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Il mar comune

10/7/2023

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Riccardo Imperiosi

Direttore Giovane Avanti!


​Nel Mediterraneo si continua a morire. Stavolta il naufragio è di proporzioni bibliche, uno dei più gravi mai avvenuti nel Mare Nostrum. 

Si parla di 750 persone a bordo del barcone che mercoledì 14 giugno è affondato in acque greche mentre dalla Libia tentava di raggiungere le nostre coste. Solo 104 ad ora sono stati salvati, ne consegue che i numeri potrebbero arrivare a superare i 600 decessi. 

Numeri che forse non rendono bene l’idea di cosa sia successo. Perché fintanto vengono usate le cifre, è come se in fondo si spersonalizzasse la vicenda, come se non si considerasse che, appunto, si parla di persone. Persone che si portano dietro affetti, famiglie, ricordi, sentimenti ed emozioni. Persone come tutti noi.
Le vittime sono tutti uomini tra i 16 e i 40 anni provenienti, secondo le fonti greche, da Afghanistan, Pakistan, Siria e Egitto. Tutti Paesi politicamente instabili quando non direttamente in conflitto, lontani da processi di democratizzazione e - talvolta - anche dall’autodeterminazione, dovendo subire ingerenze notevoli da parte di Stati esteri, solitamente superpotenze, che nei fatti impediscono uno sviluppo socio-politico delle aree in questione. 

Ma qui, purtroppo, il punto è un altro ed è chiaramente politico. La Guardia costiera greca era stata avvertita da Frontex e dai colleghi italiani, erano perfettamente a conoscenza della situazione tragica e hanno deliberatamente deciso di non intervenire, sulla falsariga del naufragio di Cutro. Al netto dei contorni tragicomici che assume la vicenda quando si sentono le giustificazioni della Guardia costiera - secondo loro i migranti avrebbero rifiutato volontariamente i soccorsi - verrebbe da chiedersi quando finiranno le speculazioni politiche sulle spalle delle persone. 
Perchè di questo si tratta: speculazioni. Come nel caso di Cutro, come in migliaia di altri naufragi, come in decine di migliaia di viaggi della speranza tentati da persone che, pur di regalare una nuova vita a sé stessi e alle famiglie - tramite i ricongiungimenti -  rischiano la vita nella lingua di mare tra la Libia (o la Tunisia) e l’Italia. 

Il fil rouge appare abbastanza evidente: il colore dei governi. Anche quello greco, guidato da Kyriakos Mītsotakīs, è di destra e come la maggior parte dei governi di destra moderni - basta vedere la situazione europea - è nazionalista, il che implica necessariamente la distinzione tra noi - espressione dell’identità nazionale - e loro, i diversi, quelli che arrivano a minare l’integrità della suddetta identità. Il concetto è quello del amicus-hostis, sintetizzabile come amico-nemico, di Carl Schmitt, una dicotomia necessaria alla politica in quanto portatrice di differenze e, quindi, di dibattito, di pluralismo. Ma se esasperata diventa una mera giustificazione per strumentalizzazioni, intolleranze e divisioni che, nella società odierna sempre più frammentata, multietnica e liquida, non fanno altro che distruggere ulteriormente quel tessuto sociale già discretamente maltrattato.

In soldoni il concetto è semplice: abbiamo bisogno che lo straniero sia il nemico affinché sembri che ne esca rafforzata l’identità e la coesione nazionale. Un concetto che però è estremamente limitato e anacronistico per quelle che sono - o dovrebbero essere - le liberaldemocrazie moderne europee. 

Limitato perché di fatto vengono sistematicamente esclusi dal conteggio degli “stranieri”, di quelli che minano l’identità nazionale, tutte le persone provenienti da Paesi “amici” o da culture occidentali che per molti versi possono sembrare simili alla nostra, ma che niente hanno a che vedere con l’identità nazionale. La possibile critica può essere relativa all’impero romano, alla sua dominazione in Europa e parte di Africa e Asia: ma è impossibile non notare come, sebbene la nostra cultura (il diritto in primis) sia direttamente discendente dai romani, la storia moderna del nostro Paese sia caratterizzata dall’estrema frammentazione politico-culturale, il cui primo esempio può essere proprio l’incredibile somiglianza dei dialetti siciliani e campani con la lingua spagnola.
Anacronistico perché la costruzione delle identità, delle culture collettive (come possono essere la Resistenza o il Risorgimento nel caso italiano) è distante decenni, in alcuni casi secoli e la società nel frattempo è mutata profondamente. La società di oggi, complice il capitalismo sfrenato, la globalizzazione coatta e la rivoluzione tecnologica e delle comunicazioni (di massa e non), è estremamente variegata, multietnica, indubbiamente più complessa di quanto non lo fosse un secolo fa. 
Sarebbe molto più utile capire come ottenere un reale benessere in questo tipo di società, come vivere in armonia - nei limiti naturali della collettività - piuttosto che tentare di barricarsi dentro a fortini di carta. Sarebbe utile capire come governare questi cambiamenti sociali senza grattare alcuna pancia, farlo restando semplicemente umani.
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