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Il Bloody Sunday: strade rosso sangue tra le verdi colline d’Irlanda

30/1/2023

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Cosimo Gagliani

Giovane Avanti! Milano

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Derry, Irlanda del Nord, domenica 30 gennaio 1972.

Quel giorno, nel quartiere di Bogside, quella che doveva essere una manifestazione pacifica per i diritti civili si trasformò in una strage.
Quando il primo battaglione del Reggimento dei Paracadutisti inglesi aprì il fuoco sulla folla disarmata, composta per la maggior parte da giovani studenti, nessuno avrebbe immaginato che quel giorno sarebbe passato alla storia con il nome di Bloody Sunday, la Domenica di Sangue.
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In quell’efferato eccidio persero la vita quattordici persone e molte altre furono ferite.
Il massacro di Derry è l’evento storico che rappresenta l’apice della violenza che ha scosso la regione delle sei contee dell’Ulster almeno fino al 1998. Protagoniste dello scontro furono le due fazioni di nordirlandesi: una indipendentista in maggioranza di religione cattolica e filo-repubblicana, l’altra unionista in maggioranza di religione protestante e filo-britannica.
Lo scontro tra le due anime nordirlandesi fu prettamente politico e, a differenza di quanto molti erroneamente credono, la componente religiosa è stata marginale nel conflitto.
La religione fu un pretesto usato da entrambe le parti come collante sociale; un’idea nata a tavolino per creare un sentimento unitario e identitario da contrapporre reciprocamente a quello del nemico. 

Per capire le tensioni che hanno portato al conflitto, sarebbe necessario un dedicato approfondimento storico che però mi concedo di non trattare in quest’articolo.
Per narrare i fatti successi durante il Bloody Sunday basta sapere che gli scontri sociali tra le due fazioni hanno radici profonde che nascono circa alla metà del XVI secolo e passano per un’occupazione straniera, una rivolta, un’unione politico-territoriale, una carestia, una diaspora, una sostituzione etnica, una guerra d’indipendenza e una guerra civile.
Nasce così la “questione irlandese”, quel nodo gordiano che ad oggi sembra essere inestricabile.

Partendo proprio dalla guerra civile, essa ebbe inizio nel 1921 quando il governo britannico si impegnò, entro l’anno successivo, a concedere l’indipendenza solo ad una parte dell’isola costituendo l’Irish Free State con capitale Dublino assegnando status politico di Dominion della Corona. Invece tenne sotto diretto controllo sei delle nove contee della provincia a dell’Ulster dichiarando Belfast nuova capitale.
Protagonista del conflitto da parte cattolica fu l’IRA (Irish Republican Army) che era un’organizzazione paramilitare nata nel 1917 per opporsi al dominio britannico. Nel 1922, quando con la firma del Trattato Anglo-Irlandese fu creato un Irish Free State che non includeva la regione nord-orientale dell’isola, appunto l’Irlanda del Nord, all’interno dell’IRA ci fu una prima spaccatura tra coloro che sostenevano il Trattato e i contrari, scissione che ebbe fine con la vittoria dei sostenitori del Trattato che pose fine alla sanguinosa guerra civile ed anche alla stessa IRA. 

La suddivisione in due diverse entità dell’isola d’Irlanda, rimase tale anche dopo il 1949 quando l’Irish Free State decise di diventare Repubblica d’Irlanda ed abbandonò il Commonwealth.

L’Irlanda del Nord che era sotto diretto controllo britannico, era anche la parte dell’isola con la più alta concentrazione di ricchezza industriale. I grandi cantieri navali britannici erano tutti lì e lì era stata collocata nel corso dei secoli di dominazione britannica, una presenza demografica, sociale e politica di etnia inglese fortemente legata a Londra, fatta di gente impiegata in questo tipo di attività economica e che da essa ne ricavava i frutti, quindi il proprio status sociale. Status sociale non riconosciuto alla popolazione autoctona, ormai in minoranza, di etnia celtico-gaelica che desiderava riunirsi alla madrepatria repubblicana e che viveva costantemente controllata, repressa e messa nelle condizioni di non poter nuocere all’assetto socioeconomico voluto da Londra. Questa minoranza era deprivata su tutti i piani: per quanto riguarda l’accesso ad alcuni tipi di istituti e di percorsi di formazione scolastica, per quanto riguarda l’acquisto di immobili, sul lavoro venendo privata della possibilità di occupare funzioni nel settore pubblico.
Per limitare i margini d’azione politica della minoranza, i britannici inventarono il modello elettorale del “gerrymandering” che in pratica, mediante una calcolata suddivisone dei collegi elettorali, garantiva sempre ai protestanti la maggioranza dei voti anche in città come Derry dove la maggioranza della popolazione era repubblicana nazionalista. Il sistema elettorale introduceva anche il voto per censo, dove il diritto democratico per il quale ogni persona potesse esprimere la propria preferenza politica con voto, non era riconosciuto. Potevano votare solo i proprietari di case che erano in  maggioranza inglesi e protestanti, mentre questo diritto era negato agli inquilini in affitto quasi tutti irlandesi e cattolici.
L’Irlanda del Nord, quindi, si configurò sin dalla sua nascita come uno Stato dal regime antidemocratico e di apartheid. Una cosa che sconvolgente se riflettiamo sul fatto che tutto avvenne in pieno territorio europeo a metà del XX secolo.

