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Gaza e il rischio di un allargamento del conflitto

19/10/2023

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Giulia Cavallari

Giovane Avanti! Bologna


​​La tensione e gli scontri tra Israele, Palestina e Hamas non accennano a placarsi. L’escalation di questi giorni, ormai più di dieci giorni, è la più violenta degli ultimi anni, paragonata alla guerra dello Yom Kippur di cinquant’anni fa (nota anche come guerra di ottobre).
​
Soprattutto la tensione tra questi popoli è ormai a livelli sempre più pericolosi, con il rischio di un allargamento di un conflitto e con una escalation che giorno dopo giorno vede alzarsi “l’asticella” di una deflagrazione sempre più grande di una guerra. La diplomazia internazionale con i vari attori di quell’area martoriata è al lavoro, ma è sempre più complicato soprattutto dopo l’esplosione che si è verificata nell’ospedale battista di Gaza City. Un bilancio drammatico: almeno 500 morti e più di un migliaio di feriti. Proseguono gli scambi di accuse con versioni contrapposte per la strage di civili che si trovavano nell’ospedale colpito a Gaza City.
La condanna di questa azione è arrivata da tutto il mondo perché colpire un ospedale significa commettere un crimine contro l’umanità. La regolamentazione della protezione delle strutture sanitarie e ospedaliere la si deve alla Convenzione di Ginevra IV che all’articolo 18 prevede che “Gli ospedali civili organizzati per prestare cure ai feriti, ai malati, agli infermi e alle puerpere non potranno, in nessuna circostanza, essere fatti segno ad attacchi; essi saranno, in qualsiasi tempo, rispettati e protetti dalle Parti in conflitto”.
Però, purtroppo, spesso accade che gli ospedali vengano utilizzati come nascondigli per le armi o anche nascondigli per i soldati perché si sa che quei luoghi, per il diritto internazionale, sono protetti. 
Tuttavia l’articolo 19 della Convenzione di Ginevra IV prevede che "La protezione dovuta agli ospedali civili potrà cessare soltanto qualora ne fosse fatto uso per commettere, all’infuori dei doveri umanitari, atti dannosi al nemico. Tuttavia, la protezione cesserà soltanto dopo che un’intimazione con la quale è fissato, in tutti i casi opportuni, un termine ragionevole, sia rimasta senza effetto.
Non sarà considerato come atto dannoso il fatto che in questi ospedali siano curati dei militari feriti o malati o che vi si trovino armi portatili e munizioni ritirate a questi militari e non ancora consegnate al servizio competente”.


Quindi, scambio di accuse tra Israele e Hamas su chi ha la responsabilità di quanto avvenuto, ma questa azione ha causato un’ondata di proteste in diverse città del Medio Oriente e non solo soprattutto fuori dalle ambasciate israeliane. Da una parte chi sostiene la tesi di una bomba israeliana, dall’altra chi sostiene la tesi di un razzo di Hamas. Al momento una completa verità su quanto accaduto non c’è ancora anche se Biden, durante la sua visita di ieri in Israele, ha affermato-stando a quanto riportato dal Pentagono- che la colpa è dell’altra parte, Hamas. Il ministero dell’interno israeliano ha diffuso una intercettazione in base alla quale emerge la responsabilità di Hamas nel lancio del missile che ha poi colpito l'ospedale provocando quasi 500 morti anche sulla base di quanto riportato dal portavoce dell'esercito israeliano che in una conferenza stampa ha parlato di un "razzo difettoso lanciato dalla Jihad islamica da un cimitero non lontano dall'ospedale
L’ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite, Mansour, ha denunciato Israele perché considerato responsabile dell’attacco.
La certezza è che sono stati colpiti chi era già vittima dei violenti attacchi dei giorni scorsi perché in quel territorio continuano a piovere bombe e razzi da entrambe le parti.
In questi giorni diventa sempre più calda la zona del confine con il Libano e proseguono i raid israeliani nel sud del Libano, ma proseguono anche gli scontri in Cisgiordania anche con una notevole e massiccia mobilitazione militare da parte di Israele e con evacuazioni dei residenti nel nord di Israele. Le fazioni di Hezbollah sparano dal Libano come se fosse una sorta di “deterrente” da un'eventuale invasione via terra da parte di Israele. Biden chiede ad Israele di non attaccare Hezbollah. 
In questo susseguirsi di scontri, raid, bombe e razzi ci sono le condizioni sempre più drammatiche degli abitanti della Striscia di Gaza che da giorni sono senz’acqua, senza luce. Un vero e proprio assedio. La striscia di Gaza è la zona più popolata e popolosa al mondo (2,1 milioni di abitanti per un’area di circa 365 chilometri quadrati e con almeno il 64% delle famiglie a rischio di insicurezza alimentare. Numeri che, in questi giorni, sono destinati ad aumentare drammaticamente. 
Ad oggi almeno 500.000 palestinesi si trovano nei campi ONU a Gaza come è stato reso noto dall’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata ai rifugiati palestinesi. Per l’Unicef, il conflitto è diventata la guerra più mortale delle cinque guerre di Gaza con migliaia di morti, tra cui centinaia di bambini.

I rischi più grandi e più gravi sono legati alla salute e sono dovuti alla mancanza di acqua e luce, alle scarse condizioni igienico-sanitarie nei campi provvisori sempre più grandi, ma il rischio per la salute è legato anche alla contaminazione dell’acqua o alla mancanza di acqua potabile, alle scorte di cibo e medicine sempre più limitate. Queste condizioni rischiano di alimentare ancora di più le tensioni all’interno di queste aree di rifugio.
Il Presidente USA, Biden, ieri si è recato in Israele e in Egitto e proprio al Presidente dell’Egitto, Al Sisi, ha ottenuto l’apertura del valico di Farah per il passaggio di camion con aiuti umanitari per Gaza.

Purtroppo, ciò che la fa da padrone, in questi casi e in queste situazioni così precarie, è anche il livello di disinformazione creato appositamente per confondere le acque in situazioni precarie e pericolose. 
Sembra che le bombe cadute sull’ospedale a Gaza non fossero israeliane, ma questo ha portato alle violente proteste contro Israele. Sunniti e sciiti protestano additando gli americani come responsabili, basti pensare agli scontri verificatesi a Beirut, in Libano, nel “giorno della rabbia” come lo ha definito Hezbollah. Altre manifestazioni si sono registrare in Turchia, Giordania, Marocco, Iraq, Tunisia.
L’ONU, la comunità internazionale, ma anche i siti di fact-checking in questi giorni stanno cercando di capire di chi è la responsabilità di questo disastro.
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