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Italia: il Paese europeo a più facile penetrazione ideologica putiniana

13/6/2022

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giorgio provinciali

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Trascorso un mese esatto dal richiamo ufficiale [1] dell’UE all’Italia a non favorire la propaganda  filorussa attraverso i propri media, eludendo le sanzioni imposte [2] il 2 marzo ed atte a prevenire la  diffusione di disinformazione e la manipolazione dell’informazione, poco o nulla è cambiato nel  panorama televisivo italiano. Giornalisti russi e opinionisti apertamente filorussi, fortemente critici  in tema NATO/UE ed antioccidentali, si alternano ad ogni ora del giorno e della notte, ospiti nei  salotti televisivi di pressoché ogni emittente televisiva, in virtù di quell’ostentazione isterica della par  condicio tanto cara a conduttori e produttori televisivi e in grado di resuscitare a colpi di audience  anche le trasmissioni con minor share, in evidente crisi d’identità. 
Né l’annuncio [3] di un intervento diretto del COPASIR, che ha avviato un’indagine sulle ingerenze di  Paesi stranieri nell’informazione italiana, né le forti critiche ricevute da parte della pressoché totalità  della stampa estera mondiale a seguito dell’intervista [4] senza contradditorio al Ministro degli Esteri  russo Sergei Lavrov, concessa a Rete 4, hanno minimamente intaccato gli intenti di presentatori e  giornalisti, che, anzi, si sono stretti in un’impenetrabile testuggine, non lasciando spazio alcuno a  critiche interne. 

La spettacolarizzazione della guerra e il propagandismo, evidentemente, portano grandi ritorni in  termini di audience, ed economici. 

Altrettanto plateali sono le reazioni di dissenso di molti nomi importanti, spesso giornalisti di lungo  corso e con carriere prestigiose alle spalle, che hanno scelto di dissociarsi fortemente da quello che  ritengono essere uno spettacolo diseducativo e pericoloso.  

Alessandro Sallusti [5] , Giuliano Cazzola [6] , Vladislav Maistruk, Rula Jebreal, Nathalie Tocci, Andrea  Gilli e Nona Mikhelidze sono solo alcuni tra i nomi di chi, coraggiosamente, ha declinato l’invito [7] a presenziare in quelle trasmissioni in cui gli sarebbe stato chiesto di confrontarsi con ospiti, analisti  e giornalisti con posizioni molto vicine a quelle del Cremlino. 

Le motivazioni [8] con cui Rula Jebreal s’è rifiutata di presenziare a Non è l’Arena lasciano spazio a  poche interpretazioni: “Non accetto né interviste né inviti a “Non è l’arena”. Non è informazione. 

Vorrei chiarire un concetto a Giletti: come sul Covid non mi confronto con stregoni, così su chi  sceglie la spettacolarizzazione della guerra non discuto con propagandisti Putiniani. Questo non è  giornalismo” (Jebreal, 2022). 

Un dato immancabilmente sfoggiato e strumentalizzato per alimentare la discussione in pressoché  ogni talk-show è quello legato ai sondaggi, secondo cui sarebbe sempre più marcata l’espressione  della volontà popolare italiana a dissociarsi dall’invio di ulteriori sostegni militari al Governo di Kyiv. 

Questi numeri, essenzialmente mai presentati fornendo informazioni quantitative né contestuali del  campione di studio preso in oggetto, sono tuttavia curiosamente molto diversi da quelli ufficiali contenuti nell’Eurobarometro [9], pubblicati periodicamente dall’UE ed ottenuti su un campione di vasta scala in ognuno dei 27 Paesi dell’Unione Europea. I numeri snocciolati da IPSOS – European  Public Affairs vedono il 78% approvare le sanzioni imposte dalla UE alla Russia (e, in egual misura, quelle rivolte direttamente agli oligarchi russi), il 59% approvare l'invio di armi a sostegno della  popolazione ucraina e il 92% è favorevole anche al supporto umanitario. Il 63% non vuole vedere  media russi di proprietà statale riprodotti sulle piattaforme UE. Il 61% ritiene autorevoli le Autorità  italiane come fonte d'informazione. Solo il 46% degli intervistati ritiene i giornalisti una fonte  attendibile d'informazione, e solo il 22% ritiene lo siano i social media. 

Questi dati, già molto chiari, vanno a sommarsi ad altri [10] a dir poco sconcertanti: in uno studio  condotto su 20 Paesi (di cui 14 aderenti alla UE), l’ISD - Institute for Strategic Dialogue, svela come l’Italia svetti inarrivabile nella triste classifica dei Paesi in cui realtà come quella di Bucha si prestino  ad essere totalmente ribaltate. Emblematico in tal senso è il caso di Toni Capuozzo, ex corrispondente italiano autore di quella ricostruzione dei fatti [11] rilanciata dallo stesso Lavrov ma smentita a più  riprese dal New York Times [12][13] con l’ausilio delle immagini satellitari fornite da Maxar  Technologies®, dalle intercettazioni[14], e dalle testimonianze [15]. Anche dinnanzi all’evidenza, tutto è  proceduto senza la pur minima smentita o rettifica ufficiale; anzi, si è dato ulteriormente spazio a  teorie non dissimili, in nome del beneficio del dubbio.

