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La GIG Economy

9/3/2023

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Michael Sommovigo

Federazione Giovani Socialisti

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Le aziende della GIG Economy, lasciano dietro di loro molti punti di domanda come, per esempio, sullo status e definizione di lavoratori che sono dipendenti di un’azienda ma non accetta nessuna responsabilità datoriale, ma sanziona, a loro volta, i lavoratori di quella stessa azienda.
​
Le prime vittime di questo sistema, ancora una volta, sono le nuove generazioni.

Questa è l’idea di lavoro che sta al centro della nuova economia.

La GIG Economy è vista da molti decisori politici neoliberisti come una forma di lavoro ideale, destinata a sostituire gradualmente le costose rigidità del contratto di lavoro.
Le aziende possono massimizzare la flessibilità, chiamando e pagando lavoratori autonomi solo quando hanno bisogno per compiti specifici, evitando cosi oneri sociali, l’obbligo del salario minimo e tutte le altre responsabilità legate al lavoro dipendente.
Alcune imprese propongono ai lavoratori di trasformare il loro contratto da autonomo a dipendente normale, con il diritto di indennità in caso di malattia, alle ferie pagate e alla pensione, venendo però retribuiti in misura inferiore. 

Questa alternativa avrebbe dato ai lavoratori il premio non plus ultra dell’economia capitalista. la libertà di scelta.

Tre domande sorgono spontanee

È verosimile che lavoratori in condizioni economiche tanto pressanti da non potersi ritagliare il tempo necessario per una visita medica, rinunciano a un compenso immediato in cambio della garanzia di indennità di malattia e di pensione in un qualche futuro?

Una persona che lavora a tempo pieno per un’azienda può dire di godersi la libertà di un lavoratore autonomo?

Come può un’azienda che ingaggia migliaia di persone come corrieri non essere il loro datore di lavoro?

Imprese che organizza il loro lavoro su internet, affermano di essere mere “piattaforme” e quindi estranee a un rapporto di lavoro di qualsiasi tipo.

Se sono abili a gestire i propri affari, possono anche sostenere di non avere alcuna localizzazione geografica su questo pianeta, potendo così scegliere la giurisdizione fiscale più benevola in cui far confluire i loro profitti.

Internet rappresenta tutto ciò che è nuovo e pionieristico, chiunque critichi le loro modalità viene accusato di di rimanere immobile sulla via del progresso.

La Brookings Institution stima che, sebbene il lavoro GIG si stia espandendo rapidamente.
Infatti fra il 2010 e il 2014, le aziende “non-datoriali” [cioè, GIG] di offerta di servizi taxi nelle maggiori città statunitensi sono cresciute del 69% contro il 17% delle aziende con dipendenti, tali aziende valgono solo il 3% del reddito totale delle imprese negli Usa.

Un’altra ricerca effettuata dall’istituto McKinsey, sempre nel 2016, ha rilevato che circa 162 milioni di persone, vale a dire fra il 20 e 30% della forza lavoro totale di Europa e Stati Uniti, sarebbero impegnate nel “lavoro indipendente”.
Sebbene il titolo del suo report includa il termine “GIG Economy”, include nel lavoro indipendente, anche quelle persone che lavorano in proprio nel senso tradizionale del termine. 

Anche così la cifra sembra alta, tenuto conto del declino generale del lavoro autonomo nelle economie avanzate, dove soltanto Grecia e Spagna mantengono percentuali come quelle dichiarate da Mckinsey.

Ci dev’essere una qualche sovrapposizione con l’economia sommersa (cioè, illegale), dove i lavoratori non hanno status di dipendenti.
L’istituto rileva che circa il 40% dei lavoratori indipendenti sono occasionali, ciò significa che non considerano questo lavoro come principale nella loro vita.
Difatti sono soprattutto studenti, pensionati e altri che non sarebbero contati come parte della forza lavoro totale nelle statistiche ufficiali.

Questi dati evidenziano il fatto che questo tipo di lavoro non è universalmente ben accetto da chi lo svolge.

