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Disoccupazione giovanile, continua il trend negativo

13/11/2022

1 Commento

 

Ettore Di Mattia

Giovane Avanti! Sicilia

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La disoccupazione giovanile in Italia continua ad aumentare, i dati Istat pubblicati giorno 3 novembre parlano chiaro: +23,7%. Più 1,6% rispetto alla rilevazione di settembre. Stando ai dati Eurostat il nostro paese si trova al terzo posto come percentuale più alta di disoccupati in età giovanile, peggio di noi solo Grecia (28,5%) e Spagna (32,1%). 

Secondo la versione maggiormente accreditata, la disoccupazione giovanile nascerebbe da un mancato incontro tra la domanda di lavoro dell'impresa e l'offerta proveniente dal lavoratore. 
Viene da più parti ribadito che la scuola nel suo insieme offre una preparazione troppo generale e priva di competenze specifiche, ciò che invece richiedono le imprese. 
Tuttavia è da considerare raro se non impossibile ricondurre l'intera questione della disoccupazione giovanile al disallineamento tra domanda e offerta. 

La realtà ci dice che sono vari i fattori che concorrono ad alimentare tale fenomeno: contratti irregolari, inefficienza del mercato del lavoro, tassazioni elevate che non favoriscono la nascita di aziende, mancanza di investimenti nel settore pubblico.
La pandemia ha poi contribuito ad acuire le disfunzioni che alimentano il fenomeno.
Tale quadro emerge in maniera netta dal rapporto congiunto CNG-ANG-CENSIS intitolato "Generazione Post Pandemia".
Incertezza e ansia sono gli stati d'animo più frequenti nei giovani quando si parla di futuro. Il 78,7% dei giovani pensa che studiare non garantisca loro una carriera stabile e non li metta al riparo da periodi anche lunghi di disoccupazione. A tali preoccupazioni si aggiungono l'atteggiamento di sfiducia verso le istituzioni, e la mancanza di forze politiche con le quali identificarsi a pieno. Il 69% dei giovani italiani afferma infatti di non sentirsi rappresentato dalla politica con picchi che raggiungono 74,7% nel Nord-est e il 77% tra i disoccupati. 
Altro deficit che il nostro sistema sconta e che incide molto sulla disoccupazione giovanile in Italia è il forte divario Nord-Sud. 
Nel mezzogiorno i tassi di occupazione sono strutturalmente più bassi di 22 punti percentuali rispetto al Nord Italia. A questo va aggiunto il tasso di inattività per le persone dai 15 ai 64 anni che nel 2020 è stato del 47%, con una quota rilevante di donne (il 60%) contro il 44% della media italiana.

A tali differenze socioeconomiche e geografiche si aggiungono inoltre rilevanti problemi pratici: la convenienza delle imprese in fase recessiva a disinvestire sulle neo assunzioni considerando troppo elevati i costi di formazione, il blocco delle assunzioni nel settore pubblico, la polarizzazione del mercato del lavoro.

Proprio quest'ultimo fenomeno rappresenta un punto centrale nella vita dei giovani lavoratori, poichè assume qualità di fenomeno perturbatore del mercato del lavoro a seguito delle trasformazioni all'interno dei grandi processi produttivi. Ciò viene limpidamente sintetizzato nella relazione "Nuove professioni e nuove marginalità" proposta da EU.R.E.S. e CNG, la quale riesce a fotografare la situazione in merito alle opportunità lavorative dei giovani del terzo millennio analizzando offerte e colloqui lavorativi. I dati che emergono sono sconfortanti: discriminazione di genere, retribuzioni nella maggior parte dei casi sconosciute, poca formazione dell'impresa e molto spesso a carico del lavoratore. Solo infatti il 35% degli annunci esaminati nella relazione fa riferimento ad un'attività di formazione.
Stessa situazione sul versante dei colloqui dove si nota un disallineamento tra contenuti degli annunci e condizioni lavorative proposte, soprattutto riferite all'omissione di elementi essenziali.

Guardando quindi il fenomeno da un punto di vista strutturale non ci si meraviglia a sapere che la produttività lavorativa del nostro Paese è in caduta libera da vent'anni, e senza interventi di segno opposto nella pubblica ricerca e nello sviluppo questo trend non potrà che peggiorare.
Basti pensare che pur crescendo dall'1,2 all'1,5% del PIL tra il 2011 e il 2020, la spesa in ricerca e sviluppo in Italia è rimasta costantemente e significativamente inferiore alla media UE-27, che nello stesso periodo è salita dal 2 al 2,3%. 
Nel 2020 siamo stati raggiunti anche dalla Grecia, che nel 2011 era il paese europeo con la spesa in ricerca più bassa (0,7% del PIL). 

Ecco perché è fondamentale investire su transizione ecologica, trasformazione digitale e istruzione. Secondo il Rapporto OIL su le “Tendenze mondiali dell’occupazione giovanile 2022” entro il 2030 potrebbero essere creati altri 8,4 milioni di lavori per i giovani grazie all’adozione di misure e politiche sull'economia verde e blu, un'occasione da non sprecare in previsione dell'attuazione del PNRR 

Bisogna quindi invertire la consolidata tendenza a sottrarre fondi all'istruzione e alla ricerca per soddisfare il solo lato economico, producendo un risparmio esclusivamente su breve termine. Solo un piano realmente strutturato che metta al centro la formazione dei giovani può evitare questa deriva, evitando oltre cha la disoccupazione giovanile fenomeni come l'abbandono scolastico o il brain drain. 
Il settore scolastico italiano cerca di utilizzare al meglio le poche risorse che gli vengono messe a disposizione, e a dircelo ancora una volta sono i numeri sempre peggiori rispetto alla media europea.
Vero è che la crisi globale dal 2008 ha costretto tutti i Paesi Europei a rivedere le risorse destinate all'istruzione, ma è altrettanto vero che nazioni come Estonia e Irlanda hanno destinato all' educazione nel 2018 rispettivamente 15,8 e 12,6% di risorse pubbliche, a differenza del nostro Paese che ha potuto beneficiare solo di un 8%. 

Per cui se il nostro Paese vuole veramente crescere e dare un futuro ai giovani deve cominciare ad adottare strategie che considerino le nuove generazioni come parti integranti del tessuto socioeconomico e non come soggetti appartenenti ad una categoria transitoria, assicurando interventi di protezione sociale in ambito lavorativo, sanitario e di welfare coniugandoli con gli urgenti bisogni di sostenibilità ambientale.
1 Commento
Francesca
13/11/2022 19:54:05

La disoccupazione è un problema difficile da ridurre nel nostro Paese perché manca la volontà politica di attivare tutta una serie di interventi, come ad esempio una defiscalizzazione alle imprese che assumono lavoratori e altri interventi esaminati da Ettore Di Mattia in modo chiaro e dettagliato Nella sua relazione sottolinea l'incapacità di coloro che ci governano nel non capire che non si può migliorare il PIL se non si adeguano ai cambiamenti nel mondo sociale, economico e....Comunque complimenti a Ettore che con lo studio mirato di questo fenomeno negativo per la nostra società e le sue motivate considerazioni ci porta a riflettere sui dati sempre più crescenti della disoccupazione. Grazie 👏 👏 👏

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