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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna Il 25 settembre andremo a votare. Siamo chiamati a rinnovare il Parlamento. Rinnovare in tutti i sensi perché anche il numero dei parlamentari sarà ridotto in seguito a quel referendum voluto dal Movimento 5 Stelle che ha portato, di fatto, ad una riduzione della rappresentanza dei cittadini all’interno del Parlamento arrecando così un vulnus al sistema della rappresentanza parlamentare e rendendo ancora più “complicata” la rappresentanza parlamentare. Claudio Martelli ha considerato il taglio dei parlamentari come un qualcosa che “ha colpito a morte il bicameralismo privandolo di ogni giustificazione e utilità. Non servono rammendi e rattoppi che comunque richiederebbero complesse revisioni” perché “Il Parlamento è l’espressione della volontà popolare, quindi il luogo per eccellenza della democrazia rappresentativa certo, ma democrazia reale”.
Ma c’è un problema che non possiamo più sottovalutare o far finta che non esista perché ormai presente da diversi anni (almeno un decennio in cui il fenomeno si è acuito): ed è il problema dell’astensionismo. Ma andiamo in ordine. Perché sono sempre meno i cittadini che decidono di recarsi alle urne? Eppure la Costituzione ci dice che il voto é un dovere civico (art. 48), ma è anche un diritto che è stato conquistato. Non possiamo neanche dimenticare l’articolo 50 della Costituzione che prevede che “Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”. Questo è un essere cittadini attivi e interessati alla vita politica della propria nazione. Il diritto di voto é stato riconosciuto alle donne solo nel 1946. Per la prima volta le donne votarono per scegliere tra Repubblica o Monarchia. Fanno parte dell’elettorato attivo donne e uomini che hanno raggiunto la maggiore età. Con le elezioni del 25 settembre anche i diciottenni voteranno non solo per la Camera, ma anche per Senato. Eppure un numero sempre maggiore di cittadini decide di non recarsi alle urne sia che si tratti delle elezioni amministrative sia che si tratti delle elezioni politiche. Lo fa per protesta, indifferenza, involontarietà. Nella precedente tornata elettorale (2018) il 24.8% degli astenuti non ha votato per ragioni di forza maggiore, il 21.6% non ha votato per sfiducia verso il voto, il 13.2% non ha votato per disinteresse, il 12.8% non ha votato per protesta verso i partiti, il 9.2% non ha votato perché non sapeva chi votare. Ma chi sono gli astensionisti? Sono gli alienati cioè coloro che criticano in maniera radicale, coloro che sono insoddisfatti, coloro che nutrono forte sfiducia nella politica; sono gli indifferenti cioè coloro che non votano per disinteresse e distacco dalla politica; sono gli involontari cioè coloro che non votano per impedimenti personali e che rientrano nella categoria della “astensione intermittente”. Recentemente il Dipartimento per le Riforme Istituzionali ha redatto un Libro Bianco “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto” presentato ad aprile 2022, ma che in realtà non ha avuto una grande risonanza. Il Ministro D’Incà nella prefazione al Libro Bianco ha scritto che “La partecipazione alla vita politica è il presupposto fondativo di ogni democrazia. Le nostre istituzioni sono legittimate solo se sono sostenute dal consenso della cittadinanza espresso nel voto per le assemblee rappresentative, per l’elezione diretta degli esecutivi, laddove sia prevista, e nei pronunciamenti popolari diretti nei referendum contemplati dalla Costituzione e dalle altre leggi.[…] A fronte di questa vera e propria malattia della democrazia, desta stupore l’attenzione che viene dedicata al tema dalle forze politiche e dai media, che ne discutono quasi solo nell’imminenza delle consultazioni elettorali. Di astensionismo si parla in genere solo nei pochi giorni prima di un voto e in quelli immediatamente successivi. Ma tra un’elezione e l’altra, quando le istituzioni avrebbero tempo di adottare misure concrete, la questione, come un fiume carsico, si inabissa nuovamente ed esce dalle agende politiche.” Guardando i dati e i numeri presenti nel Libro Bianco emerge che gli astenuti in Italia, durante le ultime elezioni europee del 2019 fanno parte principalmente della categoria degli astenuti involontari per un totale del 43.8%. il “partito” degli astenuti involontari cresce nella fascia di età tra i 55 e i 64 anni (57.6%), mentre il “partito” degli astenuti per protesta cresce nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni (60.1%). Fino ai 25 anni ci sono molti meno astenuti involontari, meno astenuti indifferenti e più astenuti alienati. Quando si parla di astensionismo non si può non prendere in considerazione il livello di istruzione che è stato uno dei fattori usato per spiegare l’astensione dal voto. Gli astenuti involontari riguarda coloro che hanno un livello di istruzione maggiore. In Italia un grande problema al quale non si è mai voluta da una soluzione riguarda gli studenti universitari