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il divario digitale in italia: storia di un ritardo cronico

23/3/2022

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giulia cavallari

Giovane Avanti! Bologna

Ogni anno con la pubblicazione del DESI (Digital Economic and Society Index) l’Italia è costretta a fare i conti con la realtà. Una vera e propria arretratezza in termini di digitalizzazione dei servizi, di conoscenze base nell’uso degli strumenti informatici e di capitale umano.
Sicuramente il PNRR, con gli oltre 40 miliardi di euro per la Missione 1 relativa alla digitalizzazione innovazione e competitività, rappresenta l’occasione, dal punto di vista degli investimenti, per cercare di colmare-almeno in parte- questo divario cronico che l’Italia ha anche con gli altri Stati UE.
I dati emersi raccontano una Italia che con fatica vede aumentare il numero degli utenti (cioè cittadini) che utilizzano i sistemi di e-government a dimostrazione del percorso ancora lungo per avvicinarsi agli Stati digitalmente più sviluppati e avanzati. Servono interventi profondi, motivo per il quale la Missione 1 è trasversale ad una serie di riforme e progetti che spaziano nell’intero PNRR con la finalità di ridurre i divari strutturali che, ormai, sono ‘parte integrante’ della Pubblica Amministrazione.

Quando si parla di capitale umano si intendono i soggetti (più o meno giovani) che ricorrono all’uso degli strumenti informatici e tecnologici. Nel 2021 il Paese registra, ancora una volta, dati negativi sul fronte delle e-skills (competenze digitali) posizionandosi al 25° posto tra gli stati membri UE.

In Italia meno della metà delle persone con una età tra i 16 e i 74 anni (42%) ha le c.d. competenze digitali di base, mentre solo il 22% ha conoscenze e competenze digitali superiori contro un 31% che rappresenta la media UE. 

È chiaro che questa situazione ha in sé il fenomeno dell’esclusione digitale di una parte significativa della popolazione (digital divide culturale), ma ciò comporta anche un forte rallentamento della capacità che le imprese hanno di innovare e quindi di diventare sempre più competitive sul mercato non solo nazionale, ma soprattutto comunitario e internazionale.

Anche il settore pubblico che, in particolar modo in questo ultimo anno e mezzo, è sotto i riflettori “a causa” della pandemia restituisce, ancora una volta, l’immagine dell’arretratezza digitale dell’Italia. 

Il nostro Paese, stando al DESI 2021, si colloca al 18° posto (con un 36%) per la dimensione dei servizi pubblici digitali ponendosi ben al di sotto della media europea (64%). Certamente va rilevato che sono stati compiuti piccoli passi in avanti lungo la strada della digitalizzazione, ma il numero di utenti che accedono e utilizzano i servizi non è aumento in maniera esponenziale, andando così a deludere le aspettative. 

Si parla di PNRR come dell’occasione, forse l’ultima, che l’Italia ha per innovare e potenziare se stessa anche in termini di digitalizzazione.

Purtroppo il nostro Paese soffre anche di un digital divide “femminile” che si inserisce nel tristemente noto digital divide nazionale. Significa che in Italia le donne utilizzano meno degli uomini i servizi di e-government, hanno meno conoscenze e competenze informatiche e digitali. In Italia solo il 38% delle donne ha le c.d. basic digital skill contro il 54% delle donne in Europa. 

Il varo sia della Strategia Nazionale per le Competenze Digitali e che del Piano operativo rappresentano quei progetti di transizione digitale che da tanto troppo tempo sono attesi nel Paese.

La sfida che il PNRR impone è immensa e sia le Istituzione che i cittadini sono chiamati ad essere attori protagonisti di questa trasformazione per consentire all’Italia da un “medioevo digitale” (cit. A.Alù) e per superare un vero e proprio gap tecnologico con gli altri Stati membri UE in termini sia di competenze e che di capitale umano. 

Il Piano Italia Domani si pone, tra gli obiettivi da raggiungere, proprio quello di colmare il gap di competenze digitali portando ad almeno il 70% la popolazione digitalmente abile e al contempo l’altra grande sfida è quella di portare la Pubblica Amministrazione ad utilizzare i servizi in cloud, a raggiungere almeno l’80% dei servizi pubblici essenziali erogati online (fonte Ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale).

Una Pubblica Amministrazione che sia più ‘semplice’ per i cittadini e per le imprese e cercando di raggiungere la tanto agognata interoperabilità e comunicazione tra gli uffici. 
​
La sfida più grande sarà anche quella di rendere la Pubblica Amministrazione efficiente con una digitalizzazione delle infrastrutture tecnologiche seguendo l’approccio del cloud first, facendo sì che le informazioni siano a disposizione delle amministrazioni e richiamando il principio definito “once only”, in modo tale che non vi sia da parte di una amministrazione la necessità di chiedere ad altre amministrazioni e, di conseguenza, attendere i tempi tecnici-sempre piuttosto lunghi- per ottenere informazioni che oggi sono “in possesso” di diversi enti. 
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