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Dovremmo davvero abolire Roald Dahl

30/3/2023

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Davide Lamandini

Giovani Reporter


​Cancellare, coprire, occultare. Sembra ormai la prassi del nostro tempo, quando si parla del passato. E in questa continua caccia alle streghe predatori e prede si scambiano di continuo i ruoli e certe volte neanche capiscono bene chi sono.
Ecco. Di recente si è tanto parlato delle modifiche che la casa editrice Puffin Books, in accordo con la Roald Dahl Story Company (di proprietà di Netflix dal 2021), ha adottato per alcuni dei più celebri classici per l’infanzia di Roald Dahl, con l’obiettivo di tenerli al passo con i tempi. Si tratta, come è noto, di romanzi usciti tra i primi anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta, e sui quali tutti noi, bene o male, volenti o nolenti, siamo cresciuti. Da La fabbrica di cioccolato (1964) a Gli Sporcelli (1980) e Il GGG (1982), da Le streghe (1983) a Matilde (1988), sono libri noti per il loro linguaggio particolarmente ironico, graffiante e provocatorio. E anche “razzista”, per i responsabili di Puffin Books. 
Alcuni esempî di queste modifiche: nelle nuove edizioni sono stati eliminati aggettivi come “bianco” e “nero”, anche nel caso in cui essi sono riferiti ad oggetti e non a persone; e la stessa sorte è toccata al termine “grasso”. Quando si parla di mestieri generici che può fare una donna, al posto di “cassiera e segretaria” si è preferito mettere “scienziata e dirigente di un’impresa”.
Ed è stata riscritta completamente la celebre descrizione delle malvagie protagoniste de Le streghe, in cui queste creature si distinguono dagli esseri umani perché sono calve e hanno artigli affilati al posto delle unghie; caratteristiche che nascondono sotto ampie parrucche e lunghi guanti. Il narratore del romanzo, per smascherarle, suggerisce alla nonna di tirare i capelli a tutte le donne che incontra. Quella, nella versione originale e con tono evidentemente ironico, risponde: “Non dire stupidaggini. Non puoi tirare i capelli a tutte le donne che incontri, anche se portano i guanti. Provaci e vedrai.” (traduzione di Francesca Lazzarato e Lorenza Manzi, per Salani). Nella nuova edizione, invece, replica: “Non essere sciocco. E poi ci sono molti altri motivi per cui una donna potrebbero indossare una parrucca, e non c’è niente di sbagliato in questo” (traduzione mia). 
Ovviamente il problema principale è che si stia parlando di modificare a posteriori le opere originali di un autore morto ormai da trent’anni, che non ha più voce in capitolo; non si tratta di semplici adattamenti, di traduzioni o di interpretazioni, ma di vere e proprie riscritture. Giunti a questo punto forse dovremmo davvero abolire Roald Dahl, come sostengono alcuni (al pari di Via col vento e tanti altri), se non siamo capaci di comprenderlo e di collocarlo in un tempo in cui pensieri, valori e sensibilità erano profondamente diversi da quelli di oggi.
E se non siamo in grado di insegnare ai bambini la differenza tra il passato e il presente, se non sappiamo spiegare il motivo dello slittamento semantico di certi termini, forse non dovremmo proprio leggere il libro in questione. Perché significa che non lo abbiamo capito – o che quanto meno non lo hanno capito in Puffin Books, Netflix e alla Roald Dahl Story Company –, e che i concetti stessi di “classico” e di “letteratura” sono messi in discussione.
Forse, allora, seguendo lo stesso ragionamento, dovremmo riscrivere per bene anche Harry Potter, che da questo punto di vista veicola dei messaggi estremamente diseducativi. Se posso lanciare una proposta, suggerirei a Bloomsbury e alla stessa J.K. Rowling di iniziare eliminando la distinzione tra purosangue e mezzosangue, ché tanto a questo mondo siamo tutti uguali, con uguali diritti e uguali doveri. E, poi, troverei un sostituto al passo con i tempi per “babbani”, chiaramente offensiva; molto meglio il generico e asettico “non-maghi”.
E magari, nel frattempo, continuiamo a nascondere sotto al letto i mostri grandi, pericolosi e terribili del passato, nell’illusione che scompaiano se ci sforziamo di tenere gli occhi chiusi e di fare finta che non esistano. O, forse, più che sotto al letto, sarebbe meglio lasciarli sotto al tappeto, come polvere. Giusto per farli diventare ancora più grandi, ancora più pericolosi e ancora più terribili.
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