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23/3/2023

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Giorgio Provinciali

Giovane Avanti!


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​​Sul numero di settembre abbiamo descritto “le radici dell’inganno” grazie al quale, avendone ereditato ingiustamente la posizione dall’URSS, la Federazione Russa tuttora è un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU con facoltà d’esercitare il proprio diritto di veto. Abbiamo spiegato come mai Putin sostanzialmente non possa chiamarla altrimenti se non “Operazione Militare Speciale”, perché qualora dichiarasse guerra all’Ucraina contravvenendo palesemente alla Carta delle Nazioni Unite, la Federazione perderebbe quel diritto di veto (rubato) che le consente di bloccare ogni risoluzione atta a fermare il ricatto nucleare, della fame, del freddo e del buio con cui perpetra i peggiori crimini contro l’umanità. Nonostante il Parlamento Europeo l’abbia designata come “Stato sponsor del terrorismo”, il prossimo primo del mese (e per tutti i 30 giorni successivi) la Federazione Russa presiederà nuovamente il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Non è un pesce d’aprile, ma una triste realtà. Significa che, neppure di fronte a palesi e reiterate minacce alla pace e più di 60mila crimini contro l’umanità denunciati al Tribunale dell’Aia (e alcune condanne) nel solo ultimo anno, l’Organizzazione intergovernativa più importante del mondo non è riuscita neppure a sospendere il diritto di veto del Paese che le ha provocate.
Identificando nuovamente la Federazione Russa con l’URSS, Putin ha recentemente reiterato quella grande menzogna evocando il concetto di “fortezza assediata” e lo spirito patriottico che consentì ai russi di non soccombere alla minaccia nazista neppure dopo 900 giorni d’isolamento e 1 milione di morti. Durante l’ultimo discorso tenuto a San Pietroburgo, Putin ha esortato i russi al sacrificio collettivo contro una nuova minaccia nazista proveniente ancora da Occidente. Il 23 gennaio di 2 anni prima la Duma di Stato russa adottava in prima misura un disegno di legge promosso proprio da Putin secondo cui la Federazione Russa sarebbe “il successore legale dell’Urss sul proprio territorio, nonché per quanto concerne l’appartenenza a organizzazioni e la partecipazione a trattati internazionali e gli obblighi e beni dell’Urss al di fuori della Federazione Russa da essi previsti”. Se circa la discutibile legittimità della posizione ereditata all’Onu abbiamo già trattato, la questione legata ai beni e debiti sovietici merita un doveroso approfondimento perché sta alla base delle annose problematiche nelle relazioni russo-ucraine sin dal crollo dell’Unione Sovietica. Quando l’8 dicembre 1991 l’URSS cessò d’esistere come soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica, i leader dei Paesi ex-costituenti convennero che il 61,34% delle partecipazioni estere dell’URSS (incluso il suo debito) sarebbe spettato alla Federazione Russa, il 16,37% all’Ucraina e il restante 22,29% sarebbe stato distribuito proporzionalmente tra le altre ex-Repubbliche sovietiche. Facendo leva sulle difficili condizioni economiche in cui versavano queste ultime, Mosca propose loro di acquisirne l’intera quota facendosi carico dei relativi debiti. La stessa “proposta che non si può rifiutare” venne fatta all’Ucraina, che però non accettò mai quell’offerta. Le posizioni tra i due Paesi restarono molto distanti, tanto che i Presidenti Kravchuk (Ucraina) ed Eltsin (Federazione Russa) raggiunsero solo l’anno successivo un accordo legato esclusivamente alla spartizione della flotta ex-sovietica nel Mar Nero. L’Ucraina respinse in seguito una seconda identica proposta russa relativa alla cessione dei propri beni e debiti esteri, rincarando la dose con il Presidente Kuchma che esigé dal Cremlino l’inventario completo degli altri beni sovietici all’estero includendone composizione, dimensioni e valore di mercato delle riserve auree e di diamanti. La Federazione Russa non diede mai seguito a tale richiesta, e nel 1997 mutò addirittura la proposta in pretesa. Esaurito il percorso negoziale, nel 2001 l’Ucraina intentò una causa contro la Federazione Russa presso l’Alta Corte di Giustizia di Londra, che di fatto contribuì a congelare il contenzioso. All’ennesima richiesta di avere un elenco dettagliato dei propri beni e debiti all’estero, fatta dal Presidente Yushchenko nel 2005, Mosca replicò con un’azione unilaterale radicale: saldandone i debiti, rilevò de facto tutte le proprietà immobiliari estere dell’ex-Urss, privando l’Ucraina della propria parte. Siglando con Medvedev l’incostituzionale “Patto di Kharkiv” con cui autorizzava l’ingresso di migliaia di soldati russi su suolo ucraino diretti alla base di Sebastopoli, Yanukovich (Presidente filorusso ucraino poi fuggito in Russia a seguito dell’Euromaidan), diede la definitiva spallata ai rapporti tra i due Paesi perché oltre ai beni, nel 2014, la Federazione Russa finì per s’impossessarsi con la forza della Crimea e di parte del Donbass. Nel 2020 Putin rivendicò “tutto ciò che è suo”, senza che la Verkhovna Rada avesse mai ratificato alcuna successione legale. Nel 2022 dichiarò unilateralmente (come descritto sopra) “La Federazione Russa erede dell’URSS”. Ancora una volta, con atteggiamento mafioso e criminale la Federazione Russa s’impossessò di ciò che non le spettava, esacerbando unilateralmente le tensioni con Kyiv sino al punto di non ritorno che tutti quanti ormai conosciamo.
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