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Criminale il silenzio sulle crisi del Mezzogiorno

29/8/2023

1 Commento

 

Mattia Carramusa

Federazione Giovani Socialisti


​Tra Sicilia e Calabria si sono registrati in 48 ore la bellezza di 388 roghi. Per lo più dolosi, secondo alcune stime. Oltre 6,6 milioni di Italiani, più dell’11% della popolazione dello stivale, è stata letteralmente assalita dalle fiamme. Incendi che hanno aggravato situazioni inverosimili e disservizi a tutto spiano. Tutto luglio ha visto chiusura di aeroporti, minacce a ospedali urbani, interruzioni delle linee elettriche e telefoniche, non fruibilità delle reti idriche, stop a trasporti ferroviari, trasporti urbani e interurbani, ritardi o assenze della protezione civile eccetera. E questa è solo la punta dell’iceberg. 

Non solo ci sono evidenti responsabilità dei governi regionali, tra cui (per la Sicilia) quello del ministro “tappabuchi” Musumeci in tema di cura e prevenzione ambientale e delle zone forestali e arboree regionali, ma anche responsabilità sistemiche. Responsabilità di un sistema regionale al collasso, di un sistema produttivo assente o inefficiente e di uno stato centrale che opera una “distrazione di massa” sui grandi problemi del mezzogiorno.

​Dopotutto, l’attenzione nasce solo quando si deve parlare di mafie, di cantieri, strade o ferrovie da inaugurare e quando si deve parlare di turismo estivo. Non si parla, neanche sui media generalisti, della crisi perpetua del mezzogiorno. Qui la rana è lessata anche per responsabilità comunicative, oltre che produttive e di malgoverno.
Riprendendo le parole di Massimo D’Alema ormai diciassette anni fa, si è fatto violento l’esodo di giovani dal sud verso il nord d’Italia e l’estero. Questo perché nel sud non c’è speranza di trovare lavoro e di emanciparsi da uno stato di povertà. Il figlio di un avvocato facoltoso studia giurisprudenza per diventare avvocato anch’esso e prendere lo studio del padre. Il figlio di un medico studia medicina per succedere alla madre nell’ambulatorio. Ma il figlio di una insegnante è inutile che studi giurisprudenza, economia o ingegneria, perché non ha le “spalle coperte” e perché non c’è un sistema vero di mercato o meritocratico. E quindi molti sono costretti ad andar via o accettare il compromesso della miseria materiale ed economica. 

Miseria materiale ed economica che esiste in tutta Italia, come testimoniano gli stipendi, ma fortemente acuite nel sud Italia. Povertà dilagante, con giovani sempre meno giovani e sempre più in ritardo per entrare nel mondo del lavoro. E che rischiano per questo di avere pensioni miserrime. Col sistema attuale, entrare a lavoro stabilmente a 30 anni significa arrivare ai 42 anni di contributi alla tenera età di 72. Senza uno stipendio sufficientemente elevato, la pensione contributiva sarà, di conseguenza, enormemente bassa. Come pensiamo che le regioni del sud possano svilupparsi se il PIL pro capite prodotto nel mezzogiorno è notevolmente più basso di quello del centro-nord Italia? E soprattutto, come pensiamo che possa crescere un territorio in cui i redditi pro capite medi sono più bassi di quasi un terzo rispetto al PIL pro capite? Ancor più: come speriamo che possa svilupparsi con il più alto tasso di disoccupati d’Italia e col tasso di NEET tra i più elevati d’Europa? E come si potrà mai sviluppare cercando di raggiungere il nord se gli investimenti pubblici per lavoro, industria e infrastrutture al sud (Campania, Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) negli ultimi trent’anni sono divenuti progressivamente un decimo di quelli del centro-nord?

Il mezzogiorno è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Una rana bollita da almeno un trentennio di incapacità al governo, di mancanza di visione e prevenzione su territori e sull’intera nazione. A qualcuno fa comodo avere il mezzogiorno arretrato e con pochi investimenti: permette maggiori investimenti al nord, permette di avere un bacino clientelare ricattabile con assistenzialismo elettorale, consente alle mafie di agire quasi indisturbate. Se lo stato non ha interesse a permettere lo sviluppo di un territorio lascia spazio a criminalità e assistenzialismo. E, soprattutto, a tantissima povertà, anche salariale e pensionistica. 

E noi, come italiani, come europei e come socialisti, non possiamo tollerare che un’intera area del paese sia trasformato in un’enorme favela dell’occidente europeo.
1 Commento
Roberto Polizzi
29/8/2023 16:20:16

Concordo pienamente con te.

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