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La Riforma fiscale: meno tasse, ma solo per alcuni

17/8/2023

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Ettore Di Mattia

Giovane Avanti! Sicilia


Con l’ok della Camera il 4 Agosto è iniziato il conto alla rovescia per l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, che avrà 24 mesi per produrre i decreti legislativi su i quali si baserà la nuova riforma fiscale. Il voto ha avuto un esito positivo per il governo con 184 voti a favore e 85 contrari. 

Compatte le opposizioni nel contrastare la riforma targata centro-destra, tranne il gruppo Azione-Iv che tramite l’esponente Marattin commenta così il voto favorevole: “Il nostro voto è dovuto al fatto che questa delega ricalca in toto il lavoro parlamentare fatto nella scorsa legislatura, poi confluito nella delega Draghi. 
​
I principi di riforma dell’Irpef, della tax expenditure, dell’Iva, di abolizione e sostituzione dell’Irap, di tassazione dei redditi finanziari, la semplificazione dell’Ires, sono gli stessi e rappresentano un patrimonio di tutti. Ci sono, è vero, anche cose che non ci convincono del tutto, come la flat tax incrementale, grazie a noi sostituita dalla detassazione dei premi di produttività”.
Di toni diversi le dichiarazioni di Della Vedova di +Europa, secondo cui “ I principi della delega fiscale sono molto ampi, quasi una delega in bianco, una specie di voto di fiducia: noi non daremo la delega a questo governo” ha commentato in aula alla Camera.
“Non voteremo la delega fiscale perché se è stato tolto il principio della flat tax incrementale, resta comunque scolpito nel marmo il principio che la riforma dell’Irpef vada fatta per la transizione verso l’aliquota unica: o è una bandierina elettorale della destra per prendere in giro gli elettori meno attenti, e sarebbe inaccettabile. Oppure si va verso la introduzione della flat tax, senza però dirci con quale aliquota, con quali meccanismi di detrazioni si pensi di poter garantire la progressività, senza dirci quanto costerebbe e con quali risorse finanziarla”.
Ovviamente la premier Meloni, come ci ha già abituati, inneggia al trionfo a inizio corsa parlando di “una riforma strutturale e organica, che incarna una chiara visione di sviluppo e crescita che l’Italia aspettava da cinquant’anni. Meno tasse su famiglie e imprese, un fisco più giusto e più equo, più soldi in busta paga e tasse più basse per chi assume e investe in Italia, procedimenti più semplici e veloci. Sono alcuni dei principi di un provvedimento storico che rivoluzionerà il rapporto tra Fisco, cittadini e imprese”.

Tuttavia rimangono i dubbi sul reperimento delle risorse, tema che preoccupa non poco l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, e sulla lotta all’evasione in vista di alcuni meccanismi previsti nella legge di delega fiscale. 
Nella memoria del 25 maggio 2023 sulla riforma fiscale, analizzando proprio le regole contenute nelle disposizioni finanziarie, l’Ufficio ha segnalato che le risorse previste dal Fondo della Legge di Bilancio 2021 sono state impiegate per delle novità che sono già in essere, come la prima revisione dell’IRPEF in vigore dal 2022 e la parziale abolizione dell’IRAP.
L’UPB ha infatti sottolineato che “i margini di bilancio emersi con il DEF 2023, pari a 4,1 miliardi, e confluiti nel Fondo per la riduzione della pressione fiscale si riferiscono al solo 2024 e pertanto non rappresentano una fonte permanente di copertura finanziaria”.
Infine, conclude l’UPB: “Va peraltro segnalato che non viene esplicitamente escluso che i decreti attuativi possano essere finanziati anche ricorrendo all’indebitamento netto. Come già osservato, si tratta di una modalità di finanziamento inappropriata per le conseguenze negative che essa determinerebbe sull’equilibrio dei conti pubblici e sulla loro sostenibilità nel medio-lungo termine”.

Se si pensa poi alle misure inserite nel testo come  il concordato preventivo e la cooperative compliance, in una paese con una tax gap di 90 miliardi annui, lo scenario appare sempre più desolante.
Alla base di questi istituti già in vigore ma oggi ampliati, vi è la collaborazione e tra contribuente e fisco. Il concordato preventivo biennale consente ad alcune imprese e ai lavoratori autonomi di concordare con l’Agenzia delle entrate quante tasse pagheranno nei due anni successivi. Chi lo accetta non riceverà contestazioni.
Infatti il terzo comma dell’articolo 18 del testo di delega fiscale prevede che “la volontaria adozione di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale e la preventiva comunicazione di un possibile rischio fiscale da parte di imprese che non possiedono i requisiti per aderire al regime dell’adempimento collaborativo possano assumere rilevanza per escludere ovvero ridurre l’entità delle sanzioni”.
Si rischia perciò di creare una criticità in un sistema che non brilla per trasparenza, poiché un’impresa potrebbe farsi certificare dal proprio commercialista che ha istituito un sistema interno di controllo del rischio fiscale e grazie a questo, nel caso dovesse subire un controllo fiscale, potrebbe essere esentata dal pagamento di una sanzione pecuniaria. 

