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FESTA DELLA MAMMA? L'ITALIA E IL DIVARIO OCCUPAZIONALE TRA DONNE E UOMINI

8/5/2022

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GIULIA CAVALLARI

Giovane Avanti! Bologna

In Italia nel 2022 una donna è costretta ancora a scegliere se lavorare o se decidere di avere un figlio e di crescerlo. Scegliere di diventare mamma in Italia è una decisione che avrà indubbiamente anche ricadute sulle scelte professionali della donna e quindi, di riflesso, sulla loro autonomia ed indipendenza economica, sulle scelte future.
L’Italia è uno dei paesi con i tassi più bassi di natalità. I nuovi nati hanno raggiunto il “record” negativo scendendo sotto i 400.000, un dato inferiore anche a quello del 2020 (-1,3%) e un crollo se si guarda, come evidenziato da Save the Children, al 2008 con una forbice in negativo del 31%.
​Save the Children ha realizzato un report definendo le mamme italiane delle “equilibriste”. È il settimo rapporto che viene diffuso con dati che fotografano la situazione della maternità nel Paese. Definire le donne e le madri delle “equilibriste” è emblematico e carico di significato perché è la reale situazione e condizione nella quale si trovano le donne, le madri, le lavoratrici italiane. 
I dati che emergono sono molto chiari: circa di 42,6% delle donne (nella fascia di età trai 25 e 42 anni) non ha un lavoro e il divario con gli uomini nella stessa fascia di età è del 30%.
​
Poi ci sono i casi in cui una donna pur avendo un lavoro e mette al mondo un figlio, il suo contratto diventa part-time: accade ad almeno il 39,2% delle donne con figli minori.

Nel 2020, anno della pandemia che ci travolto, migliaia di donne hanno rassegnato le dimissioni vuoi per motivi familiari, vuoi perché sul territorio non vi sono servizi adeguati (asili nido) rappresenta l’ennesima sconfitta di un Paese occidentale. 
La pandemia ha messo ancora d più in evidenzia il divario di genere e gli ostacoli che una donna è costretta ad attraversare. 

L’ISTAT con il Rapporto BES (Benessere equo e sostenibile) ha tracciato un ritratto dello stato del Paese Italia. Pur consapevoli che il benessere dovrebbe essere il fine primario da perseguire e raggiungere da parte delle politiche che uno Stato deve (o perlomeno dovrebbe) mettere in atto emerge un quadro desolante per quanto riguarda l’Italia.

Il BES è uno strumento fondamentale di misurazione del grado in cui le politiche riescono ad intervenire per cambiare e migliorare la vita delle persone consentendo di mettere in risalto dove emergono maggiori disuguaglianze e quali sono le fasce di popolazione maggiormente ‘danneggiate’.

Dal Rapporto BES emerge che l’Italia ha sempre avuto tassi di occupazione inferiori ai livelli comunitari, la pandemia poi ha acuito ancora di più questo gap e chi ha subito maggiormente i danni sono state le donne soprattutto quelle con figli minori che quindi richiedono maggiori cure. 

Ci si è resi conto che in Italia la parità di genere era, molte volte, solo qualcosa di cui parlare a latere, invece il Covid ha prepotentemente portato le istituzioni (a tutti i livelli) a non rinviare più discussioni che per troppo tempo erano state ‘evitate’. 
La parità di genere è uno degli obiettivi trasversali del PNRR perché il gap tra occupazione maschile e femminile.

In Italia i dati sull’occupazione suddivisi per genere evidenziano che il tasso di occupazione per le donne è del 49,4%, mentre per gli uomini (nella fascia di età tra i 15-64 anni) è del 67,1%.

Un divario che sfiora il 18%, significa che meno di 1 donna su 2 (nella stessa fascia di età) risulta occupata e andando ancora a fondo oltre al divario su scala nazionale dobbiamo guardare al divario tra Nord e Sud Italia dove nel Mezzogiorno il divario occupazionale in questa fascia di età tra donne e uomini è di 23,8% contro il 14,9% del Nord.

La pandemia da Covid-19 ha, drammaticamente, portato alla luce queste disparità già ampiamente “radicate” nel nostro Paese, ma che erano spesso relegate ai margini. L’ISTAT aveva calcolato che solo nel mese di dicembre 2020 99mila posti di lavoro erano stati persi dalle donne su 101mila posti persi in totale: un dato drammatico. Durante la pandemia, il 55,9% dei porti di lavoro persi riguardava proprio le donne.

Con il PNRR, programma di utilizzo delle risorse del Recovery Found messe a disposizione dall’UE per il finanziamento del Next Generation EU che per l’Italia hanno raggiungo la somma di € 209 miliardi (parte a prestito, parte a fondo perduto).

Da qui l’urgenza di intervenire a livello nazionale con proposte concrete e strutturate e con adeguati finanziamenti.

La Missione 4 (M4) del PNRR “Istruzione e ricerca” nella parte relativa alla “Istruzione e ricerca” (per un totale di 30,88 miliardi di euro) ha come obiettivo quello di rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia che consideri la conoscenza, la competitività come punti chiave per lo sviluppo della società civile e delle nuove generazioni. Il nostro Paese, da anni, è carente su questo fronte, ma lo è anche in termini di posti negli asili nido (nel PNRR i fondi destinati agli asili nido ammontano a 3,6 miliardi di euro) perché tra i posti disponibili e il numero di bambini con età tra 0 e 2 anni è pari al 25,5% (ben al di sotto della media europea che si aggira intorno al 33%) ovviamente con difformità da regione a regione e tra Nord e Sud Italia. La carenza dei servizi educativi per l’infanzia è uno dei problemi che porta alla iniquità nella ripartizione dei carichi di lavoro all’interno delle famiglie e a farne le spese sono le donne; ciò riduce il tasso di partecipazione delle donne al mercato e al mondo del lavoro.