Il rapporto Taylor, commissionato dal governo britannico nel 2016, per la valutazione degli accordi di lavoro nella GIG, rileva che soltanto il 25% di coloro che hanno fra i sedici e i trent’anni prendono in considerazione l’idea di intraprendere tale attività.

Usando un approccio diverso, l’European Foundation for the Study of Working Life trova che il 17% di tutti i lavoratori formalmente autonomi nell’ UE, lavorano per un unico cliente, mentre un altro 8% ha in pratica ben poca autonomia [Eurofound 2015].

È facile capire perché o suoi sostenitori la esaltino e ne sottolineano le eccitanti associazioni con Internet.
Essa infatti permette ai datori di lavoro una combinazione altrimenti impossibile da raggiungere: lavoratori che sono completamente subordinati all’autorità dell’azienda ma verso i quali l’azienda non ha alcuna responsabilità.

La GIG Economy è solo una delle forme assunte dai pensatori neoliberisti e responsabili di politiche pubbliche di liberare i datori di lavoro dalle responsabilità verso coloro che lavorano per loro, pur mantenendo e addirittura rafforzando la dipendenza di quei lavoratori dalle stesse aziende.

Il termine più appropriato per definire la posizione di ti tutti questi lavoratori è “precari”. Una forma diffusa dai datori di lavoro è il lavoro a “chiamata” o i contratti a “zero ore”, dove gli addetti vengono retribuiti solo per le ore che sono chiamati a svolgere. Sebbene essi debbano essere pronti e disponibili alla chiamata con pochissimo preavviso e siano di conseguenza non in grado di godere un po' di tempo libero.

Un’altra forma è l’utilizzo di contratti a tempo tali da estinguersi prima che i lavoratori acquisiscono alcun diritto.
Questo tipo di contratto si trova soprattutto nei paesi dove gli assunti a tempo indeterminato godono di ampi diritti come in Italia.

Infine l’economia sommersa, il lavoro nero, dove non esiste alcun tipo di contratto.
La crescita di questo tipo di occupazione sta producendo un “dualismo” nel mercato del lavoro, con divisione fra coloro che beneficiano della piena sicurezza dell’occupazione standard e coloro che rimangono nella precarietà. Nel nostro Paese la deregolamentazione del mercato del lavoro è sostenuta non solo dai manager ma anche dai lavoratori precari e dei disoccupati.

Una sempre maggiore insicurezza sta diventando una condizione generale del lavoro. 

Molte occupazioni richiedono competenze elevate, gli imprenditori normalmente tengono stretti i lavoratori specializzati e i contratti di lavoro standard sono fatti proprio per questo.

Ma coloro che rientrano nel precariato non raggiungono standard professionali e occupazionali, perché nessuno si preoccupa di far loro acquisire competenze ed esperienza.
Le aziende tendono a sbarazzarsene prima che acquisiscono quell’esperienza che garantirebbe loro di salire di grado sul posto di lavoro.
Non arrivano mai a diritti come il congedo per maternità.

Fra di loro si trovano spesso gli immigrati, che spesso mancano dei diritti di cittadinanza elementari e addirittura della conoscenza elementare dei diritti.

Le questioni sollevate dalla gig economy vanno ben oltre i problemi dei corrieri, tassisti e ciclisti che consegnano i pasti. Vanno al cuore stesso del rapporto che sta cambiando fra coloro che utilizzano il lavoro umano e coloro che lo forniscono, comprendono una gamma di precariato più ampia del lavoro autonomo fasullo, e non lasciano affatto intatta la posizione degli occupati standard.

Abbiamo bisogno di nuove modalità per garantire ai comuni lavoratori sicurezza e prevedibilità nelle loro vite e di permettere loro di acquisire le competenze necessarie per adattarsi al mutamento tecnologico e a un’economia che cambia.

Non c’è alcuna ostilità verso le idee di flessibilità, innovazione e imprenditorialità.
Le persone sono disposte ad accogliere il cambiamento e  a contribuirvi a patto che, alla base, vi sia la sicurezza a trecentosessanta gradi. La proposta principale riguarda la riforma della sicurezza sociale, facendola diventare una tassa sull’utilizzo dell’attività lavorativa altrui anziché sull’accettazione di responsabilità da parte del datore di lavoro.
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