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Il nuovo Codice Appalti: digitalizzazione e poco più

16/5/2023

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Ettore Di Mattia

Giovane Avanti! Sicilia


Durante il Consiglio dei ministri tenutosi martedì 28 marzo è stato approvato il nuovo codice degli appalti. 

Il Codice dei contratti pubblici è un testo unico che disciplina i rapporti tra la pubblica amministrazione e le società che realizzano opere pubbliche tramite un contratto d’appalto. Deve la sua nascita al decreto legislativo 163/2006, realizzato per recepire la direttiva 2004/18/CE che stabilisce le norme dell’Unione Europea per l’aggiudicazione di appalti di lavori pubblici, forniture e servizi. 

Il nuovo Codice degli appalti varato dal governo Meloni ed entrato in vigore dal primo di aprile ha previsto alcune novità che hanno creato malumori all’interno del Paese. Tra queste vi sono: affidamento diretto fino a 150.000 euro, liberalizzazione degli appalti fino a 5,3 milioni di euro, appalto integrato sempre consentito, subappalto a cascata, riduzione da 3 a 2 livelli di progettazione e la tutela del “Made in Italy”.
​La liberalizzazione degli appalti ha destato particolare preoccupazione per la soglia dei 5,3 milioni considerata troppo elevata nonostante questa derivi dal regolamento europeo 2021/1952. Solamente al di sopra di tale cifra sarà infatti obbligatorio bandire le gare d’appalto. In mancanza le stazioni appaltanti potranno scegliere tra procedure negoziate e affidamenti diretti. Questi ultimi prevedono una soglia di 150.000 euro per i lavori e 140.000 euro per i sevizi, compresi quelli di ingegneria, architettura e progettazione. Quindi superate tali soglie entrerà in gioco la procedura negoziata senza bando fino al limite di 5,3 milioni di euro. 
Quello che viene contestato al governo non infatti è la singola norma, ma l’intero impianto del codice che in un ottica di snellimento e digitalizzazione mette in atto una vera e propria deregulation.
Il ritorno dell’appalto integrato non fa certo presagire bene visti gli effetti pratici ai quali di solito conduce. Molto spesso infatti, dopo l’affidamento dei lavori, la stazione appaltante si vede presentare un progetto esecutivo che non corrisponde alle sue aspettative. Se sceglie di accettare l’opera questa non risponderà più agli interessi della collettività. Se invece chiede  modifiche, comincerà la lunga trattativa con l’impresa, che condurrà all’aumento dei costi prima ancora dell’inizio dei lavori, e allungando i tempi di consegna dell’opera.

Quella che invece viene propagandata come “tutela del made in Italy” vedrà assegnato un punteggio premiale per i prodotti provenienti dall’Italia o dai Paesi membri dell’Unione Europea in fase di valutazione dell’offerta. Più precisamente l’art 170 del Codice recepisce la linea guida della Commissione europea, che da tempo chiedeva di tutelare le imprese dalla concorrenza sleale di Paesi terzi. Il comma 5 dell’art 170 stabilisce infatti che “tra i criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’articolo 108, comma 4 può essere considerato dalla stazione appaltante, per ciascuna delle voci merceologiche che compongono l’offerta, il valore percentuale dei prodotti originari di Paesi terzi rispetto al valore totale dei prodotti che compongono l’offerta”. 

Alquanto criptica risulta la definizione di conflitto di interesse che tramite diversi rimandi ai vari commi dello stesso, rende l’articolo 16 quasi superfluo. 

Positivo invece il processo di digitalizzazione avviato tramite la gestione interamente digitale degli appalti nei confronti di ogni fase del contratto. Tutte le informazioni e le attività riguardanti l’appalto dovranno passare attraverso piattaforme telematiche interoperabili e confluiranno sul portale dell’Autorità, con l’acquisizione diretta dei dati. 

Ovviamente l’esecutivo, con il Ministro Salvini in testa, parla di rapidità e sburocratizzazione ma diverse sono le voci che si sono schierate in maniera netta contro il provvedimento del governo, a partire dai sindacati scesi in piazza il 1 di aprile. 

Secondo Pierpaolo Bombardieri, leader della UIL, “ci saranno gare al massimo ribasso e si rischia di indebolire tutto ciò che si è provato a costruire per la sicurezza sul lavoro e per l’applicazione dei contratti, soprattutto nell’edilizia. La logica della semplificazione che si scarica sempre sui lavoratori non è più accettabile”.

Per il leader CGIL Maurizio Landini: “Un errore il via libera ai subappalti a cascata, è lì il 90% degli infortuni”.
Durante la mobilitazione che ha visto protagonisti i sindacati dieci giorni fa Landini ha annunciato che “Quella di oggi non è una semplice protesta ma è proprio una rivendicazione per cambiare linea e per realizzare quegli obiettivi che servono per le riforme del nostro paese e credo che ci sia bisogno di avviare una grandissima campagna di assemblee di confronto in tutti luoghi di lavoro”. 

Critiche anche dal Presidente dell’Anac che a freddo aveva commentato “Bene l’impulso alla digitalizzazione degli appalti del nuovo Codice. Attenzione, però, a spostare l’attenzione solo sul fare in fretta, che non può mai perdere di vista il fare bene. Semplificazione e rapidità sono valori importanti, ma non possono andare a discapito di principi altrettanto importanti come trasparenza, controllabilità e libera concorrenza, che nel nuovo Codice non hanno trovato tutta l’attenzione necessaria, specie in una fase del Paese in cui stanno affluendo ingenti risorse europee”. Diversi i dubbi “per la riduzione della trasparenza e della pubblicità delle procedure, principi posti a garanzia di una migliore partecipazione delle imprese, e a tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti. Soglie troppo elevate per gli affidamenti diretti e le procedure negoziate rendono meno contendibili e meno controllabili gli appalti di minori dimensioni, che sono quelli numericamente più significativi. Tutto questo col rischio di ridurre concorrenza e trasparenza nei contratti pubblici”.

Secondo Anac, infatti, nel 2021 le stazioni appaltanti hanno confermato  62.812 procedure per l’assegnazione di lavori pubblici (43,39 miliardi di euro), di cui 61.731 con valore inferiore ai 5 milioni di euro, ovvero al di sotto della soglia fissata dall’Unione europea di 5,38 milioni che fa scattare l’obbligo della gara d’appalto. Il 98,7% dei lavori pubblici potrà essere assegnato direttamente o con procedura negoziata senza bando, dunque senza una gara pubblica. 

Il tutto come sempre non farebbe altro che ricadere sulle spalle dei lavoratori come ormai troppo spesso avviene: di subappalto in subappalto diminuisce la sicurezza e la tutela del lavoratore. Un provvedimento che rende più opaca la protezione del lavoratore, in un Paese come il nostro che produce secondo i dati Istat un’economia illegale di oltre 220 miliardi di euro all’anno di cui un terzo è costituito dal lavoro nero.
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