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FEDERAZIONE EUROPEA: ULTIMA SPERANZA

6/1/2022

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FRANCESCO MARCELLI

Giovane Avanti!

Estate 1941: l’esercito tedesco sembra ormai inarrestabile, la Germania nazista domina l’intera Europa e si appresta a vincere una guerra le cui sorti sembrano già sicure. Fu proprio in quei mesi più bui, che tre uomini confinati in un isolotto sperduto trovarono la forza di guardare più lontano e sognare un mondo nuovo.
Esattamente ottanta anni fa infatti veniva scritto da Altiero Spinelli, in collaborazione con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, il Manifesto di Ventotene, un testo destinato a fare la storia, a influenzare il pensiero di milioni di Europei e a diventare, come sottolinea Sergio Pistone, “il documento fondatore della lotta dei movimenti per l’unificazione federale europea” (Introduzione al Manifesto di Ventotene).
Questo scritto fu steso dai tre durante il periodo di confino per attività antifasciste, scontato appunto nell’isola di Ventotene. Tre uomini appartenenti a schieramenti politici differenti, ma con un ideale unico: costruire una Federazione europea. Tale Manifesto è infatti un programma politico in cui si cercano di delineare le caratteristiche ideali di un nuovo ordine che sorgerà dalle ceneri dell’impero nazista. Un ordine continentale costituito da una Federazione europea che avrebbe abolito il dogma della sovranità assoluta degli Stati e di conseguenza anche i presupposti di un’ulteriore guerra. Il Manifesto nasce come proposta di un’Europa democraticamente unita, alternativa all’unità continentale raggiunta con le armi dal nazismo. Come ricorda a tal proposito Norberto Bobbio, “nessuno oggi può fare la storia della Resistenza senza tener conto della prospettiva federalistica”. Prospettiva federalistica che concepiva la Resistenza “non come restaurazione ma come innovazione. Che non deve limitarsi a vincere il presente ma deve inventare il futuro” (Il Federalismo nel dibattito politico e culturale della Resistenza). Spinelli capì da subito che davanti a situazioni di crisi generale non si poteva più cercare una risoluzione a livello nazionale, ma c’era piuttosto bisogno di una comunità di Stati realmente unita, in grado di poter risolvere efficacemente i futuri problemi. Egli delineò così le caratteristiche di una Federazione Europea “non basata su egemonie di sorta, né su ordinamenti totalitari, ma dotata di quella solidità strutturale che non la riduca ad una semplice Società delle Nazioni” e che abbia come condizioni basilari: “esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all’emigrazione tra gli stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica”. Inoltre essa per essere al di sopra dei singoli Stati dovrà “disporre di una magistratura federale, di un apparato amministrativo indipendente da quello dei singoli stati, del diritto di riscuotere direttamente dai cittadini le imposte necessarie per il suo funzionamento, di organi di legislazione e di controllo fondati sulla partecipazione diretta dei cittadini e non su rappresentanze degli stati federati”. Spinelli quando delinea le caratteristiche di questo nuovo ordine continentale, definito “Gli Stati Uniti d’Europa”, ovviamente ha come riferimento la federazione statunitense e le teorie federaliste di Alexander Hamilton. Nonostante ciò però, il nuovo ordinamento che si andrà a costituire dopo la guerra “dovrà essere socialista”.
Nel Manifesto infatti viene delineata un’Europa non più retta dal nazionalismo, né dal liberalismo, né dal comunismo. Un’Europa dove non c’è più spazio per soluzioni
estreme e dannose, ma che invece si lascia guidare da una politica equilibrata capace di portare avanti principi di giustizia sociale accompagnati da un necessario progresso economico, un’Europa insomma liberalsocialista. Come ricorda infatti Pistone nella già citata introduzione, sono presenti nel Manifesto, seppur non in maniera completamente esplicita, “le tesi fondamentali del socialismo liberale di Carlo Rosselli orientate verso la ricerca di una sintesi fra il sistema liberaldemocratico e le esigenze di solidarietà e giustizia sociale espresse dal socialismo nelle sue diverse correnti”. Ricordiamo infatti che Altiero Spinelli è stato per tutta la sua vita fortemente avverso al liberalismo sfrenato, ma allo stesso tempo anche profondamente critico nei confronti del partito comunista dal quale egli stesso fu espulso. Egli inoltre ha sempre sottolineato la necessità del fatto che si vada a formare un futuro gruppo dirigente in grado non di fare gli interessi di una sola classe o di una parte della popolazione, ma dell’intera società.

Con la fine della guerra e la sconfitta del nazifascismo, nonostante le pressioni fatte
da parte dei federalisti di tutta Europa, si tornò ai vecchi Stati nazionali, invece di cogliere subito l’occasione di creare una Federazione. Il fatto di aver mantenuto l’indipendenza e la sovranità nazionale invece di aver costruito una Federazione Europea ha contribuito a porre le basi di una dipendenza politica ed economica dei singoli Stati nei confronti di Usa o Urss. La grande contraddizione dei Paesi europei del dopoguerra, ancorati a vecchi schemi politici, sta proprio nel fatto di aver creduto che si potesse rimanere autonomi soltanto mantenendo una formale sovranità nazionale. Oramai l’unico modo per cercare di essere realmente autonomi è stando in comunità. Ad oggi, anche volendo, non possiamo più permetterci di rinchiuderci in politiche sovraniste e in schemi economici protezionistici. Mi sento di dire infatti che il nazionalismo, prima ancora che moralmente sbagliato, è destinato a fallire alla lunga, in quanto non incarna più lo spirito del tempo. Niente possiamo politicamente, economicamente e militarmente da soli, contro giganti come Cina, Usa e Russia. Insieme forse riusciremmo a competere con queste tre potenze e, chi sa, magari anche  a creare un sistema di governo alternativo ai loro. L’Unione Europea allo stato attuale non credo però che sia ancora in grado di effettuare un tale salto di qualità. Infatti il problema di fondo dell’attuale UE è, a mio avviso, il fatto che ancora non sia approdata a un sistema federativo che veda il Parlamento Europeo come un centro di potere superiore a quello dei singoli Stati. Attualmente l’Unione Europea non è altro che una Confederazione, mentre invece l’unico modo che ha per divenire realmente autonoma dall’ingerenza di superpotenze e competitiva a livello globale è solo attraverso la costituzione di una Federazione. Se gli Stati Uniti sono diventati la superpotenza che sono, è perché nel 1865 invece di prevalere la Confederazione è prevalsa la Federazione.

