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“Bonus mamme lavoratrici”: una mano dà, una mano toglie

5/4/2024

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di Marta Pietrosanto

Con la Legge di Bilancio si affaccia sul panorama della normativa in favore delle famiglie una nuova misura denominata “bonus madri lavoratrici”. Iniziamo subito col dare il nome giusto alle cose: più che di un bonus, si tratta di un esonero contributivo che va a tagliare i contributi previdenziali dalle buste paga delle madri lavoratrici. Non c’è quindi, una vera concessione di denaro, come nel caso dei bonus, ma più che altro, uno sgravio delle trattenute. Chiamarlo "bonus madri lavoratrici" sembra essere una chiara scelta politica: quella di dimostrare l’attenzione del Governo alle ingenti difficoltà che devono affrontare le famiglie nella gestione coordinata di prole e lavoro, così come la conduzione delle risorse economiche nell’amministrazione e nella crescita dei figli. Ma è davvero così? Andiamo ad analizzare quali sono le madri lavoratrici che riceveranno questo taglio delle trattenute. La platea è composta da lavoratrici a tempo indeterminato, madri di almeno due figli, di cui uno minore di dieci anni, per l’anno 2024, mentre nel biennio 2025-26, per vedersi assegnata la misura, si dovrà essere madri di almeno tre figli, di cui uno almeno minore di 18 anni. 
A primo impatto, si potrebbe pensare che sia intenzione seria di questo Governo prendere di petto il problema del bilanciamento tra cura dei figli e lavoro, difficoltà che tante donne si trovano ad affrontare. Si registra infatti il record, nel solo anno 2022, di 44.669 (dati Ispettorato del lavoro) donne che si sono dimesse dal loro impiego perché impossibile da conciliare con la cura della prole. Il 63% delle mamme dimissionarie ha motivato la scelta dell’abbandono del lavoro sottolineando l’impossibilità della gestione coordinata di cura dei figli e impiego. Il 78,9% degli uomini dimissionari, invece, adducono come motivazione il cambio di azienda. E se i numeri non mentono mai, emerge chiaramente quanto nel Belpaese risulti ancora molto complicato per le donne poter mantenere il loro lavoro quando diventano madri. I problemi sono molteplici: scarsi posti negli asili pubblici con conseguenti graduatorie infinite e scoraggianti, rate alte e dispendiose per asili e scuole private, ultimo rifugio per coloro che non si vedono accettati i figli negli istituti pubblici, poca flessibilità delle aziende in favore dei genitori, mancata concessione del contratto part-time ai genitori che lo richiedono, congedi parentali e per malattia bambino limitati. Per chi non lo sapesse, la legge 1204 del 1971, prevede che siano concessi, per assistere un figlio ammalato di età compresa tra i 3 e gli 8 anni, solo 5 giorni annui di congedo che uno dei due genitori può utilizzare. 
Ma torniamo all’oggetto principale del nostro discorso, il bonus madri lavoratrici: come già detto la misura è rivolta alle madri lavoratrici A TEMPO INDETERMINATO. In uno Stato in cui tra il 2013 e il 2022 si è segnato il record europeo di aumento di incidenza dei lavori a tempo determinato (+3,4%) si assegna un aiuto economico alle madri lavoratrici solo se in possesso di un contratto stabile, lasciando indietro quindi le madri precarie, con lavori stagionali, a tempo determinato, intermittenti, quelle che sono costrette a lasciare il lavoro perché incompatibile con la cura dei figli, le disoccupate. Altre madri lavoratrici escluse dalla misura sono le lavoratrici domestiche, così come le madri single di un solo figlio. È a dir poco surreale pensare di poter istituire una misura in aiuto delle mamme che lavorano lasciando fuori quelle che svolgono lavori instabili e spesso malpagati. Impossibile non pensare all’articolo tre della Costituzione che mi fa piacere ricordare “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione di opinioni politiche di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

Altro problema che il Governo sembra voler dare l’intenzione di affrontare è quello del crollo fisso e continuo della natalità nel nostro Paese. Dai dati forniti dal censimento Istat 2022, emerge che l'età media degli italiani è salita a 46,4 anni e che abbiamo raggiunto un ulteriore record negativo per la natalità, con 393 mila nati, 7 mila in meno rispetto al 2021 (-1,7%) e ben 183 mila in meno (-31,8%) rispetto al 2008. In un Paese che invecchia a velocità costante, in cui per ogni bambino con meno di sei anni si attesta la presenza di oltre 5 anziani (5,6), quando nel 1971 si contava un anziano per ogni bambino e che per la prima volta nel 2023 è sceso sotto i 59 milioni di residenti, il governo ha pensato di mettere un cerotto su un’emorragia inserendo nella legge di bilancio il bonus madri lavoratrici. 

