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L'APPROFONDIMENTO

di Giorgio Provinciali

Il blitzkrieg subìto

12/9/2022

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La controffensiva ucraina è un capolavoro di tattica militare moderna. Il silenzio assoluto imposto da Kyiv dopo l’ampiamente annunciata grande controffensiva per liberare Kherson ha permesso di cogliere di sorpresa gli invasori su più fronti, facendoli cadere in un tranello volto ad isolare dal conflitto quante più forze possibile, indotte a confluire in trappola come topolini. 25mila soldati russi e relativi mezzi sono ora bloccati sulla sponda ovest del Dnipr, incapaci di ricevere rifornimenti perché le vie d’accesso ai ponti Antonovskiy, ferroviario e di Nova Kakhovka sono state messe fuori uso dai colpi precisi degli Himars.
​Tecnicamente, questa manovra si chiama “fissaggio” e consiste nell’immobilizzare parte delle truppe nemiche, in tal caso molto consistente, isolandola e impedendone la fuga. L’attacco a Kherson è stato dispiegato su più fronti e ha sortito l’effetto desiderato: il Comando russo ha inviato i paracadutisti raccolti lungo tutto il fronte esattamente dove gli ucraini volevano riceverli per poi isolarli. Peraltro, il fatto che in prossimità di Kherson la sponda ovest del Dnipr sia molto più alta di quella est favorirà non poco gli ucraini, che una volta lì saranno in posizione dominante potendo attaccare senza esporsi. Fortemente sbilanciati per rispondere alla controffensiva su Kherson, che per portata lasciava intendere si sarebbe limitata lì, i russi hanno scoperto le aree occupate intorno a Kharkiv, che hanno visto le truppe gialloblù penetrare liberando più di 30 città e villaggi in pochi giorni. Il blitzkrieg non riuscito è stato invece subito dai russi: sono avanzate più le truppe di Kyiv in 3 giorni, che quelle di Mosca in 4 mesi. La 3a e 4a Brigata Corazzata, la 93a Brigata Meccanizzata e l’80a Brigata paracadutisti, cioè l’elite delle truppe ucraine, hanno inflitto in poche ore perdite spaventose e poi isolato l’eccellenza dell’armata russa, non un reparto qualsiasi: la 1a Armata Corazzata delle Guardie, fiore all’occhiello dell’esercito esibito più volte da Putin durante le parate sulla Piazza Rossa. Liberata Kupyansk, strategico crocevia dei rifornimenti russi, altre 10mila unità sono rimaste intrappolate di fronte alle milizie ucraine schierate ad ovest e a nord, ancora una volta con un fiume alle spalle, l’Oskyl, che non è attraversabile, e le paludi a sud. Annientato completamente, il 237° reggimento d'assalto aviotrasportato delle guardie d’elite non esiste più. Riprese Balakliya ed Izyum, gli ucraini sono alle porte di Lysychansk. La disfatta russa sul campo è schiacciante, epocale, spaventosa per numeri su unità di tempo: 2500 km2 persi solo a Karkhiv, 35.000 uomini fuori combattimento e quasi 50 villaggi liberati in pochi giorni neppure i media di regime riusciranno a nasconderli. Impresa compiuta grazie all’incrollabile valore di un popolo fatto esercito e al sostegno militare alleato, ma grazie alle sanzioni imposte da un Occidente unito, che hanno totalmente arrestato l’industria bellica russa inducendo l’aggressore ad acquistare munizioni da Corea del Nord e Iran perché impossibilitato a produrne. Che siano poi i migliori amici di Putin ad invocarne la rimozione è prova eloquente della loro efficacia.
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