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Kosovo, il risveglio dei fantasmi del passato

28/7/2023

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Giulia Cavallari

Giovane Avanti! Bologna


In Kosovo 25 anni dopo torna ad infiammarsi quella tensione che nel 1998-1999 aveva portato al drammatico conflitto. Oggi, a distanza di anni, proseguono le proteste dei serbi locali manifestano contro l’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese e chiedono il ritiro della polizia di Pristina e il rilascio dei serbi che sono stati arrestati in questi giorni.  Le elezioni erano state indette da Pristina per colmare un vuoto che era stato lasciato dai rappresentati serbi che si erano dimessi. Kurti, primo ministro del Kosovo ha dichiarato “Il vuoto istituzionale creato dalle dimissioni dei serbi va colmato, è un assurdo accettare i sindaci ma non il loro posto di lavoro” e dopo aver inviato le forze speciali nel nord afferma anche di non aver alcuna intenzione di ritirare le forze speciali dal nord.
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Le elezioni erano state indette da Pristina per colmare il vuoto che era stato lasciato dai rappresentanti serbi che si erano dimessi perché contrari alla mancata attuazione degli accordi tra Belgrado e Pristina che erano stati firmati ormai un decennio fa anche con l’intervento dell’UE nel ruolo di mediatore. La firma di un accordo significherebbe- di fatto- una sorta di riconoscimento da parte serba, per cui si hanno sempre grandi discussioni, ma che all’atto pratico non giungono ad una reale soluzione di questa vicenda.
Qualche mese fa già si era acuita la tensione relativamente ad una vicenda che riguardava le targhe automobilistiche perché i kosovari vorrebbero portare i serbi del Kosovo ad un riconoscimento de facto e la questione delle targhe (kosovare) sarebbe un riconoscimento della sovranità kosovara.
La ‘linea di confine’ è sempre più labile e basta una minima provocazione per scatenare quella miccia (temporaneamente) sopita. Dopo questi fatti è compito della diplomazia provare a ricucire questo grave strappo.
I Balcani, erano stati definiti la “polveriera d’Europa” e tornano, in questi giorni, ad essere un focolaio di disordini. Alla base del conflitto vi sono questioni non risolte nel nord della regione. Nel 2008 il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza dalla Serbia e oltre 100 Paesi (tra cui anche l’Italia) lo hanno riconosciuto come stato indipendente. Indipendenza che però non è stata riconosciuta dalla Serbia, dalla Russia e dalla Cina (che hanno anche impedito al Kosovo di entrare nelle Nazioni Unite). 
La “questione etnica” che ha portato al profondo risentimento antiserbo da parte dei kosovari albanesi proviene dall’essere stati considerati come ‘inferiori’ durante il regno e poi anche durante la repubblica di Jugoslavia (che significa ‘terra degli slavi del sud’) e quindi i kosovari albanesi rivendicavano di non essere slavi.
In Kosovo la situazione è ancora quella degli anni ’90. Nel 1999 dopo i bombardamenti di Belgrado e al termine della guerra, il Kosovo era ‘svuotato’ perché all’inizio dei combattimenti gli albanesi erano stati ricacciati verso l’Albania. I serbi del Kosovo invece erano fuggiti dopo la sconfitta militare contro la NATO.
Una situazione molto instabile proprio a livello territoriale perché da una parte vivevano i serbi, dall’altra i kosovari e nel mezzo vi erano i carabinieri della Kfor della NATO.
Oggi la Serbia è considerato ancora uno dei pochi Paesi vicini alla Russia al punto che il primo ministro kosovaro è stato accusato dalla Russia di essere il responsabile delle tensioni che si stanno vivendo nella zona. Un ex deputato ha affermato che la Serbia ha interesse alla destabilizzazione del Kosovo e ha accusato Kurti di aver contribuito a gettare il paese nella instabilità.
Nel 1999 fu firmata una tregua tra Belgrado e Pristina imposta dalla NATO. Era l’epoca dello scontro tra NATO e Serbia per il controllo del Kosovo i risultati non furono positivi.
25 anni dopo, a fine maggio 2023 sono scoppiate altre proteste dei serbi e nel nord del Kosovo proseguono anche in questi giorni. Tuttavia, almeno per il momento, la situazione resta (apparentemente) calma, ma nell’aria si respira una forte tensione interetnica. Il Paese è a maggioranza albanese, all’interno del territorio kosovaro vivono circa 100.000 serbi.
Una notizia che ha suscitato allarme è quella che riguarda 40 militari delle forze di pace della NATO (tra cui 14 italiani) che sono rimasti feriti in Kosovo in seguito a scontri con serbi che protestano per impedire a sindaci di etnia albanese di raggiungere i loro uffici. Un vero e proprio assedio organizzato da abitanti di nazionalità serba. Gli scontri in cui sono rimasti feriti i militari della Kfor hanno coinvolto i serbi.
Da 10 anni non vi era un coinvolgimento dei militari della NATO in scontri armati. La percezione della gravità di quanto verificatosi emerge dal comunicato diramato dalle forze di peacekeeping internazionali con il quale è stato definito “totalmente inaccettabile” l’attacco “non provocato, da parte di una folla violenta e pericolosa”.
Ma la guerra del Kosovo porta con se una crisi infinita che si sta riacuendo. Oggi, con la guerra in corso in Ucraina, immaginare un altro conflitto e altre tensioni può essere alquanto pericoloso e rendere ancora più precario, sul piano geopolitico, la situazione in Europa e nei Paesi ad essa vicini.
In questo scenario così preoccupante, visto il passato non troppo lontano, Belgrado ha aumentato il numero delle sue truppe da combattimento lungo il confine dichiarando che non “resterà a guardare” in caso di un eventuale attacco al Kosovo. Va però ricordato che un qualsiasi intervento militare serbo in Kosovo porta dietro di sé lo scontro con le forze di pace NATO.
In realtà sia Belgrado che Pristina dovrebbero ‘lavorare’ per calmare gli animi che in questi mesi hanno portato a nuovi scontri in un territorio che anni fa ha vissuto una delle pagine più buie della sua storia, ma al momento nessuno dei due governi mostra segnali distensivi. 
La situazione geopolitica in tutta Europa è già fortemente precaria. Una precarietà legata alla guerra in Ucraina, ma anche ai tentativi da parte della Russia di ‘riconquistare’ una certa influenza in Serbia anche se il dialogo con gli USA è piuttosto forte.
È fondamentale proseguire con l’attività di mediazione diplomatica innanzitutto da parte dell’UE perché la prima ad avere bisogno di una ‘tranquillità’ geopolitica in quell’area, che già venticinque anni fa è stata sconvolta, da violenti combattimenti e da terribili crimini di guerra, dal genocidio in Bosnia (regime di Milosevic nel 1998 aveva già avviato un’azione contro la popolazione albanese della provincia autonoma del Kosovo). Come se l’Europa avesse bisogno di avere, almeno sul fronte, una nuova apertura del fronte tra Serbia e Kosovo rimasto in sospeso ormai da un decennio.
Quello che emerge ancora una volta è che in questi territori basta una vicenda che crea attriti per riaccendere quella miccia mai spenta in un territorio che non a caso è stato definito la “polveriera d’Europa”.
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