A questo punto è opportuna una riflessione su cosa vogliono le giovani coppie italiane.  Potrebbe sembrare che non siano interessate a mettere al mondo dei figli, probabilmente per molte è così, influiscono sicuramente sulla decisione le riflessioni sul futuro attanagliato dalla crisi climatica, guerre ed inflazione, solo per citare alcuni tra i problemi maggiori. Sappiamo infatti da studi su campioni di italiani ed italiane appartenenti alla gen Z ed ai millenials, che queste tematiche sono molto importanti e che questi vorrebbero vederle comparire di più nell’agenda politica. Esiste però un altro dato interessante, uno studio sviluppato in venti nazioni dalle demografe Eva Beaujouan e Caroline Berghammer. Esse hanno confrontato la differenza fra i figli desiderati (le intenzioni di fertilità) e quelli effettivamente avuti. Dallo studio emerge che in Italia il numero dei figli dati alla luce è notevolmente inferiore a quelli desiderati, arrivando persino a coppie che spesso non hanno avuto alcun figlio. Le donne italiane dichiarano di volere circa 2,1 figli, un numero in linea con la media delle altre nazioni analizzate nello studio, ma la forbice tra sogno e realtà è molto ampia; infatti, il numero di figli effettivamente avuti è 1,4. Appurato quindi, grazie a questo studio, che esistono ancora tante persone desiderose di avere prole, la domanda da porsi è come mai esiste questo fertility gap, così si chiama questo fenomeno. Le coppie italiane vorrebbero dei figli ma non riescono ad averne, spesso in attesa del lavoro stabile lasciano passare troppo tempo, in tanti casi l’indipendenza economica arriva in età avanzata, a volte, troppe, le possibilità economiche non consentono di mettere al mondo dei figli. 
Sarebbero opportune, quindi, politiche che possano far sentire i giovani e le giovani più fiduciosi nel futuro, tagli al lavoro precario, diminuzione dei contratti a tempo determinato, un limite ai contratti stagionali che dal DL 81/2015 possono essere illimitati. Potrebbe anche essere utile fornire incentivi alle coppie che vogliono accedere alla procreazione assistita, aumentare i centri pubblici che se ne occupano permettendo alle coppie provenienti da tutte le fasce economiche della società di accedervi. Si potrebbe anche aumentare il numero di giorni di congedo parentale, attualmente sono previsti 9 mesi indennizzati, di cui il primo all’80%, il secondo, per introduzione del DL Bilancio anche all’80% e i restanti al 30%, da fruire in maniera ben strutturata tra madre e padre fino a 12 anni del figlio/a. Si potrebbero aumentare i giorni di congedo di paternità obbligatoria, attualmente 10, da fruire entro i 5 mesi del figlio, indennizzati al 100%. Potrebbero essere persino elevati i giorni di congedo per assistere un figlio in caso di malattia. Dai giovani e dalle giovani italiane arriva un grido molto forte, invece di creare strampalate politiche che dovrebbero chissà come incentivare a volere figli, senza rispettare la volontà di chi non li vuole, perché ogni scelta è legittima, si chiede di investire in politiche che permettano a chi li desidera di mettere al mondo i figli che vorrebbe, perché ha la possibilità di farlo, l’opportunità di dar loro il tempo di crescerli, di seguirli, di partecipare alle loro recite, di andarli a prendere a scuola, la capacità di tornare a credere nel futuro abbastanza da sentirsi pronti a mettere al mondo un figlio. 

Nel frattempo, nel DDL bilancio, lo stesso che contiene il "bonus madri lavoratrici", il Governo Meloni riporta l’Iva dal 5% al 10% su assorbenti, latte in polvere o liquido per l'alimentazione dei lattanti o dei bambini nella prima infanzia, preparazioni per l'alimentazione dei fanciulli, pannolini per bambini.
Una mano dà, una mano toglie.
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