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L'APPROFONDIMENTO

di Giorgio Provinciali

Il cavallo di Troia di Putin

2/8/2022

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La tensione è altissima in Kosovo. Nel tardo pomeriggio di domenica, alcune persone non ancora identificate hanno aperto il fuoco contro le guardie di frontiera kosovare.
Nelle ore seguenti, la mobilitazione è stata repentina su tutti i fronti: le forze “KFOR” della NATO sono state messe in stato di massima allerta. Dal termine del sanguinoso conflitto che nell’ultimo decennio del secolo scorso ha visto la Repubblica Federale di Jugoslavia dissolversi in molte realtà indipendenti, su risoluzione dell’ONU nella regione balcanica sono stanziati circa 5000 militari di 28 Paesi, coordinati dall’Alleanza Atlantica al fine di mantenere stabile la situazione finché le Forze di sicurezza del Kosovo istituite nel 2009 possano farlo autonomamente.
Il Kosovo, la cui indipendenza dalla Serbia è riconosciuta da 98 Stati membri dell’ONU su 193 e 22 Paesi UE su 27, avrebbe imposto dal 1° agosto ai propri cittadini l’utilizzo di documenti e targhe automobilistiche diverse da quelle serbe. Provvedimento annunciato con molto preavviso ma maldigerito dal 5% di minoranza serba che vive lì.
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Dopo ore di tensione altissima, nelle quali la mobilitazione generale lasciava riaffiorare ostilità mai sopite, il Premier kosovaro Albin Kurti ha seguito il consiglio dell’ambasciatore americano a Pristina Jeffrey Hovenier di posticipare di 30 giorni l’entrata in vigore del provvedimento di cui sopra.

Sebbene entrambi i Paesi abbiano fatto richiesta d’ingresso nella UE, il sentimento antieuroatlantista in Serbia è altissimo: secondo Bloomberg, il 91% è categoricamente contrario all’ingresso del proprio Paese nella NATO e il 52% lo è relativamente a quello nell’UE. Il 72% si dichiara contrario alle sanzioni contro la Federazione Russa, quasi il 50% imputa alla bramosia d’espansione verso est della NATO le ragioni del conflitto russo-ucraino e in egual misura giustifica la necessità di “denazificare” e smilitarizzare dell’Ucraina.

Lo stesso termine è stato drammaticamente usato ieri su Twitter da Vladimir Dukanovic, membro dell’assemblea nazionale serba secondo cui: “La Serbia sarà costretta a iniziare una denazificazione dei Balcani”.
Eloquente la risposta di Oleksiy Goncharenko, membro del Parlamento ucraino: “Se la Serbia invade il Kosovo, noi dovremmo difendere il Kosovo. L’Ucraina è pronta ad agire sul campo con le proprie truppe. La Serbia sta cercando l’aggessione secondo il metodo putiniano, perché la Serbia è il cavallo di Troia in Europa di Putin”.

Il Presidente serbo Vucic, da sempre in ottimi rapporti con il Cremlino, Pechino e la Destra italiana, parla di fianco ad un’immagine che ritrae anche il territorio kosovaro coperto dalla bandiera serba, ricordando che la risposta del suo esercito ad eventuali provocazioni sarà immediata e risoluta. Parole già sentite in tempi recenti e non sospetti.

Orbàn, Vucic, Meloni, Salvini, Berlusconi, Le Pen: più volte si sono sostenuti l’un l’altro e i loro Partiti hanno in comune tratti programmatici perfettamente allineati. Molti di loro hanno condiviso simpatie particolari nei confronti di Putin. La Lega di Salvini è tuttora curiosamente ed inspiegabilmente gemellata con Russia Unita, il Partito cui fa capo il dittatore russo. Berlusconi è tornato dalla Crimea sostenendone la regolare annessione alla Federazione Russa a seguito di un referendum che ritiene attendibile, mentre la pressoché totalità dei Paesi occidentali e tutta la NATO (di cui si ritiene fedele sostenitore) lo rifiutano categoricamente. Per non ricordare gli infiniti sproloqui in cui molti di loro hanno tessuto le lodi del criminale di guerra numero uno al mondo, in questo momento.
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Le posizioni di Vucic ed Orbàn, apertamente rivolte verso il Cremlino potrebbero rivelarsi molto pericolose per la stabilità dell’Europa dell’Est. Quella giunta dai Balcani potrebbe essere la prima avvisaglia di un conflitto tra due mondi diametralmente opposti ormai degenerato e difficilmente contenibile. Se il seme dell’odio antieuroatlantico (e non solo) riuscisse ad instillarsi ulteriormente ad occidente, potrebbe essere l’inizio della fine. Dobbiamo ricordarcene finché siamo in tempo e ci è consentito esprimere democraticamente posizioni lontane da quelle che si stanno rivelando tragicamente azzardate.
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