fuorisede che rientrano in quell’ elettorato escluso perché la politica è intervenuta con soluzioni legislative (era all’analisi del Parlamento una proposta di legge) a sanare questo fenomeno. E anche in questa tornata elettorale, nel 2022, non potranno votare a meno che non decidano di rientrare nei rispettivi comuni di residenza anche a centinaia di chilometri di distanza dalle città in cui vivono e studiano. Sono quasi 5 milioni, un numero impressionante. In Italia, gli astenuti involontari sono in maggioranza uomini (tra i 45 e 64 anni) con più anni di studio alle spalle; gli astenuti alienati sono principalmente uomini con un livello di istruzione medio-basso; gli astenuti indifferenti sono principalmente donne (over 65) con un livello di istruzione inferiore. Un altro dato da prendere in considerazione è quello del “disinteresse”. I dati dimostrano che è molto alto tra le persone che cercano la loro prima occupazione o cercano una nuova occupazione, ma è molto alto anche tra le casalinghe (oltre il 65%), ma anche tra chi ha già un lavoro. Tuttavia, vi è anche una parte di popolazione che non si informa di politica, che non partecipa più o meno attivamente alla politica e quindi, di fatto, rinuncia ad essere parte -più o meno attiva- di quel processo di partecipazione che fa del cittadino un soggetto attivo. Dati e numeri alla mano hanno mostrato un notevole aumento della percentuale tra il 2014 e il 2019. Nel 2019 almeno il 28.3 % (più di 7 milioni e 700,000) della popolazione femminile (dai 14 anni in su) che non si informa di politica e non partecipa né in forma diretta né indiretta contro il 17.7% degli uomini (4 milioni e mezzo). Pasquino (politologo) ha provato ad individuare alcune cause dell’astensionismo. Innanzitutto la tendenza a partecipare alle tornate elettorali più rilevanti e importanti, poi una certa “somiglianza” tra le proposte avanzate dai candidato, ma sicuramente un elemento fondamentale é dato dalla crisi dei partiti. Una crisi che ormai, da anni, sta attraversando i partiti che non riescono più a dare delle risposte ai cittadini o a farsi portavoce di richieste o di battaglie che riguardano il benessere dei cittadini perché non sono neanche più in grado di mobilitare l’elettorato. Quelle “masse” che i “vecchi” partiti -quelli della c.d. Prima Repubblica- erano invece in grado di mobilitare perché erano anche un “mezzo” di informazione e socializzazione come ha scritto D’Alimonte. La sfiducia nei partiti e nella politica é alta. Dal 2011 questo trend é sempre più in ascesa, ma va evidenziato che anche i partiti- quelli “nati” o rimodellatisi dalle ceneri della c.d. “Seconda Repubblica” non sono stati in grado di incanalare l'elettorato, ma solo di parlare alla pancia del Paese. Il fenomeno del populismo ha incanalato solo parzialmente l’elettorato, ma ha in realtà ne ha incanalato la rabbia senza fornire reali soluzioni a problemi ormai cronici che l’Italia si porta dietro da anni e anni. Tornando però al dato che riguarda le donne, che è un dato ancora più negativo rispetto a quello degli uomini, bisogna prendere in considerazione l’analisi di YouSocialist, di qualche giorno fa, che ha portato sotto i riflettori questo dato fortemente negativo proprio quando manca poco ad una nuova tornata elettorale (25 settembre 2022). Ormai è un fatto: le donne votano meno degli uomini. Ma per cambiare “le carte in tavola” serve partecipazione, serve prendere una posizione, serve avere consapevolezza. È vero la soluzione non può essere ottenuta con una bacchetta magica, ma è anche vero che partecipare, dimostrarsi cittadine e cittadini attivi sul fronte politico serve ad avere una popolazione che sia cosciente e consapevole delle battaglie che possono essere condotte e dei risultati che possono essere perseguiti. Hajer Sharief, nel 2019, disse “La politica governa ogni aspetto della vita e, non partecipandovi, stai letteralmente permettendo ad altre persone di decidere cosa puoi mangiare, indossare, se puoi avere accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione gratuita, quante tasse paghi, quando puoi andare in pensione, qual è la tua pensione”. Ecco nell’Italia del 2022, che si appresta ad andare al voto, non possiamo delegare ad altri il nostro futuro e la nostra vita. Le donne non possono continuare ad essere le meno attive politicamente perché ne va del loro futuro, della scelta di avere o non avere un figlio, di decidere se continuare a lavorare o lasciare il posto di lavoro perché non ci sono sufficienti posti negli asili per i figli, perché la retribuzione ( a parità di mansioni) in tanti casi è inferiore per le donne rispetto ai loro colleghi maschi. Sono solo alcuni punti, alcune questione per le quali vale la pena mettersi in gioco, vale la pena lottare per cambiare un sistema che ostacola la crescita professionale delle donne. Lo si può fare, ma mettendosi in gioco e non continuando a far parte del “partito” più grande che è l’astensionismo.
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