”. Contro nessuno di loro non è stato addotto alcun  capo d’accusa di omicidio o efferato crimine particolare. Sono terroristi, come tutti quegli ucraini da  “denazificare”, e devono pagare con la vita. Inutile il tentativo di spiegare che, essendo regolarmente  arruolati presso i marines ucraini dovrebbero essere tutelati, come spetta ad ogni soldato, dalla  Convenzione di Ginevra. Oltretutto, Saaudun Brahim ha la cittadinanza ucraina. L’Agenzia Ria  Novosti riporta la notizia rendendo pubblici soltanto piccoli frammenti di quel procedimento che,  in nome di quella che definisce “giustizia”, metterà a morte queste tre persone. Nessun critico d’arte,  poeta, filosofo, inviato in pensione o blogger prestato al giornalismo grida allo scandalo. Nessuno,  questa volta, ci ricorda l’importanza del dubbio. Dubitare, dubitare sempre. Anche di Bucha. In  nome di quel dubbio alla base di tutta la propaganda filorussa in occidente, qualcuno qui da noi è  riuscito a voler vedere una dittatura in un vaccino, un liberatore in un dittatore, e un eroe in un  assassino. 
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