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Camilla MussiGiovani Reporter Negli ultimi anni in Corea del Sud ci sono sempre più proteste condotte da movimenti femministi che denunciano gli abusi subiti dalle donne coreane in vari ambiti, da quello lavorativo a quello domestico, e persino a quello relazionale. Inoltre, tutti i movimenti, anche se con diverse modalità, rivendicano per tutte le donne numerosi diritti che in Corea del Sud non sono garantiti. Un problema di genere Come sollevato di recente dai movimenti nati dal femminismo e come riportato dall’Atlantic, i problemi delle donne coreane sono molto numerosi. Sul piano lavorativo, prima che su tutto il resto, c’è un grande divario salariale tra uomini e donne, le quali guadagnerebbero il 30% in meno dei colleghi. La Corea è un Paese in cui ancora i ruoli di genere restano ben definiti, e su molti aspetti ha una società conservatrice e patriarcale. Nonostante le donne abbiano la possibilità di studiare anche a livello universitario e costruirsi una carriera, ci si aspetta che la loro ambizione più grande sia quella di realizzarsi in ambito domestico come mogli e madri. Dunque, le donne si trovano spesso intrappolate in matrimoni dove le responsabilità familiari sono quasi interamente a loro carico. Dove poter essere sicure?
Un altro grande problema nelle famiglie coreane è la violenza domestica aggravata dall’abuso di alcool; secondo uno studio condotto dal governo coreano su un campione di settemila donne, il 16% – circa 1.124 donne – ha dichiarato di aver subito violenza di tipo fisico, sessuale e psicologico da parte di mariti o partner. Inoltre, le donne in Corea del Sud non possono nemmeno utilizzare i bagni pubblici senza correre il rischio di essere riprese da telecamere nascoste. Le immagini poi potrebbero essere diffuse su piattaforme online senza che la vittima possa avere voce in capitolo. "My bf illegally filmed me after I got out of shower in a motel. I can’t get it out of my mind. I feel so ashamed and guilty. […] If I press charges to the police will I know the status of the investigation?" - Una ragazza su Naver, 7 giugno 2022. Tutta questa situazione rende la Corea del Sud un Paese in cui per le donne è impossibile sentirsi al sicuro e al riparo da eventuali violenze o dalla diffusione di immagini private. Questo anche perché le autorità coreane non sembrano affatto intenzionate ad affrontare seriamente il problema e spesso gli uomini che diffondono video o foto private vengono semplicemente assolti o se la cavano con una multa. I movimenti femministi A fronte di questa situazione, nel corso degli anni i movimenti femministi in Corea hanno ottenuto molta visibilità e sulla scorta del #metoo hanno organizzato proteste di grande portata contro le forme della violenza maschile reclamando a gran voce i propri diritti. Una grande conquista delle femministe nel Paese è stata l’ottenimento nel 2021 dell’interruzione volontaria di gravidanza, vietata dal 1953. Nel 2018 ha riscosso grande successo il movimento “Escape the corset ” che invita le donne a rifiutare gli standard di bellezza imposti dalla società. Le donne coreane che seguono questo nuovo modello di femminismo, tagliandosi i capelli (come le donne iraniane) e rifiutando l’utilizzo del make-up, si sottraggono al controllo maschile del loro aspetto fisico e sfuggono ai canoni di desiderabilità. Tuttavia, il grande successo di questi movimenti ha portato con sé anche una grande ondata di malcontento e di odio, di cui si sono fatti portavoce non solo i giovani uomini coreani ma anche i rappresentati dei partiti politici che hanno fatto dell’antifemminismo il loro cavallo di battaglia durante le recenti campagne elettorali. I movimenti antifemministi Ma da dove deriva tutto questo odio verso i movimenti che rivendicano i diritti delle donne? A partire dal 2013 il numero delle iscrizioni universitarie delle donne ha superato quello degli uomini; ad oggi circa 3/4 delle donne coreane accedono ad un’istruzione superiore a differenza dei 2/3 degli uomini. Ora che le donne possono aspirare alle poche posizioni di rilievo, i loro coetanei maschi le percepiscono come una minaccia. È proprio per questo motivo che cercherebbero di limitarle e ostacolarle. Tra il 2014 e il 2015 ha preso sempre più piede un movimento chiamato “Ilbe”, che promuove istanze misogine e