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in basilicata si sta consumando il primo atto della morte del campo largo

22/3/2024

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Marco Cappa
Giovane Avanti! Roma

​C’era un tempo in cui la proposta del “campo largo” sembrava la soluzione al traballante mondo del centro-sinistra. Un campo, quello dell’alleanza PD-M5S, che sembrava l’unica scelta pragmatica per avere anche solo la possibilità di competere con il centro-destra (che ora assomiglia di più a un blocco FDI e “alleatini”). Quel tempo era la fine del mese scorso, in cui Alessandra Todde, sostenuta dall’opposizione intera stranamente unita, vinceva il trono della Regione Sardegna. Un attimo di luce, di speranza, per coloro che fin dal 2019, al tempo il segretario Dem era Nicola Zingaretti, avevano supportato l’alleanza giallo-rossa. Un’idea che però, a causa della sola motivazione utilitaristica, sembra ormai naufragare. Ne è un esempio la recentissima sconfitta elettorale in Abruzzo dove, un campo largo potenziato, ha perso di ben sette punti percentuali. Una vera e propria doccia fredda per l’opposizione che, in Basilicata, sta consumando il primo atto di una sanguinosa morte di quella che sembrava essere un’alleanza tutto sommato vincente.
Ad oggi, il sottoscritto sta scrivendo il 21 marzo, i candidati per la presidenza lucana sono tre: un solitario Eustachio Follia per i liberali di Volt; il presidente uscente Vito Bardi per il centro-destra più l’ex terzo polo (tema su cui torneremo più avanti); e Piero Marrese, per una coalizione, quella del centro-sinistra, che non finisce di calpestarsi i piedi.
La candidatura di Bardi è semplice e lineare: è il presidente uscente, ha una coalizione forte alle spalle ed è capace, essendo iscritto in Forza Italia, di attrarre un elettorato che va dall’estrema destra (FDI e Lega) al centro, tanto da aver raccolto anche le adesioni, stanche, di Azione e Italia Viva. Quella di Marrese invece è una situazione un po' diversa. Il campo largo, composto da PD, M5S, AVS e +EU, ha litigato non poco per giungere a questo punto. Infatti la prima candidatura, arrivata in un momento abbastanza tardo rispetto a quelle avversarie, che risalgono al 2023, era Angelo Chiorazzo. Imprenditore, cattolico, vicino a Sant’Egidio e sponsorizzato dall’ex ministro Speranza, sembrava essere la punta di diamante del PD. Peccato però che a Conte, Bonelli e Magi non dev’ssere piaciuto così tanto dato che poco tempo dopo l’annuncio della sua candidatura il suo nome sparì dai radar. L’imprenditore non si è fatto attendere dato che, con Basilicata Casa Comune, ha comunque cercato di correre, questa volta contro il PD, al trono di Potenza. La scelta è poi ricaduta, all’unanimità del centro-sinistra, sull’oculista Domenico Lacerenza. Una candidatura assai flebile dato che, per volontà dello stesso Lacerenza, la partita in casa progressisti si è riaperta. Dopo la solita roulette di nomi, tra cui figurano anche quelli di Luciana Lamorgese e Roberto Speranza, si optò per il nome più vicino alla volontà territoriale: il presidente della provincia di Matera ed esponente PD, Piero Marrese.
A questo punto, per quelli che stanno leggendo tale articolo in terra lucana, non sarà sfuggita la mancanza, ad arte quasi, di un nome abbastanza importante. Infatti, sembra che nelle chat tra Schlein e Conte il nome dell’ex presidente lucano ed esponente territoriale del PD Marcello Pittella, non sia comparso. Probabilmente una figura troppo divisiva per il campo largo, che fino alla candidatura di Marrese aveva sempre optato per nomi indipendenti. La portata dell’evento però non sembra essere modesta. Infatti, sembra che ai vicinissimi di Pittella sia arrivato un vocale Whatsapp in cui l’ex presidente afferma: «Il Pd mi ha spremuto come un limone e poi mi ha gettato nella spazzatura». Uno strappo talmente grande che Pittella ha paragonato la sua esclusione alla shoah: «Sapete quando deportavano gli ebrei e dovevano portarli nelle camere a gas? Ecco, io sono come gli ebrei, uno che deve morire».
Un commento platealmente esagerato che però non ha infastidito in alcun modo il leader di Azione, Calenda, che non ha perso tempo ad accogliere Pittella tra le fila del suo partito, oltre a quel sperato (e disperato) consenso che nel 2013 lo fece vincere. Ma l’ex terzo polo? Sembra che Azione e Italia Viva, nonostante i frequenti litigi nazionali, appoggino lo stesso nome: il forzista e presidente uscente Vito Bardi. Una scelta discutibile secondo alcuni, che potrebbe dividere ancora di più la galassia liberale dato che +Europa corre assieme al PD e Volt ha optato per una candidatura autonoma. C’è anche da considerare però il commento del vicepresidente vicario di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, Manlio Messina: «Non parliamo di un accordo nazionale con Carlo Calenda, noi non abbiamo bisogno di stampelle - nemmeno in Basilicata - perché possiamo vincere e vinceremo per il buon lavoro di Bardi. Poi possiamo fare fantapolitica, ma è prematuro parlare di cose che non stanno né in cielo né in terra».
Insomma, la Basilicata sembra essere il campo di prova di un’opposizione divisa che, per pura necessità di non vedersi travolgere dall’onda nera che oggi siede al governo, rinuncia ai propri, pochi, valori per allearsi con forze del tutto impreparate. C’è chi, come il M5S, corre al fianco di un partito che fino a poco tempo fa riteneva il suo maggior nemico. Altri invece, nonostante le belle parole che gettano in pasto ai media, vanno ad allearsi proprio con chi li osteggia (parlo di Azione e IV). Una situazione strana e imbarazzante che non lascia nessun’altra conclusione: in Basilicata si sta consumando il primo atto di una sanguinosa discesa nel baratro del grande, scomposto e fragile “campo largo”.
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