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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna Quando pensiamo alle donne, ai diritti delle donne, spesso dimentichiamo volontariamente o involontariamente - perché lontane da noi - le donne che vivono sotto autoritarismi che impongono loro di stare in casa, di non accedere all’istruzione (anche quella più elementare), di non lavorare, di indossare veli che coprono interamente il volto, di non praticare sport. Pensiamo, in prima battuta, all’Afghanistan, alle bambine e alle ragazze, alle donne afghane. Pensiamo al loro terrore di vivere sotto la brutale violenza del regime dei talebani che, dal 2021, da quando sono tornati al potere hanno avviato una drammatica fase di violenze e violazione dei diritti umani che la popolazione afghana era riuscita a conquistare negli ultimi vent’anni. Un territorio nel quale il concetto di democrazia o di stato democratico resta ancora una lontana chimera in un mondo scosso da continue trasformazioni geopolitiche. I talebani sono noti per non rispettare i diritti, in particolar modo delle donne. I diritti delle donne sono cambiati in maniera significativa, soprattutto negli ultimi 20 anni, con la caduta del regime talebano che aveva imposto drammatiche restrizioni. In questi ultimi mesi è stato compiuto un “salto indietro nel tempo”. Si è tornati indietro di almeno 30 anni quando ad inizio anni ’90, quando i talebani erano saliti al potere e i diritti che le donne avevano avuto fino ad allora vennero cancellati.
Quando i talebani salirono al ‘potere’ con la violenza, tra il 1996 e il 2001, imposero degli obblighi/divieti alle donne come il non poter uscire di casa da sole. Divieto che è stato reintrodotto di recente. Fino al 2021 le donne, pur vivendo in una società fortemente patriarcale, avevano ottenuto dei diritti che gli hanno consentito di vivere “più alla luce del sole”. Con il ritorno dei talebani nel 2021 si è tornati a temere per le donne e per quei diritti (ancora relativamente pochi) che erano stati faticosamente riconosciuti. Perché nonostante l’intervento militare, la condizione delle donne era (ed è) nettamente lontana dall’insieme dei diritti che alle donne sono riconosciuti nel mondo occidentale. Più del 60% delle bambine non riceve istruzione (anche se dal 2001 qualche piccolo miglioramento si è avuto). Purtroppo il ritorno dei talebani ha portato con sé l’impossibilità per le bambine e le ragazze di frequentare scuole o università, mentre le scuole maschili già ad ottobre dello scorso anno erano state riaperte. Le donne insegnavano anche nelle scuole maschili e anche nelle università, ma sono state costrette a lasciare il loro lavoro. La drammatica situazione economica in cui versa l’Afganistan ha costretto molte famiglie a non mandare più i figli a scuole, ma a mandarli a lavorare per ‘racimolare’ quale soldo per tentare di sopravvivere. Spesso, come ha raccontato Pangea onlus, sono proprio i bambini che ‘lavorano’, che vengono mandati dalle famiglie a ‘lavorare’ per racimolare quei pochi soldi per la sopravvivenza (nel senso letterale della parola) di famiglie spesso numerose. Con il ritorno dei talebani e l’introduzione del divieto per le donne di poter lavorare sono tante le realtà non governative che hanno subito ‘danni’ probabilmente irreparabili e di riflesso la popolazione afghana. Save the Children ha dovuto sospendere i suoi programmi in Afghanistan nel momento in cui è stato reintrodotto il divieto di lavoro per le donne nelle Ong. Questo ha comportato anche un aggravamento delle condizioni in cui queste realtà non governative operano in territori martoriati da divieti imposti con la forza e con le armi. Queste le drammatiche parole di un portavoce: “Il personale femminile è al centro del lavoro di Save the Children in Afghanistan. Sono i nostri medici, infermiere, ostetriche, sono le nostre consulenti, operatrici e insegnanti, sono le nostre esperte di finanza, sicurezza e risorse umane. Ma soprattutto, il nostro personale femminile ci permette di accedere a donne e bambini. La maggior parte delle donne in Afghanistan può vedere solo operatori sanitari e operatori sanitari di sesso femminile, e le bambine possono essere istruite solo da insegnanti di sesso femminile. Se il personale femminile viene eliminato dalla forza lavoro delle ONG in Afghanistan, non saremo più in grado di fornire servizi salvavita a milioni di donne e bambini. Senza di loro, non possiamo operare in sicurezza". Sono divieti, che a noi ‘abitanti del mondo occidentale’ suonano come ‘stonati’ (eppure anche nelle nostre realtà registriamo casi al limite della dignità), ma in quel territorio più volte nel corso degli anni le donne si sono trovate ad essere le vittime di questi divieti imposti da uomini e dal Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio (che con il ritorno dei talebani ha ‘sostituito’ il ministero per gli affari femminili). Save the Children ha riportato una testimonianza (che può essere esempio di tante storie in Afghanistan): i talebani hanno impedito a Fatima di lavorare per Save the Children. Fatima è un insegnante. Le è stato impedito di svolgere il suo lavoro in quanto donna. Dalle parole di Fatima: “Io avevo 9 anni quando ho scoperto cosa fosse andare a scuola. Non sapevo leggere né scrivere e non sapevo neppure che aspetto avesse un edificio scolastico. La comunità dove sono cresciuta, in Afghanistan, non aveva una scuola e tutti erano analfabeti. Poi un giorno un’organizzazione turca ha aperto una scuola vicino casa mia, e tutta la mia vita è cambiata.”. Le organizzazioni non governative (pensiamo a Pangea Onlus, Save the Children, Emergency e tante altre) sono state fortemente limitate se non addirittura chiuse completamente. Il dramma dell’assenza di istruzione che si somma alla estrema povertà della popolazione afghana è una piaga profonda di un territorio già fortemente provato. Le associazioni che si battevano per provare a garantire un livello elementare di educazione si trovano oggi nel buio più profondo. Un esempio è Matiullah Wesa che si batteva, fin da giovanissimo, per l’educazione di bambini e giovani donne in Afghanistan con l’associazione no-profit PenPath che ha combattuto la piaga dell’analfabetismo in tutto il Paese. Ha aperto scuole, ha garantito l’istruzione, ha fornito libri nelle aree più remote dell’Afghanistan. Matiullah Wesa è stato arrestato dai talebani a Kabul. L’ultimo rapporto di Amnesty International del 2023 restituisce una fotografia drammatica. Prendiamo in considerazione l’area asiatica e del Pacifico e in particolare l’Afghanistan dove “sono aumentate in modo esponenziale le restrizioni ai diritti delle donne, alla libertà degli organi di informazione e alla libertà di espressione[…]. L’Afghanistan è stato l’unico paese al mondo in cui alle ragazze era vietato frequentare la scuola secondaria. I talebani hanno chiuso quasi tutte le istituzioni create sotto il precedente governo per affrontare la violenza di genere.”. Con il ritorno al potere dei talebani è stato anche chiuso il Ministero degli Affari femminili e sostituito con il Ministero per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio. Proprio questo ministero è il “protagonista” di questa brutale repressione nei confronti delle donne afghane che hanno protestato, ma al contempo hanno subito forme di detenzione illegali e hanno subito violenze. È impedito loro di poter accedere a luoghi e spazi pubblici. È stato impedito loro di poter lavorare per le Ong e di conseguenza anche di uscire di casa, infatti “i talebani hanno annunciato che i parenti maschi sarebbero stati responsabili di qualsiasi violazione delle restrizioni da parte delle donne e ragazze delle loro famiglie. Ciò ha portato le famiglie a limitare i diritti delle parenti donne, per paura di rappresaglie da parte delle autorità talebane.” La situazione in Afghanistan è sempre più grave e critica soprattutto nel periodo invernale. Pangea Onlus, nonostante le enormi difficoltà ci mostra la drammatica situazione in verte il Paese e in cui si trovano donne e bambine afghane. Una situazione sempre più grave che peggiora la situazione e condizione delle donne. In Paesi come appunto l’Afghanistan (ma non si può dimenticare anche l’lran e le proteste che lo hanno infiammato in questi ultimi mesi) si cerca di rendere le ragazze e le donne dei soggetti invisibili, senza voce. Ma quale sarà il futuro delle donne, delle nuove generazioni in questi autoritarismi? È la domanda che come donne, come cittadini del mondo occidentale abbiamo il dovere di porci e quali iniziative a livello internazionale potranno essere adottate anche in un futuro prossimo. È vero che c’è sempre una fioca luce di lotta da parte di queste donne costrette dal regime talebano a ripiombare nel più cupo passato diventato nuovamente quotidianità. Lottano contro i regimi (non solo quello afghano) che le hanno private o vogliono privarle dei loro diritti, delle loro libertà fondamentali escludendole dalle sfere pubbliche, dalle scuole, dalle istituzioni.
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