Quest’ultima è la parola chiave, intorno alla quale si sono sviluppati vent’anni di macchina della  disinformazione voluta, finanziata e sostenuta in ogni modo da Putin. Dubitare, dubitare sempre.  Instillare il dubbio nella gente, in ogni modo, soprattutto in quelle fasce sociali facilmente  influenzabili dai social media. Dapprima il dubbio ha riguardato il nemico giurato numero uno, gli  Stati Uniti. Teorie cospirazioniste e complottiste hanno trovato spazio nelle pagine web di centinaia  di siti creati appositamente per dar adito a dubbi sull’11 settembre e persino sull’allunaggio. Ma  l’arma migliore è stata messa in mano a Putin proprio dagli Stati Uniti. I neo-nati social network, vera  manna caduta dal cielo per chi fosse in grado di disporre di strumenti e risorse economiche e umane  in grado di consentire il controllo e la veicolazione della disinformazione, spacciandola per  “controinformazione”: abbiamo assistito al proliferare di centinaia di pagine con contenuti sovranisti  e populisti, antieuropeisti. Il dubbio questa volta doveva riguardare l’UE, per disgregarla e renderne  le singole identità nazionali ben distinte e più facilmente manipolabili. Così via, anche la drammatica  tragicità degli eventi legati alla pandemia è stata strumentalizzata sempre e soltanto all’insegna del  dubbio: dubitare, dubitare sempre delle Major del Pharma, identificandole in quei “poteri forti” che,  a detta di infiniti canali YouTube (alcuni divenuti poi anche televisivi), ritraevano le masse oppresse da un disegno globale malvagio, in mano al nemico pubblico numero uno della Russia. Interi Partiti  politici si sono piegati e svenduti alla propaganda del Cremlino, rendendo i più beceri luoghi comuni  il proprio slogan migliore: “a farne le spese è sempre la povera gente”, “chissà cosa ci nascondono,  cosa non ci dicono”, “ci vogliono schiavi di un sistema in cui a farla da padrone sono gli americani”.  Di fatto, Putin ha iniziato a spianarsi la strada più di vent’anni fa.

La disinformazione in Italia ha  raggiunto livelli allarmanti, al punto da indurre importanti analisti indipendenti a dichiarare che la  Russia, di fatto, stia vincendo la guerra della disinformazione in Italia [16]. Ma c’è una ragione: il  populismo paga, anche in termini di audience. L’intervista fatta alla signora Maria, al mercato  rionale, chiedendole se riesce ad arrivare a fine mese, se sente il peso delle bollette, e, infine, se è  favorevole all’invio di armi a sostegno dell’Ucraina e all’inasprimento delle sanzioni nei confronti  della Russia, paga. Le trasmissioni televisive rispecchiano nei contenuti e negli intenti di chi le conduce lo stesso desiderio di arrivare alla pancia dell’elettore di interi Partiti politici. E ci si arriva  abbastanza facilmente. Ripaga velocemente, in questo senso, ma è un successo effimero e transitorio,  passeggero. La stessa parabola di rapida ascesa e caduta libera nei consensi che ha decretato il  successo e la debacle dei Partiti populisti, vedrà lo share seguire picchi a voragini di gradimento. Così  è stato in tempo di pandemia, quando veniva fatto sfoggio ancora una volta dei “sondaggi” per  strizzare l’occhio al dubbio in tema vaccinale e di Green Pass. E’ stata la fortuna di piccoli Partiti,  che, grazie a continue ospitate televisive in cui venivano sospinti da critici d’arte e filosofi chiamati  ad esprimersi in tema scientifico ieri e militare oggi, sono passati dallo “zero virgola” che li avrebbe  relegati al bancone di un bar, ad avere un seggio in Parlamento. 

Il prestigioso quotidiano d’oltralpe Le Monde, neanche una settimana fa, titolava[17]: “Guerra in  Ucraina: propaganda filorussa in casa nella televisione italiana. Dopo l'invasione dell'Ucraina il 24  febbraio, le trasmissioni di propaganda di Mosca sono state particolarmente ben accolte nei talk  show italiani”, facendo riferimento all’ennesima trasmissione televisiva nostrana prestata  palesemente alla macchina della disinformazione russa. Posti di fronte all’ingenua domanda del  conduttore proprio di quella trasmissione, i giornalisti russi ospiti hanno risposto[18]ammettendo di  essere ospitati solo e soltanto nei salotti televisivi italiani. Nessun altro accetta di dar loro voce. Senza  dubbio, evidenze alla mano, tra tutti i Paesi dell’Unione, il nostro è il Paese a più facile penetrazione  ideologica putiniana. 

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