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Il primo uomo nello spazio

12/4/2023

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Cosimo Gagliani

Giovane Avanti! Milano


“Poyekhali!”, che dal russo tradotto in italiano è: “Andiamo!”.

Con questa parola, il 12 aprile 1961, iniziò l’avventura dell’uomo nello spazio.

A pronunciarla fu il cosmonauta 27enne Jurij Alekseevič Gagarin a bordo della navicella spaziale Vostok 1, qualche istante prima del decollo.
Iniziava così il viaggio più incredibile che l’umanità avesse potuto immaginare.

Il periodo era quello della piena Guerra Fredda e la “corsa allo spazio” era un modo tra le nazioni per primeggiare dal punto di vista tecnologico e bellico. L’idea del tempo era che chi avesse conquistato e dominato lo spazio, avrebbe di conseguenza conquistato e dominato il mondo.
Insomma, non un nobilissimo proposito.

Invece l’unica cosa che Gagarin trovò lassù è stata una sensazione di pace. 

“Da quassù la Terra è bellissima. Senza frontiere, né confini”


Non è poi così difficile comprendere oggi la portata politica e sociale di quelle parole, dato l’attuale contesto storico e geopolitico.
Quello di Gagarin fu un messaggio di pace proveniente dal cielo, uscito dalla bocca di un uomo che da lassù osservava un mondo in guerra; un messaggio quasi messianico se non fosse che Gagarin era un uomo in carne ed ossa, anche se la storia della sua vita ha una componente similmente biblica.

Gagarin, nato il 9 marzo 1934 nel villaggio di Klushino (URSS), aveva origini umilissime.
Figlio di un carpentiere, Alexei Ivanovich, e di una mungitrice, Anna Timofeyevna, Jurij rappresenta nella Storia una sorta di Gesù laico che, nato in una capanna e fattosi uomo, nel compimento della sua opera raggiunse il firmamento.
Gagarin raggiunse le stelle e da lì ritornò sulla Terra per proclamare pace e unità tra i popoli fratelli, quasi come un profeta.

Anche Neil Armstrong nel 1969 - il primo uomo a sbarcare sulla Luna - e Sergej Krikalev nel 2001 - il primo uomo a metter piede nella Stazione Spaziale Internazionale - al rientro dalle loro missioni spaziali vollero dispensare all’umanità messaggi di pace in linea con quello di Gagarin. 

L’eredità che questi uomini ci hanno lasciato è enorme ma forse non siamo ancora in grado di comprenderla pienamente.

Le loro imprese sono la prova che la pacifica cooperazione tra i popoli è possibile e può porre le basi per un benessere egualmente diffuso tra le genti.
Ci restituiscono la fragilità degli equilibri che regolano il pianeta Terra, la nostra casa comune, e meglio ci fanno comprendere l’importanza di preservarne la bellezza per non distruggerla e per non distruggere l’umanità, cioè noi stessi.
Soprattutto ci dimostrano che un mondo socialmente più giusto è possibile; che l’ascensore sociale se è fermo è solo perché lo abbiamo fermato noi e che se riusciamo a farlo funzionare nuovamente, anche il figlio di un carpentiere può aspirare a volare tra gli astri.

L’esplorazione e l’osservazione spaziale hanno permesso all’umanità di migliorarsi, spingendosi oltre i limiti e facendo prendere coscienza di quanto essi siano solo una limitazione autoimposta che può essere superata solo agendo in pace e sintonia fraterna.

Il problema è che spesso ce ne dimentichiamo!

Quel viaggio durato 108 minuti ci ha aprì non solo le porte del cosmo, ma anche quella della nostra coscienza collettiva.

E allora “POYEKHALI!”, che è anche un’esortazione come a dire “AVANTI!”
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