antifemministe. Secondo il loro pensiero, le donne, già privilegiate perché esenti dal servizio militare, chiederebbero ulteriori diritti e minerebbero al tempo stesso quelli degli uomini. Qualcuno dovrebbe spiegargli che il femminismo non cerca di privare gli uomini dei loro diritti, ma ne mette solo in evidenza i privilegi derivati da una società patriarcale. Tuttavia, l’antifemminismo e la misoginia non sono solo presenti nei movimenti di cittadini comuni: lo sono anche, in maniera preoccupante, nelle campagne politiche della Corea del Sud. Lo stesso presidente Yoon Suk-yeol ha strizzato l’occhio agli elettori antifemministi con la proposta di abolire il ministero per l’Uguaglianza di genere e la Famiglia, incolpando i movimenti femministi della bassa natalità nel Paese. La bassa natalità Il basso tasso di natalità in Corea sembra preoccupare moltissimo. A partire dal 2015 il tasso di fecondità ha iniziato bruscamente a scendere passando da un valore di 1,2 a uno di 0,8 (2021). Il Governo, determinato a risolvere il problema, ha deciso di diffondere online una mappa, la National Birth Map, che mostra il numero di donne in età fertile nelle varie aree del Paese così da rendere chiare le proprie aspettative nei confronti di tutte le cittadine coreane. Un atto grave sia perché viola la privacy di tutte le donne, sia perché le considera come utili solo alla riproduzione. L’indignazione delle donne coreane è sfociata online con numerose proteste e risposte pungenti. La bassa natalità in Corea è da ricondurre alla storia della nazione. Nella seconda metà del Novecento, il Paese è stato protagonista di una rapida trasformazione cha lo ha condotto, dopo la Guerra di Corea, da un’economia prevalentemente agricola ad una industriale. Come accade nelle transizioni demografiche, all’industrializzazione segue l’inurbamento della popolazione che si sposta in numeri sempre maggiore verso i centri industriali. Ciò porta con sé tutta una serie di cambiamenti sociali che ritardano la nuzialità e abbassano i tassi di fecondità. Uno sguardo al movimento delle 4B Il movimento delle 4B nasce dalla forte volontà di riscatto delle donne coreane che, per protesta, si tagliano i capelli e indossano abiti maschili. Questo movimento prende il proprio nome da quattro parole coreane che iniziano con la sillaba bi- con l’intento di contestarle: Bihon Il rifiuto del matrimonio (grandissimo atto di sfida poiché sfida uno dei pilastri della società coreana). Bichulsan Il rifiuto del parto e di conseguenza della maternità; un vero e proprio schiaffo alla società e al governo coreani che vedono la donna come realizzata solo nel ruolo di madre. Biyeonae Il rifiuto delle donne alle relazioni amorose con gli uomini, per evitare tutti gli abusi fisici e le violenze ma anche riprese senza consenso di rapporti sessuali. Bisekseu Il rifiuto di avere rapporti sessuali con gli uomini. Un movimento troppo estremo? Per molte attiviste del 4B attenersi a questi principi rappresenterebbe l’unica possibilità per vivere libere da violenze e costrizioni. Questo pensiero rivela la convinzione che gli uomini siano “irrecuperabili” e che la società coreana non abbia alcuna speranza di progredire. Le domande sorgono spontanee: il movimento delle 4B è davvero progressista? Oppure, un femminismo di questo tipo riflette semplicemente il malcontento delle donne coreane estremizzandone i comportamenti? Un movimento che propone rifiuti tanto netti sarà in grado di evolversi senza sfociare nel cosiddetto nazi-femminismo? Infine, nella lotta per la parità di genere non sarebbe opportuno includere anche la componente maschile, educarla a nuovi principi invece che tagliarla fuori? Da sempre alle donne viene ripetuto di fare attenzione, di non uscire da sole la sera e di vestirsi in maniera poco appariscente. Tutti questi accorgimenti dovrebbero, in teoria, proteggere le donne, ma in realtà servono a poco. Dobbiamo dunque andare alla radice del problema: il sistema patriarcale. Proprio questo sistema giustifica i comportamenti violenti e aggressivi degli uomini nei confronti delle donne, colpevolizzando le vittime al posto dei veri responsabili. Proprio per questo motivo la soluzione del problema dovrebbe passare attraverso l’educazione delle nuove generazioni e la rieducazione di quelle più vecchie.
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