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donne: il modello kuliscioff

6/1/2022

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allegra focardi

Giovane Avanti!

Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 le donne iniziarono a acquistare consapevolezza dei loro diritti, per la maggior parte negati, attraverso il lavoro extradomestico. Nonostante fossero comunque costrette a dure mansioni, a orari indecenti e a continuo sfruttamento, capirono che era il momento di cambiare: anche loro dovevano avere il diritto di votare, anche loro dovevano avere la possibilità di vivere la propria vita al di fuori delle mura domestiche. Secondo l’ala socialista la soluzione consisteva nel limitare lo sfruttamento forza-lavoro femminile e nel regolare gli orari lavorativi, per ovviare così anche ai problemi legati alla retribuzione.
È a questo punto che entra in scena il personaggio di Anna Kuliscioff, fondatrice e dirigente del Partito socialista italiano, che, in una lettera pubblicata proprio sul quotidiano “Avanti!”, afferma che “l’abolizione del lavoro delle donne nelle industrie significherebbe la condanna perpetua della donna alla schiavitù familiare e sociale , alla prostituzione matrimoniale ed extra-matrimoniale.” Il duro lavoro, secondo la rivoluzionaria Kuliscioff, esclude infatti le donne dalla vita civile e sociale e per questo è estremamente necessaria una riduzione degli orari giornalieri.

In quegli anni lo Stato italiano assegnava alla donna solo doveri, ma non le conferiva i diritti di cui godeva un semplice cittadino di sesso maschile. Oggi invece anche un articolo della Costituzione, l’articolo 37, tutela le lavoratrici, le quali dovrebbero avere gli stessi diritti e le stesse retribuzioni a parità di lavoro di un uomo. Ma è realmente così? La nostra società patriarcale e maschilista ha appreso la lezione delle eroine emancipazioniste degli inizi del ‘900? Purtroppo non serve scomodare più di tanto la mente per trovare una risposta, è sufficiente la scienza della statistica in questo caso: il 98% delle persone che ha perso il lavoro a dicembre 2020 erano donne. Una donna su due ha paura di perdere il lavoro. Nel mondo il 42% delle donne di fatto non può lavorare perché deve farsi carico della cura di familiari, come anziani, bambini, disabili. I dati sono sicuramente sconcertanti e, considerando che sono passati più di cento anni da quando Anna Kuliscioff ha scritto la lettera a Avanti!, potremmo perfino considerarli raccapriccianti.

Un bagliore di speranza esiste tuttavia: a livello globale, il conseguimento della parità di genere rappresenta uno dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che i vari Stati si sono impegnati di raggiungere entro il 2030, con la cosiddetta agenda 2030. In Italia in particolare, nei tempi recenti le istituzioni hanno agito concretamente per combattere contro le varie disparità, ad esempio con l’erogazione del bonus baby-sitting o asilo nido, dando maggior supporto e aiuto ai genitori, e con la lotta contro le dimissioni in bianco. In sostanza, ciò su cui bisogna intervenire drasticamente è la mentalità delle persone, afflitta da un retaggio culturale e sociale di dimensioni colossali, che si tramanda di generazione in generazione.

È arrivato il momento di invertire il senso di marcia, di dare voce alle milioni di donne che sono stanche di non essere considerate al pari dei loro mariti, dei loro fratelli e dei loro figli. Lo dobbiamo a tutte loro e anche alle paladine dell’uguaglianza, come Anna Kuliscioff; che si sono battute per raggiungere i traguardi di cui godiamo oggi.
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