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Black friday: quando il nero scende su lavoro ed ambiente

26/11/2022

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Cosimo Gagliani

Giovane Avanti! Milano

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Oggi è il Cyber monday, il lunedì di sconti e offerte successivo al Black friday, fenomeno sociale nato negli Stati Uniti d’America e diventato ormai di respiro internazionale a partire dai primi anni 2000.
Come tradizione transoceanica vuole, il “venerdì nero” è il venerdì successivo al Giorno del Ringraziamento statunitense che si celebra il quarto lunedì del mese di novembre.
È incerta l’etimologia del termine ma l’ipotesi più accreditata sembra essere quella legata al colore dell’inchiostro usato per scrivere sui registri contabili delle botteghe artigiane: l’inchiostro rosso veniva usato per registrare le perdite, quello nero per registrare i guadagni. Il calendario indica che con il periodo successivo al Ringraziamento si apre il periodo, della durata di circa un mese, solitamente dedicato allo shopping natalizio. È plausibile, quindi, che dal Ringraziamento fino a fine anno le attività commerciali segnassero un sostanziale aumento dei guadagni e quindi dal quel momento in poi iniziassero ad usare il calamaio nero.
​Il Black Friday, in Italia, è un fenomeno sociale che non ha profonde radici culturali come negli States ma da ormai due decenni è un fenomeno  assodato.
Se analizziamo un po’ i numeri, possiamo notare come questo fenomeno sia sempre più persistente e non sembra subire batture d’arresto anche di fronte a stagnazioni economiche, inflazione e diminuzione del potere d’acquisto. 
Secondo i dati del Sole 24 Ore e di AGI, nell’anno 2021 gli italiani per la giornata del Black Friday e per il più recente fenomeno spin-off del Cyber Monday (giornata dedicata agli sconti per beni informatici che si celebra il lunedì successivo al Black Friday), hanno speso complessivamente 3 miliardi di euro. Di questi, secondo i dati raccolti da una ricerca dell’Osservatorio e-commerce B2c Netcomm del Politecnico di Milano, 1,8 miliardi di euro provengono da acquisto online, con un incremento del 21% rispetto al 2020. Sempre nell’e-commerce, dal 2018 ad oggi il fatturato segna una crescita costante di circa il 20 punti percentuali, tranne nel 2020 quando la crescita è stata “solo” del 15%, probabilmente complice un sentimento di incertezza economica dovuto alla pandemia da COVID-19 che ha influito negativamente sul portafoglio.
Quest’anno, nonostante le non rosee previsioni economiche e la galoppante inflazione, secondo le stime di Confesercenti 12,7 milioni di italiani hanno deciso di fare acquisti durante il Black Friday per un fatturato previsto di 3,3 milioni a conferma di quel tasso di crescita che persiste negli anni.
I prodotti più acquistati dovrebbero essere quelli inerenti a vestiario e accessori moda che interesseranno circa il 50% dei consumatori, a pari passo i prodotti informatici; a seguire elettrodomestici e prodotti per la casa con il 41% e giocattoli con il 9%.

Tali dati danno evidenza della futilità della maggior parte degli acquisti che siamo portati a fare.
Vestiti a parte che potrebbero essere considerati beni di prima necessità, il resto sono spesso acquisti “utili” ad appagare il proprio ego.  Acquisti fatti d’impulso, inutili, ridondanti, non realmente convenienti.
Al giorno d’oggi si acquista non più per reale bisogno ma per essere al passo con la società dell’apparire dove ostentare sui social network un tenore di vita che non è quello che realmente si può sostenere è il primo comandamento dell’unica religione ammessa: la devozione al dio denaro.
Una società dove l’acquirente è contento se consuma irrefrenabilmente ed il commerciante è contento se guadagna indiscriminatamente, è una società malata. 