Ma l’esecutivo non si ferma qui e tramite l’articolo 17 amplia la platea dei beneficiari dell’istituto del “concordato preventivo biennale”, in base al quale il contribuente stipula un accordo con l’Agenzia delle Entrate definendo preventivamente quanto pagherà di imposte per i successivi due anni. L’Agenzia difficilmente potrà controllare preventivamente nel merito un gran numero di richieste di concordato, e c’è quindi il rischio che sarà costretta a emettere una certificazione su previsioni effettuate da privati, perdendo di fatto la possibilità di effettuare controllo successivi alla stipula dell’accordo. 
Per chi aderisce infatti all’adempimento collaborativo non sono previste sanzioni penali tributarie, connesse ad esempio al reato di “dichiarazione infedele”. In più, nell’accertamento si escludono le sanzioni amministrative e si riducono i termini di decadenza.

Chi ha invece un reddito superiore a un milione di euro, ma possiede in Italia, anche per interposta persona o tramite un fondo, un reddito complessivo mediamente pari o superiore a un milione di euro, avrà degli incentivi a trasferire la residenza aderendo al concordato, con tutti i benefici. 
Una riforma ispirata alla “pace fiscale”, adesso rinominata” tregua”, che tende come sempre ad assecondare una certa parte di elettorato di destra, in un momento in cui è stato fortemente ridimensionato il sostegno alle fasce più deboli della popolazione, tramite una retorica ormai divenuta insopportabile: l’indebita ricezione del sussidio.
Guardando infatti le cifre a proposito di reddito di cittadinanza ci si accorge come questo sia costato 8 miliardi nel 2022 mentre le stime dell’evasione fiscale e contributiva oscillano fra 90 e i 100 miliardi in base alle ultime stime NADEF del 2020. Prendendo in considerazione i dati della Guardia di Finanza relativi al periodo dal 1 gennaio 2021 al 31 maggio 2022, gli illeciti relativi al RdC sono stati pari a 288 milioni di euro, l’1,4 per cento del totale dello stanziamento nel medesimo periodo. Per fare un confronto, nello stesso rapporto la GdF sottolinea di aver accertato frodi per oltre 5,6 miliardi di euro nel campo dei crediti d’imposta agevolativi in materia edilizia ed energetica. Per non parlare dell’evasione fiscale e contributiva, che nel 2019 (dati NADEF 2022) ha raggiunto l’imponente cifra di 99 miliardi di euro.
Ma il vero punto forte della riforma è rappresentato dalla rimodulazione delle aliquote Irpef, che attualmente si compone di quattro scaglioni:
23% fino a 15.000 euro, 25% da 15.000,01 a 28.000 euro, 35%, da 28.000,01 a 50.000 euro, 43% oltre i 50.000 euro. 
​
L’obiettivo della riforma prevede di ridurre le aliquote a tre sole fasce, nel rispetto “del principio di progressività e nella prospettiva di transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica”, cioè la flat tax. Sappiamo però, che  le nuove aliquote Irpef e la flat tax sono rinviate, almeno al 2024. Solo per riordinare l’Irpef ci vorrebbero quattro miliardi di euro, ma nella prossima legge di bilancio le risorse basteranno a malapena per confermare le misure esistenti. Una misura iniqua che continuerà a tassare il lavoro e le pensioni più delle rendite immobiliari (per le quali si prevede l’estensione della cedolare secca), più delle grandi rendita finanziari, più del lavoro autonomo, più del reddito agricolo, più del reddito d’impresa che in buona parte sarà escluso dal l’Irpef. In più, con le nuove aliquote estendere i redditi assoggettati all’aliquota più bassa è un vantaggio soprattutto per i redditi più elevati, che pagano meno tasse. 
Si delinea quindi un quadro programmatico abbastanza fumoso, ispirato al principio di collaborazione e buona fede tra Stato e cittadino, dove la mancanza di risorse e la poca efficienza della macchina amministrativa non potranno far altro che rallentare l’intero processo di riforma. 
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