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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna Il famoso MES è tornato ad occupare la scena politica e ha spaccato il governo e la destra. Il MES è il Meccanismo europeo di stabilità operativo dal 2012 (istituzione europea che ha lo scopo di aiutare i paesi dell’Eurozona in difficoltà economica). Il MES ha un capitale di 704,8 miliardi di euro e l’Italia ha sottoscritto il capitale del MES per 125,3 miliardi di euro, versando più di 14 miliardi. Per l’Italia dopo anni di rinvii è giunto il momento di procedere alla ratifica del trattato che altri Stati membri dell’UE hanno già adottato. L’Italia è l’unico Paese UE a non averlo ancora ratificato. L’Italia deve votare una riforma e questo non significa richiedere l’aiuto economico. Ma andiamo con ordine: il Ministero dell’Economia guidato da Giorgetti (Lega) ha di fatto ‘promosso’ il MES dato che è arrivato un parere del Capo di Gabinetto del Ministero di via XX Settembre secondo cui con la riforma non si avrà un aumento del debito e una esposizione del Paese sui mercati. Un documento ufficiale che non rileva criticità sul MES e quindi anche per l’Italia.
Una relazione che però ha smontato anni di propaganda di Salvini e Meloni. Salvini ha fatto quello che gli riesce meglio: minimizzare derubricando la relazione ad ‘opinione tecnica’. Il 22 giugno durante i lavori parlamentari, l’iter di approvazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (c.d. Fondo salva Stati) ha mostrato quanto il governo sia in difficoltà. I partiti di maggioranza alla Camera non hanno partecipato alla votazione in Commissione Esteri sulla convalida del MES. Questa vicenda ha comunque portato all’approvazione del testo base del disegno di legge di ratifica del MES che era stata presentata dal PD. L’immagine è stata alquanto surreale perché a votare la proposta sono stati il PD con Italia Viva-Azione, mentre M5S e Sinistra Italiana-Verdi si sono astenuti. Di fatto è stato votato dall’opposizione. E la maggioranza? Non pervenuta. Hanno disertato i lavori della Commissione Esteri alla Camera. Era assente anche il Governo, cioè non c’era alcun rappresentante del Governo e per legge e regolamenti parlamentari durante le sedute delle Commissioni è prevista la presenza di un rappresentante del governo proprio per esprimere un parere sulle proposte legislative. Questa situazione così difficile si è verificata perché i partiti di maggioranza hanno scelto di non partecipare al voto in Commissione. È stato addirittura rinviato un Consiglio dei Ministri “per sopraggiunti motivi personali” di Giorgia Meloni. Non è stata una grande giornata per il Governo, per la maggioranza (sempre più in fibrillazione), per Giorgia Meloni. A questo punto il testo passa in Commissione Bilancio per poi tornare in Commissione Esteri dove sarà votato il mandato al relatore del testo. Un provvedimento atteso per la fine del mese a Montecitorio dove inizierà la discussione del disegno di legge alla Camera. Però la questione è molto delicata dal punto di vista politico perché la ratifica o meno del MES non può non avere risvolti sul piano della politica comunitaria. Tra una settimana il governo potrebbe trovarsi di fronte ad un bivio e questa volta è costretto a scegliere quale uscita prendere: scegliere se affossare la ratifica del MES e quindi decidere per la non entrata in vigore e provocare una sorta di “rottura” con l’Europa oppure procedere alla ratifica e rischiare una rottura della maggioranza con Forza Italia favorevole da una parte e Lega e Fratelli d’Italia contrari. È vero che sul MES decide il Parlamento, ma è altrettanto vero che il Ministero dell’Economia e delle Finanze è guidato da un ministro leghista. Ma sappiamo bene come funziona la vita parlamentare nel nostro Paese in cui lo “sport” preferito è rinviare a data da destinarsi e in questo caso a dopo l’estate. Il problema di fondo è che si tratta della ratifica di un trattato europeo e quindi i riflettori sono puntati sull’Italia. Perché questa “paura” dei partiti di maggioranza? Perché procedendo alla ratifica del MES (necessaria) cadrebbero anni e anni di polemiche e propaganda su cui parte della maggioranza di governo ha costruito la sua vita politica fondata sul populismo.
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