Fenomeni come quello del Black Friday ci fanno prendere coscienza del fatto che oggigiorno si è persa quella storiografia romantica che fa ancora caso al colore dell’inchiostro usato per compilare i registri contabili e che tanto ci racconta di una società dove consumatore e piccolo commerciante legavano l’un l’antro il destino delle proprie esistenze.
Se da una parte il consumatore, dopo un anno di sacrifici e fatiche lavorative, era ben contento di ritornare a spendere in preparazione delle festività natalizie, dall’altra parte l’artigiano era ben contento di elargire piccoli sconti di cortesia anche a costo di sporcarsi i manicotti con inchiostro nero.
Nella società consumistica moderna in cui viviamo ciò che interessa al consumatore è l’opportunità di  accaparrarsi il tanto desiderato bene di consumo a prezzi scontati, mentre al commerciante interessa solo fatturare (in alcuni casi anche speculando). Si è perso quel lato umano e sociale del commercio, fatto di scambio al baratto prima e del commercio più strutturato dopo. Si è persa quella collettività che nel sano commercio vedeva un collettivo progresso economico e sociale di una comunità.
Nella algida e razionale società capitalista, di terze parti che “pagano il prezzo mancante” di una scontistica particolarmente “aggressiva” non importa più né al consumatore e né al commerciante.
 
Potremmo anche avere armadi pieni di abiti che non usiamo, apparecchi elettronici che prendono polvere in cantina, comprare anche l’impossibile, ma a quale prezzo?

In giornate come quella del Black Friday a pagare quel prezzo latente sono i lavoratori delle attività di consumo al dettaglio.
Durante i super sconti del venerdì nero, si stima che gli incassi per un negozio possano arrivare ad essere 6 o 8 volte maggiori rispetto a quelli di una normale giornata lavorativa. Un extra ricavo che non si traduce maggiorazioni salariali per gli addetti vendita, sempre uguali nel numero ma obbligati a sopportare un carico di lavoro più che triplicato ma concentrato in una sola giornata lavorativa. E spesso di nero non c’è solo il nome: tanti lavoratori vengono assoldati senza contratto nei retrobottega; magazzinieri che lavorano a chiamata e passano tutta la giornata a rifornire l’area vendita lontano controlli e da occhi indiscreti.
Non se la passano meglio i dipendenti dell’e-commerce come i corrieri che lavorano per le grandi piattaforme tra le quali Amazon. Nei giorni immediatamente successivi al Black Friday, le corse per la consegna dei pacchi si moltiplicano sensibilmente e livelli di stress elevato ed eventuali incidenti stradali sembrano essere un rischio calcolato dall’azienda.

Non è da trascurabile anche il costo ambientale occulto dietro ad ogni acquisto smodato.
Ad esempio, nell’industria tessile, una maglietta per essere prodotta richiede mediamente 2.700 litri d'acqua, mentre per un paio di jeans si sfiorano i 10 mila litri, utilizzando soprattutto fibre e coloranti sintetici. Spesso le linee di produzione di questi prodotti sono collocate in Paesi dove non vengono rispettate le basilari norme di sicurezza ambientale.
Non sono d’aiuto per l’ambiente le scellerate modalità di gestione e vendita dei prodotti di abbigliamento da parte di colossi come Primark e la piattaforma e-commerce cinese SHEIN la cui politica aziendale prevede l’incenerimento dei prodotti nuovi non venduti al termine delle collezioni stagionali.
Anche l’industria elettronica ha un impatto ecologico non indifferente. L’estrazione e l’approvvigionamento di metalli pregiati e terre rare per la produzione di microprocessori e conduttori, presentano un salato costo ambientale nella realizzazione finale dei devices che tutti noi usiamo quotidianamente. La rapida obsolescenza causata da un tecnologia che si evolve e si rinnova quasi annualmente, ci deve far riflettere anche sull’inquinamento provocato dallo smaltimento dei materiali elettronici e delle plastiche che compongono la parte hardware della maggioranza dei dispositivi.
Se a ciò sommiamo anche i “normali” costi energetici di produzione e l’inquinamento dovuto al loro trasposto, possiamo già farci una vaga ma realistica idea dell’impatto ambientale a carico dell’industria manifatturiera.

Strategie di vendita come quella del Black Friday che incentivano ad acquistare anche il superfluo, non sono sostenibili ecologicamente e socialmente.
Una collettiva presa di coscienza delle dinamiche di sfruttamento lavorativo e dell’impatto ecologico che si celano dietro questo tipo di fenomeni consumistici, aiuterebbero il consumatore ad acquistare consapevolmente, comprando in modo più selettivo e tenendo d'occhio le condizioni ecologiche e sociali di produzione dei prodotti messi nel carrello della spesa.
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