Nel nostro Paese, dati alla mano, il 46,1% delle famiglie richiede di poter usufruire del servizio a tempo pieno nelle scuole primarie, ma la carenza dei servizi in molti casi crea enorme disagio.

La Missione 5 (M5) del PNRR, denominata “Inclusione e coesione” (per un totale di 6,66 miliardi di euro) prevede proprio interventi per le politiche del lavoro, ma anche interventi a livello di infrastrutture sociali, famiglie, comunità, terzo settore. Si tratta di una Missione fondamentale con una serie di obiettivi trasversali a tutto il PNRR con un sostegno allo empowerment femminile e interventi a livello occupazione per le donne e i giovani. 

La M5 prevede, per fronteggiare almeno parzialmente questo drammatico gap, la creazione di imprese femminili e l’introduzione della certificazione della parità di genere. L’obiettivo è realizzare una vera e propria emancipazione economica e sociale della donna nel mercato del lavoro prevedendo una sistematizzazione e ristrutturazione degli strumenti di sostegno già esistenti. La creazione di imprese femminili ha come obiettivo quello di aumentare i livelli di partecipazione delle donne nel mercato del lavoro andando a promuovere l’imprenditoria femminile, ma al contempo sostenendo l’avvio di nuove attività imprenditoriali guidate da donne.

Il gender pay gap in Italia non esiste solo nel settore privato dove con la percentuale del 17,9% si mostra in tutta la sua ‘prepotenza’, ma anche nel settore pubblico (4,4%). Le donne guadagnano circa 3.000 euro in meno degli uomini ogni anno. Se si raggiungesse la parità salariale anche il PIL italiano crescerebbe di oltre lo 0,5% secondo la Banca d’Italia.

In Italia le Partite IVA e le imprese sono uno dei pilastri del sistema economico italiano, nella libera professione la percentuale di donne è aumentata notevolmente, ma si stima- e qui veniamo al dato negativo- che le donne guadagnino il 52% in meno degli uomini perché il reddito medio di una donna-libera professionista è di circa 24mila euro contro i 43mila degli uomini e sempre durante il periodo della pandemia la maggior parte dei posti persi riguardano proprio i liberi professionisti e lavoratori autonomi. Dati negativi perché manca una omogenizzazione delle tutele per la maternità.

Il Presidente Mattarella durante il discorso di reinsediamento ha parlato di “dignità” e ha evidenziato che “Dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità”.  
Sono parole sacrosante, ma purtroppo in Italia le donne, a differenza degli uomini, si trovano sempre in svantaggio sul piano occupazionale e sul piano retributivo quando scelgono e decidono di avere un figlio. 

Questo porta l’Italia ad essere un “fanalino di coda” a livello europeo per politiche in favore delle donne lavoratrici. Anche la ripresa occupazionale sconta un gap di genere perché le donne sono le lavoratrici che hanno maggiormente contratti a termine o part-time andando ad incidere ancora una volta su una situazione di precarietà già fortemente conosciuta e radicata. Il 49,6% dei contratti attivati a donne lavoratrici è a tempo ridotto contro il 26,6% dei contratti attivati a uomini lavoratori.

Più di 600mila contratti attivati a donne lavoratrici su un totale di circa 1,3 milioni (primo semestre 2021) è part-time (su circa 2 milioni di contratti attivati agli uomini circa 524mila erano a part-time). 

Ancora una volta emerge un divario di genere anche in termini di retribuzione, in un Paese che da anni vive questa situazione trovandosi negli ultimi posti della ‘classifica’ a livello europeo. Siamo il Paese in cui le dimissioni volontarie dal lavoro da parte delle donne presenta sempre percentuali elevate. Save the Children ha evidenziato che per quanto riguarda i dati sulle dimissioni volontarie o di risoluzione di rapporti di lavoro, la fetta più grande è rappresentata dalle donne madri di figli minorenni rispetto agli uomini (77,4% riguarda le donne contro il 22,6% degli uomini). Il 77,2% delle dimissioni volontarie riguarda le donne. 

Lascio con questo dato che rappresenta insieme a tutti gli altri riportati la drammatica fotografia di un Paese che negli anni non è riuscito a creare sistemi di welfare e assistenza per le donne, non è riuscito a colmare un gender pay gap che, anzi, si è aggravato portando a puntare i riflettori su una situazione ormai radicata a livello nazionale con differenze tra Nord e Sud come sempre accade in Italia. Un vero e proprio divario esistente all’interno del Paese stesso. Una nazione che si pone sempre come fanale di coda tra i Paesi europei e questa posizione di coda la ravvisiamo anche in termini di investimento per le politiche attive del lavoro, soprattutto quello femminile, ma anche in termini di disuguaglianze di genere. 

Un Paese dove le donne occupate rappresentano i 48,6% contro il 67,5% degli uomini è un Paese che deve ancora percorrere una lunga strada per giungere a sanare questo drammatico divario cercando di introdurre sistemi, a livello legislativo, che consentano alle donne di poter risalire posizioni in questa scala che guarda ancora verso il basso. 
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