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I fronti d'una guerra ibrida e il futuro dell'Europa

15/12/2023

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Giorgio Provinciali

Giovane Avanti! in Ucraina


​Come ha sottolineato il Presidente Zelenskyj “la guerra entra in una nuova fase”. L’Ucraina non ferma la sua iniziativa a Kherson, rafforzando la testa di ponte gettata sulla sponda Est del fiume Dnipro e attaccando a Sud di Zaporizhzhia (verso Verbove, Novoprokopivka e Robotyne) ma consolida le proprie posizioni sul fronte Nord di Chernihiv e Sumy, più a Est nei pressi di Kupiansk e Lyman e un po’ più giù nel Donetsk, ad Avdiivka.

Quella di Zelenskyj è una mossa saggia e concorde con quanto propugnato sinora dal suo Capo di stato maggiore generale Zaluzhnyj, che fin dal principio ha scelto una strategia volta a logorare lentamente le risorse nemiche.
​
Senza poter disporre di un’aviazione, missili a lunga gittata né dei tank promessi, lo scorso maggio l’Ucraina non aveva altra soluzione possibile se non quella di mettere il nemico alle corde. La verità è questa. Gli alleati di Kyiv hanno perso il grande vantaggio temporale che avevano ottenuto quando era ormai chiaro che il blitz di Putin era fallito. Hanno inviato alle Forze armate del Tridente armi da guerriglia, adatte a contenere l’avanzata delle truppe rasciste ma non a respingerle entro i propri confini. L’Ucraina si sta confrontando da 22 mesi col secondo esercito al mondo -che peraltro è una potenza nucleare- avendo avuto a disposizione per tutta la prima fase del conflitto solo armi leggere e ManPads come i Javelin e ricevendone nella seconda parte soltanto il 30% di quelle promesse.
L’Occidente ha sottostimato la capacità ucraina di resistere ma anche sottodimensionato e spesso svilito le qualità tecniche dell’esercito russo, sovente descritto come vecchio, male armato e senza una strategia.
Putin e i suoi generali hanno certamente fatto male i propri calcoli e le roboanti dichiarazioni di far capitolare Kyiv in tre giorni defenestrando Zelenskyj si sono rivelate presto nefaste e catastrofiche per loro. Quando però fu chiaro che quella di Putin era un’operazione fallimentare speciale, gli Alleati avrebbero dovuto sostenere Kyiv nella riconquista repentina di tutti i territori temporaneamente occupati. Zaluzhny chiese i tank quando la prima controffensiva stava già profilando per Kyiv un successo netto e inequivocabile. Gli Abrams americani sono arrivati alla fine della seconda e i Leopard col contagocce, mentre era già in corso. Zelenskyj chiese di coprire i cieli ucraini fin dal primo giorno d’invasione russa: gli F-16 arriveranno forse due anni dopo, nel corso del 2024.

Mentre in Occidente ci si arrovellava a spiegare agli ospiti televisivi russi che quella non era un’operazione militare speciale ma una guerra, Putin la combatteva già in quanto tale. L’Occidente l’ha al contrario chiamata subito per ciò che è, cioè una guerra, ma l’ha combattuta come un’operazione militare speciale. Gli alleati sono stati molto attenti nel saperla identificare anche come “guerra ibrida” -cioè mossa sui due fronti militare e informativo- ma non sono stati altrettanto all’altezza di combatterla in quanto tale, perché sul piano mediatico Putin sta vincendo da tempo. Alla teoria insomma, non sono corrisposti i fatti. La propaganda russa ha continuato a scorrere sulle homepage di tutti i social network fino a compromettere l’esito elettorale in Slovacchia e Olanda, confermare quello precedente in Ungheria e far prendere un bello sguazzo a Francia e Polonia. Scorrere la rassegna stampa italiana dall’Ucraina è ogni mattina un’esperienza a dir poco raggelante. In assenza di corrispondenti (in Ucraina siamo rimasti in pochissimi) e senza poter verificare le fonti di certe informazioni, la maggior parte dei quotidiani italiani rilancia tutto quel che arriva dai social. Peccato che per un buon 70% siano svarioni clamorosi messi in rete dai russi. In questo consiste il programma “Maidan 3”, di cui Zelenskyj ha accennato in un suo recente discorso: screditare l’operato del governo ucraino all’estero per fiaccarne il sostegno e creare frizioni interne volte a farlo crollare. L’Italia -come sempre- è in prima fila. S’è letto di tutto: minori ucraini richiamati in patria per essere arruolati al fronte, probabili colpi di stato, insuccessi in battaglie mai avvenute e perfino eventi di cronaca inventati di sana pianta. Tutto è andato bene, pur di scrivere qualcosa. Leggere da qui d’avvenimenti mai accaduti e fatti e circostanze inesistenti è stato come rivivere il periodo in cui dai salotti televisivi italiani veniva confutata perfino l’esistenza stessa del massacro di Bucha. Vien difficile anche a me adesso scrivere quel che ho provato nel sentir pronunciare nella mia lingua certe bestemmie. Dire che quei corpi senza vita forse si muovevano e negare che potessero conservarsi a temperature che nessuno di coloro che vomitavano certe parole conosceva è stato come sparargli due volte. Per mesi su tutti i media italiani è stato un martellamento quotidiano e incessante: pure le reti televisive nazionali si sono prestate a ospitare personaggi squallidi, che non solo descrivevano scenari totalmente avulsi dalla realtà ma che nel frattempo sono pure riusciti a scrivere e promuovere libri in cui riportavano cose che non avevano mai visto e luoghi in cui non erano mai stati neanche un giorno in tutta la loro vita.