Tornò così in auge l’IRA a difesa delle istanze cattoliche e dei civili vittime di soprusi da parte delle forze unioniste. Ad essa si contrappose l’UVF (Ulster Volunteer Force) forza paramilitare, appoggiata dalla polizia, in sostegno alle rivendicazioni unioniste.
L’escalation degli sconti perdurò fino ai primi anni ’70 quando il clima politico in Irlanda del Nord divenne sempre più teso a causa dell’opposizione delle due fazioni. Se da un lato la classe borghese protestante degli unionisti difendeva ardentemente l’appartenenza al Regno Unito, dall’altro la popolazione proletaria cattolica premeva per l’unificazione dell’Irlanda come un’unica nazione libera dall’influenza britannica. Sin dai primi momenti di contrasto la città di Derry, enclave a maggioranza cattolica, era considerata dai nazionalisti come il simbolo delle discriminazioni e del malgoverno unionista, punto di riferimento per la lotta per l’indipendenza dell’Irlanda del Nord dal Regno Unito.

Alla vigilia dei fatti del 30 gennaio 1972, oltre ai movimenti armati, la piccola cittadina era la sede di numerose organizzazioni per i diritti civili come la Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA) e People’s Democracy guidata dalla sua leader Bernadette Devlin, attivista civile e deputata socialista a Westminster per l’Irlanda del Nord, ed organizzatrice della marcia di Bogside, teatro del massacro della Domenica di Sangue. Anche la scelta del luogo del corteo non fu casuale: nel 1969 il quartiere operaio di Bogside era stato terreno di un tragico scontro tra unionisti e nazionalisti che spinse il governo britannico a inviare l’esercito per ristabilire l’ordine. 

Quella mattina almeno quindicimila persone si incontrarono nella zona di Creggan per partecipare alla marcia pacifica contro l’introduzione della pratica dell’internamento senza giusto processo di chiunque fosse sospettato di attività sovversiva. Il corteo una volta arrivato nella piazza di Bogside per il comizio finale, fu sorpreso alle spalle da un’imboscata dei soldati britannici cui fu ordinato di sparare sulla folla per disperderla. L’esercito aprì il fuoco e colpì ventisei persone, di cui molte alle spalle. Mentre la folla scappava e cercava riparo, tredici persone morirono a causa dei colpi di arma mentre una quattordicesima vittima morirà quattro mesi dopo a causa delle ferite riportate. La violenza ingiustificata non fece altro che acuire il clima di tensione e aumentare le operazioni sovversive dell’IRA, ormai sostenuto dalla popolazione cattolica stanca e spaventata.

Il governo negò sin da subito la responsabilità dell’esercito. Il primo ministro Edward Heath giudicò innocenti i soldati, liquidando l’accaduto come legittima difesa e dipingendo le vittime come terroristi armati. Tale giudizio fu messo a verbale nonostante tutti i testimoni sul luogo raccontarono che le vittime erano persone disarmate, colpite mentre fuggivano o prestavano soccorso ai feriti. Ciò che aumentò l’indignazione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale sul Bloody Sunday, fu che molte delle vittime avevano appena diciassette anni.

In Italia, l’edizione dell’Avanti! del 1 Febbraio successivo, riportò la notizia della strage. L’articolo raccontava anche un fatto che ebbe luogo alla Camera dei Comuni di Westminster il giorno prima: alla parlamentare Bernadette Devlin che era presente alla strage fu impedito di prendere parola così, mentre l’allora ministro dell’interno Reginald Maudling affermava che i paracadutisti avevano agito per legittima difesa, attraversò la Camera e si diresse verso il ministro dei Tories definendolo bugiardo e poi lo schiaffeggiò.
Il suo gesto, definito da alcuni l’espressione di una “protesta proletaria”, è entrato nell’immaginario comune e nella storia irlandese tanto che ancora oggi si continua a parlarne. Devlin è diventata un’icona radicale e la sua tenacia un punto di riferimento per la lotta unionista.

Il tentato insabbiamento sui fatti di Derry da parte del governo britannico non fece altro che rallentare il processo di pacificazione.

Stoicamente possiamo definire il giorno del Bloody Sunday come il giorno in cui ebbe inizio il cosiddetto periodo dei “Troubles” (i “disordini”) caratterizzato da scontri cruenti ed attentati rivendicati sia dall’IRA sia dall’UVS e sia perdurarono fino al 1998 quando, con la firma degli accordi del Venerdì Santo, fu sancita una tregua che dura tutt’oggi. 

