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Cheeseburger e Perestrojka: storia del McDonald’s russo, dal primo all’ultimo, recente, morso31/1/2023 Cosimo GaglianiGiovane Avanti! Lombardia Il 31 gennaio 1990 nella sovietica Mosca c’era una lunga fila di persone. Niente di rilevante, potreste pensare. Ma quel giorno non era la solita fila in Piazza Rossa per omaggiare Lenin nel suo mausoleo funebre; non era neanche la solita fila per i razionamenti di zucchero e thè voluta dal governo sovietico. Il 31 gennaio 1990 in piazza Pushkin, a tre isolati dalle torri del Cremlino, c’era la fila perché veniva inaugurato il primo McDonald’s in Unione Sovietica. Fu un’inaugurazione da record sotto tutti i punti di vista, non solo perché fu il primo ristorante della nota catena di fast food, ma fu anche il primo ristorante straniero in assoluto ad aprire su suolo sovietico. I numeri furono da guinness dei primati nel vero senso della parola: 38 mila clienti solo nel primo giorno, 1 kilometro di coda per entrare, 8 ore di fila, 900 posti a sedere disponibili nel punto ristoro, 600 dipendenti tra cuochi, addetti alla cassa e camerieri. Il ristorante fu letteralmente assaltato da una folla in trepidante attesa del proprio turno per entrare, tanto che ci furono disordini che richiesero addirittura l’intervento della polizia. Con 3 rubli e 75 copechi si poteva comprare un cheeseburger. Se pensiamo che ai tempi lo stipendio medio mensile di un cittadino sovietico era di circa 130 rubli, che un abbonamento mensile per i mezzi costava 3 rubli e pranzare in una bettola costava circa 1 rublo, possiamo immaginare che non era certamente economico per le tasche dei cittadini moscoviti consumare un pasto da McDonald’s. Rapportato al nostro attuale stipendio medio, un panino costava circa 46 euro odierni.
La gente dell’URSS aveva sentito tanto parlare della cultura occidentale senza mai poterla avvicinare. La voglia di sperimentare qualcosa di nuovo e di assaporare qualcosa che arrivasse da “oltre la cortina di ferro” in modo da poter viaggiare anche solo con la fantasia fuori dai confini sovietici, non fece desistere giovani universitari e umili proletari a sfidare freddo e calca per accaparrarsi l’hamburger “capitalista”. Per tanti di loro fu il primo morso di libertà. Nella patria della Rivoluzione per eccellenza, il primo McDonald’s segnò una nuova rivoluzione culturale. Fu il momento in cui due mondi, due filosofie e due ideali che fino a quel momento segnarono gli opposti, si incontrarono. Provate ad immaginare l’esperienza di un popolo abituato a razionamenti e a piani quinquennali che sperimenta per prima volta la cultura consumistica dell’abbondanza e del fast(and)food, riassunta nell’emozione effimera suscitata dal sapore di bacon e carne grigliata sotto un sottile strato di cheddar filante accompagnate da un bicchierone di Coca-Cola con ghiaccio. Quello che per noi giovani occidentali del terzo millennio è la normalità di un anonimo sabato sera come tanti altri, per i giovani sovietici del 1990 fu un’esperienza coinvolgente e carica di significato. L’approdo in URSS di un brand così spiccatamente yankee, fu possibile per via dell’allora presidente Gorbaciov che con il suo esteso piano di riforme (la perestrojka) cercò di inserire elementi dell’economia di mercato nella stagnante economia pianificata sovietica. L’apertura del primo McDonald’s fece da apripista nel percorso di conversione al modello capitalista ma nessuno immaginava che quel giorno avrebbe contribuito al crollo dell’Unione Sovietica più della caduta del Muro di Berlino nel novembre ’89 ed anche più del Putsch dell’agosto ’91. Perché se nella “guerra” tra capitalismo e modello sovietico ha palesemente vinto il primo, ciò non è avvenuto con la forza delle armi o con il potere finanziario; il capitale ha vinto nelle menti delle nuove generazioni che non vissero in maniera diretta la rivoluzione d’ottobre, offrendo loro quel simulacro di libertà, benessere ed abbondanza sotto forma di Happy Meal. - È buono il cheeseburger? - Karaschiò, tovarišč! Ma arriviamo ad oggi. Non esiste più quel baraccone burocratico che fu l’URSS ed il modello sovietico è fallito per sempre. La sua dissoluzione ha dato vita ad un surrogato di quindici repubbliche indipendenti, la maggior parte delle quali governate da oligarchie cleptocratiche. Tra i “nuovi” stati post sovietici ci sono anche Russia e Ucraina che, purtroppo, sono attualmente impegnate a fronteggiarsi in una guerra fratricida che ad oggi non ha vincitori ma solo sconfitti, da ambe le parti. La guerra russo-ucraina riporta indietro di trent’anni le lancette della storia andando a rivangare vecchi nazionalismi, vecchie tensioni internazionali e scontri ideologici che pensavamo di aver accantonato definitivamente in quel passato che non sarebbe più tornato. Ed invece è tornata la politica dei blocchi; compartimenti stagni che limitano il dialogo e gli scambi commerciali e culturali, in nome di un’autarchia che non risparmia nessuno, neanche un brand-colosso come McDonald’s. Quando lo scorso maggio la catena di fast food statunitense ha deciso di chiudere e vendere la propria licenza ad un licenziatario locale, in una manciata di ore dall’annuncio della chiusura, al ristorante di piazza Pushkin si era formata una nuova fila per prenotare l’ultimo morso a quel cheeseburger che per oltre trent’anni ha fatto da ponte tra due culture ideologicamente tanto distanti quanto interconnesse e funzionali l’una all’altra. Con un filo di nostalgia e amarezza bisogna ammettere che anche il Big Mac ha fallito dove fallì la primordiale idea rivoluzionaria comunista, quell’idea di unire in pace tutti i popoli fratelli. Trentatré anni dopo quella distensione culturale, oggi è tristemente tornato a soffiare un nuovo vento di guerra fredda.
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