Per quasi 80 anni l’Occidente ha voluto credere che la pace tanto faticosamente lasciata in eredità dai nostri vecchi potesse essere difesa senza quelle armi che un tempo la conquistarono.
Ha convinto l’Ucraina a spogliarsi del proprio deterrente nucleare dietro aleatorie garanzie siglate nel 1994 a Budapest e ha creduto che l’ombrello della NATO potesse esser retto ad libitum dagli USA.

Cari amici, non è così. La pace va difesa con le armi in pugno e ai tavoli del negoziato ci si costringe a sedere qualcuno quando in mano si ha qualcosa.

Dietro l’enorme palla di pelo del pacifismo antiamericano qualcuno ancora oggi vuol far credere che disarmando l’aggredito, l’aggressore si ravveda. Con la stessa logica, si diceva che impoverendoci tutti per arricchire lo Stato nessuno sarebbe più stato povero.
L’Asse del Male si sta rinsaldando e l’Italia stenta a destinare il 2% del PIL alla propria Difesa.
In un recente report inviato al Cancelliere Scholz, il capo del Centro per la Sicurezza e la Difesa Christian Mölling e il ricercatore dell’Istituto di ricerca del DGAP Torben Schütz hanno evidenziato l’assoluta necessità di rinforzare il sistema difensivo tedesco in quanto entro i prossimi 6-10 anni al massimo la Federazione Russa sarà in grado di condurre un attacco su vasta scala all’Alleanza Atlantica. Secondo i ricercatori, al Bundeswehr serve un quantum leap tale da consentire alla Germania di disporre d’un contingente militare adeguato a fronteggiare qualcosa che sarà in grado di sfondare l’attuale Forza d’intervento rapido della NATO (che consiste in 300.000 unità schierate ai confini orientali dell’Alleanza).
La legge di bilancio appena firmata da Putin consentirà a Mosca di destinare 156 miliardi nel solo 2024 alla guerra in Ucraina e prevede per i prossimi anni incrementi folli, mai visti nemmeno in piena guerra fredda nell’era sovietica. Ogni anno Mosca forma 280.000 soldati e pur d’investire in nuove tecnologie belliche il regime russo taglia spese in qualsiasi altro settore. Con la Cina che destina già a quel comparto già cifre doppie rispetto a quelle russe è impensabile continuare a sventolare bandiere arcobaleno e simboli della pace, sperando che l’ombrello americano sia abbastanza largo da coprire tutti.
Per questo, il miglior investimento sulla propria sicurezza che i membri della Nato possono fare oggi consiste nel continuare a sostenere militarmente l’Ucraina e le ragioni non sono solo etiche ma d’interesse nazionale.

Come ricorda Mark. A. Thiessen (“Washington Post”), il 90% dei 68 miliardi di dollari spesi dagli USA per sostenere l’Ucraina resterà negli Stati Uniti foraggiando aziende americane che progettano, sperimentano e assemblano nuove armi per rimpiazzare quelle vecchie inviate in Ucraina proprio sulla base dei report ricevuti da Kyiv. Ogni arma inviata in questi mesi è stata infatti tracciata non solo per evitarne un uso diverso da quello concordato ma anche per affinarne le release successive. Così s’è scoperto per esempio che il filtro dell’aria motore nei tank Abrams dev’essere riposizionato per evitare che s’imbratti nei terreni fangosi rovinando il motore, o che visori notturni e sistemi di puntamento dei ManPads possono essere perfezionati. L’abilità degl’ingegneri ucraini ha stupito il mondo quando in sole due settimane ha prodotto lo scorso maggio l’aggiornamento software che consente oggi ai Patriot -progettati negli anni ’70 dello scorso secolo- di neutralizzare le minacce ‘ipersoniche’ tanto a lungo brandite da Putin. Molta tecnologia attualmente usata in ambito civile, delle telecomunicazioni, aerospaziale o elettromeccanico deriva inoltre da quella militare. La mappatura dei fondi per gli aiuti militari statunitensi effettuata dall’American Enterprise Institute identifica 117 linee di produzione in almeno 31 Stati e 71 città, nelle quali vengono prodotti armamenti innovativi con budget pari al 90% di quanto inviato all’Ucraina.
Le tesi dei 31 repubblicani che tengono sotto scacco il Congresso sono dunque farlocche.

Pur affrontando un periodo di crisi, la Germania di Scholz rilancia per questi motivi al raddoppio il sostegno all’Ucraina, perché sa che il denaro investito andrà a creare nuovi posti di lavoro foraggiando le aziende tedesche. Basti pensare alla joint venture che consentirà alla Rheinmetall di produrre 400 blindati l’anno in Ucraina. Persino il leader dei Verdi tedeschi Fischer ha ammesso candidamente che all’Europa serve una maggiore deterrenza nucleare, perché affidarsi a quella inglese e francese non basta più.
Non si tratta dunque di sostenere esborsi folli per fornire all’Ucraina novelle vergeltungswaffe (le “miracolose armi punitive” indicate con la lettera “V” che avrebbero dovuto sbloccare il secondo conflitto mondiale a favore di Hitler) ma di capire che a 29 anni esatti dalla firma dello sciagurato Memorandum di Budapest le democrazie occidentali sono chiamate a investire proprio nella deterrenza per difendere la loro stessa esistenza.
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