Solo a seguito di tali accordi il primo ministro Tony Blair decise di avviare un’inchiesta pubblica sul massacro; fu istituita così la commissione d’inchiesta Saville, dal nome del giudice che la presiedeva, i cui risultati sono stati resi pubblici nel 2010, durante il governo di David Cameron. I risultati dei lavori di ricostruzione dei fatti hanno portato alla riabilitazione definitiva delle vittime e al riconoscimento delle colpe dell’esercito che aveva aperto il fuoco sulla folla di civili disarmati. Il primo ministro Cameron si scusò pubblicamente con il popolo irlandese sostenendo che «l’attacco dei soldati britannici è stato ingiustificato e ingiustificabile» e che nessuna delle vittime costituiva un pericolo per la sicurezza pubblica.
Nonostante ciò, però, nessuno dei responsabili materiali della strage è stato assicurato alla Giustizia.

Se l’indignazione dell’opinione pubblica ed il clamore dei fatti “costrinsero” il governo britannico a confessare e a riconoscere le proprie responsabilità sulla strage, questo lo dobbiamo anche al giornalista italiano Fulvio Grimaldi.
Il giorno in cui avvenne la strage, su Derry c’erano gli occhi puntati della stampa internazionale. La stampa accreditata delle maggiori testate giornalistiche di tutto il mondo, che di certo non aveva problemi di liquidità economica, fece alloggiare i propri inviati nelle strutture alberghiere che si trovavano della parte alta della città, quella ricca e protestante. L’esercito britannico impedì ai giornalisti di recarsi a Bogside, a detta loro per problemi di ordine pubblico. In realtà l’esercito aveva già pianificato quella che sarebbe stata l’azione repressiva delle proteste.
A tale impedimento sfuggirono, per loro fortuna giornalistica, il giornalista italiano ed una sua collega francese. Grimaldi, che ai tempi era uno squattrinato giornalista freelance e che non disponeva delle coperture economiche di una strutturata redazione, a Bogside si trovava già essendo ospitato da una famiglia del posto.
Lui si trovava proprio alla fine del corteo, nel punto in cui i parà spararono. Nella follia di quegli attimi non perse la lucidità e riuscì a scattare delle foto e a registrare su nastro l’audio della sparatoria. Riuscì fortunosamente a mettersi al riparo ma non passò inosservato ai cecchini dell’esercito il quale, il giorno dopo, emanò via radio un mandato d’arresto e una taglia sulla sua testa di Grimaldi, promettendo una ricompensa a “chiunque consegnasse alle autorità il giornalista italiano, con ogni possibile mezzo e a qualsiasi costo!”. Non lascia spazio ad interpretazioni quale potesse essere il “qualsiasi costo”.
Grimaldi fu aiutato a fuggire oltre confine la notte stessa da Martin McGuinness, che sarebbe diventato poi comandante maggiore dell’IRA e in seguito anche vice primo ministro dell’Irlanda del Nord. McGuinness organizzò una staffetta in auto che avrebbe portato Grimaldi a Dublino all’alba della mattina successiva prima della stampa dei giornali, dove il giornalista italiano avrebbe trovato una testata disponibile a pubblicare il materiale fotografico e una propria versione sull’accaduto.
Grimaldi, per la gente di Derry e per la stampa libera, fu l’unica possibilità per far conoscere al mondo la verità sulla strage del Bloody Sunday in risposta alla versione ufficiale che il governo di Londra stava propinando al mondo.
Nella ricerca della verità, per questo ma anche per altri fatti di cronaca, dobbiamo essere grati al coraggio dei giornalisti che, come Grimaldi, non hanno avuto timore nell’opporsi al potere costituito. Potere formato da un gruppo patologico di potenti che pensa di poter gestire le vite delle persone con la violenza e con un cinismo disumano, che ha smarrito il rispetto per la vita e che si avvale di qualsiasi mezzo e di qualsiasi apparato per esercitare quel potere tossico che tutto vuole soggiogare con la propria autorità.

Ogni anno, il giorno dell’anniversario della strage di Derry, i parenti delle vittime e migliaia di persone con loro solidali, sfilano nelle stesse strade di Bogside che furono teatro del massacro per mantenere vivo il ricordo delle vittime e per sostenere la battaglia giudiziaria che mira a portare davanti ad una corte giudiziaria i soldati britannici responsabili degli omicidi. Le famiglie di coloro che sono morti hanno giurato che nonostante le scuse del governo britannico, la lotta continuerà.

Con l’attuazione della Brexit si è registrato un riacuirsi delle tensioni lungo il confine e ci sono stati casi in cui si è tornati a sparare, come nel caso della morte di Lyra McKee, 29 anni, una delle più brave e promettenti giornaliste nordirlandesi, avvenuta sempre a Derry il 19 aprile 2019.
Da anni in Irlanda, nel sottobosco della tensione sociale, combattono sempre più ferocemente bande di estremisti, unionisti da una parte e repubblicani dall’altra. L’incertezza della Brexit e del futuro del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord potrebbe soltanto peggiorare le cose. Ma questa è un'altra storia.
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