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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna Proprio l'altro giorno la Ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella, alla domanda "l'aborto fa parte delle libertà delle donne?" ha risposto "purtroppo si". Anche per questo, a 46 anni dall'approvazione della Camera dei Deputati, di quella che sarà la 194, è necessario ripercorrere le tappe di una conquista fondamentale. Il 21 gennaio 1977, appunto, veniva approvata dalla Camera dei Deputati con 310 voti favorevoli, 296 voti contrari la proposta di legge dal titolo Norme sull’interruzione della gravidanza. Un testo che era frutto di un fortissimo compromesso tra le parti politiche allora presenti in Parlamento. Un testo fortemente ostacolato dalla area cattolica del Parlamento rappresentata dalla Democrazia Cristiana. Nel giugno 1977 il voto passa al Senato e ancora una volta l’area cattolica riesce a ostacolare l’approvazione del testo, così facendo il testo tornò nuovamente alla Camera. Un iter infinito che metteva, ancora volta, in evidenzia le grandi difficoltà che, in Italia, si riscontravano quando-a livello politico- dovevano essere affrontati temi inerenti il riconoscimento di diritti civili. Questo “braccio di ferro” ha fatto sì che in Italia si arrivasse in forte ritardo nel riconoscimento di diritti civili che in altri Stati europei erano già regolamentati e normati. Il 22 maggio 1978 è una data importante per l’Italia perché dopo anni di lotte, battaglie sociali, ma soprattutto etiche e politiche è stato introdotto nell’ordinamento italiano il diritto all’aborto con il varo della Legge n. 194. La legge che riconosce alle donne di diritto di interrompere volontariamente la gravidanza.
Prima del 1978 l’aborto era considerato un reato dal codice penale. La battaglia per il riconoscimento di questo diritto potremmo dire che “inizia” nel 1971 quando la Corte Costituzionale dichiarò, con una sentenza, l’illegittimità dell’articolo 553 del codice penale così rubricato “incitamento a pratiche contro la procreazione”. In realtà il lungo e tortuoso percorso che ha portato alla legge n. 194 inizia nel 1974 quando il socialista Loris Fortuna (che fu anche il primo firmatario della legge che introdusse il divorzio in Italia) presentò una proposta di legge- con il sostegno dei Radicali e del Movimento di Liberazione della Donna. Come spesso accade, in Italia, è la giurisprudenza ad aprire la strada verso cambiamenti- necessari- nel nostro Paese. Anche in questo caso nel 1975 con una sentenza dichiarò la parziale illegittimità dell’articolo 546 del codice penale era rubricato “aborto di donna consenziente” e poi abrogato con l’introduzione della legge 194. Legge 194 è ancora oggi fortemente bistrattata e ostacolata perché è vero che in Italia esiste un diritto all’aborto, ma spesso solo sulla carta poiché nella realtà gli ostacoli che le donne- non senza sofferenze- incontrano sono spesso insormontabili. Il diritto all’aborto volontario è regolato dalla legge 194 che riconosce il diritto alla vita dell’embrione e del feto, ma tutela la donna, tutela il diritto della donna alla salute fisica e psichica qualora questa venga messa a rischio dalla prosecuzione della gravidanza, dal parto o dalla maternità. La legge prevede che entro 90 giorni è possibile esercitare il diritto all’aborto sulla base della decisione della donna. Dopo i 90 giorni l’aborto è consentito solo in alcuni determinati casi ovvero quando il medico rileva che la prosecuzione della gravidanza costituisce grave pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica o psichica cioè quando vi sono gravi malformazioni del feto o quando sono presenti altre gravi patologie. Il problema più grave riguarda i medici obiettori di coscienza perché i dati che si hanno a disposizione (e che possono essere analizzati nella Mappa “Obiezione 100” mette in evidenzia che vi sono ospedali con il 100% di medici obiettori di coscienza e ospedali con percentuali che superano l’80%. Quando parliamo di obiezione di coscienza non siamo di fronte- come affermano dall’Associazione Luca Coscioni- di fronte ad una questione morale, ma l’obiezione di coscienza è una questione di accesso ad un servizio Oggi abbiamo un governo di destra che ha pensato bene di affidare un ministero ‘delicato’ quale quello per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità (così lo hanno denominato) ad una persona che- dichiarazioni alla mano- ha affermato che “L’aborto non è un diritto […] L’aborto è il lato oscuro della maternità”. Tra obiezione di coscienza, chiusura di consultori spesso- anzi nella maggioranza dei casi- le donne incontrano ostacoli insormontabili. Il fatto che esista una legge non significa che una parte politica (la destra) si debba sentire in dovere di mettere paletti o ostacolare l’esercizio di un diritto. Perché ancora oggi sembra di essere di fronte ad argomenti tabù e nonostante la Legge 194 esista da più di 40 anni, gli ostacoli e le difficoltà sono all’ordine del giorno. Invece uno Stato se si considera civile deve rispettare tutte le leggi e quindi anche la L. 194 garantendo a tutte le donne l’esercizio di un diritto e poi lavorando su programmi di prevenzione a livello sociale e culturale. L’aborto è e deve restare un diritto.
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