Dall’altra parte invece la Storia ci insegna che, Paesi come quelli dell’America Latina che non sono riusciti in tempo a unirsi tra loro attraverso un saldo organismo interstatale, sono stati uno dopo l’altro fagocitati dal gigante statunitense.

Allo stato attuale, se l’Unione Europea vorrà essere autonoma e giocare un ruolo di primo piano nello scenario internazionale, dovrà raggiungere il prima possibile un maggior grado di unità politica ed economica interstatale e soprattutto creare un sistema di governo alternativo ai tre vigenti in Cina, Usa e Russia. Un sistema democratico, egalitario e che garantisca veramente la libertà. Come possiamo ben notare, la mancanza di vera equità e di vera libertà è presente in tutte e tre le superpotenze già citate, seppur ovviamente in gradi diversi. Davanti all’autoritario nazionalismo russo, allo sfrenato capitalismo statunitense e al singolare comunismo cinese, penso che una linea politica liberalsocialista sia la più utile per proporre un modello alternativo e soprattutto per raggiungere quell’equilibrio necessario a gestire problemi complessi. Se l’Europa, dopo aver raggiunto un maggior grado di forza e di autonomia attraverso la creazione di una Federazione, sarà in grado di promuovere una linea politica ed economica alternativa a quelle vigenti, allora credo che niente potrebbe più fermarla dal porre le basi di un futuro ordine globale basato sulla giustizia sociale e sul progresso economico. Se l’Europa riuscirà ad effettuare il superamento storico della società liberale, invece che il suo abbattimento, allora potrà divenire una vera potenza moderna. Insomma, per usare le parole di Altiero Spinelli: “Un’Europa libera e unita”. L’unità del continente europeo, attraverso la costruzione di una Federazione, ci conferirà maggior forza, come singoli Stati e come comunità; mentre il raggiungimento di un maggior livello di libertà ed equità ci renderà alternativi al punto tale da diventare un competitivo polo d’attrazione.

Credo fortemente che questi anni ’20, a causa della crisi pandemica, della questione ambientale e dell’imponente crescita economica cinese, saranno anni cruciali e di svolta per l’equilibrio mondiale. Se come comunità europea non approfitteremo ora di questo periodo di transizione per andare fino in fondo e creare un organismo federale centralizzato, potremmo perdere forse l’ultima occasione che abbiamo per essere autonomi e liberi da future ingerenze di altri Paesi esteri potenzialmente pericolosi. Se invece saremo capaci di raggiungere un maggior grado di unità continentale, di creare un sistema di governo alternativo e di dare una risposta concreta ai principali problemi che affliggono la società moderna, allora forse riusciremo a conseguire una maggiore autonomia e a diventare anche un modello di progresso. O ci riusciremo in tempo o saremo schiacciati dal corso della Storia, perdendo la nostra autonomia, sia statale che continentale. Al momento, la crisi pandemica, la questione ambientale, il terrorismo e la crisi economica, rappresentano i quattro problemi più importanti da affrontare. Se l’Europa, come comunità, riuscirà a risolverli in tempo, allora forse potrà assurgere al ruolo di superpotenza.

“Più valido che mai appare oggi il parallelo tra questa situazione storica e quella delineatasi in Italia alla fine del XV secolo, quando l’equilibrio degli Stati municipali venne bruscamente travolto dall’entrata in scena delle grandi monarchie nazionali straniere. L’incapacità di comprendere la nuova istituzione storica portò allora gli Italiani alla perdita secolare della propria indipendenza e ad un ritardo civile del quale ancor oggi scontiamo le conseguenze”. Così scriveva Giuseppe Petrilli, riprendendo il paragone tra l’Europa contemporanea e l’Italia del XV secolo fatto da un grande federalista italiano quale Luigi Einaudi (Storia del federalismo europeo).

A conclusione mi sento di dire che, così come la seconda guerra mondiale è stato un periodo di crisi che ha fatto riflettere gli uomini di allora circa la necessità di una Federazione Europea, anche adesso che siamo in piena crisi pandemica, ambientale ed economica dovremmo riflettere sull’urgenza della stessa necessità. Credo che ad oggi, trasformare l’attuale Unione Europea in una Federazione Europea, sia una mossa obbligata. Una tappa fondamentale che gli Europei di questa generazione dovranno raggiungere, come dice il Manifesto di Ventotene, in vista “di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo”. La Storia va in questa direzione e non penso che remare contro possa contribuire a fermarla.
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Siamo infatti giunti a un punto in cui non progredire equivale a regredire.
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