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La strage non si ferma

25/9/2023

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Il Governo Meloni continua con azioni nel segno del disprezzo verso i lavoratori

Riccardo Imperiosi

Direttore Giovane Avanti!


Stazione di Brandizzo, un paese di neanche diecimila abitanti in provincia di Torino, tra Chivasso e Settimo Torinese. 
Mancano pochi minuti a mezzanotte. 
Michael, Giuseppe, Saverio, Giuseppe e Kevin stanno iniziando il turno di lavoro. Sono manutentori delle linee ferroviarie, quelli che si prendono cura dei binari del treno tanto per intenderci.
L’atmosfera è tranquilla: si ride, si scherza, si girano dei brevi video, magari da condividere sui social o da inviare a qualche amico. Nel frattempo si sente anche qualche piccola, stupida ma fondamentale raccomandazione. “Ragazzi se vi dico ‘treno' andate da quella parte”, dice Antonio Massa, il dipendente di RFI sul posto. L’attenzione c’è, ma la non abbondanza di questa suggerisce una certa abitudine verso queste parole, come se fosse quasi una prassi.

Stazione di Brandizzo.
Mancano pochi minuti a mezzanotte, stavolta un po’ meno: sono le 23.49.
Michael, Giuseppe, Saverio, Giuseppe e Kevin stanno lavorando sui binari. 
Una luce.
Un fischio assordante.
Uno schianto tremendo.

Il treno - previsto per le 23.30 ma in ritardo di 20/25 minuti - alla fine è passato. Ma senza che nessuno dei cinque operai si spostasse dai binari. 
Di loro, di cinque persone con famiglie, amici, affetti, sogni, obiettivi, speranze, delusioni e ricordi, non resteranno che brandelli. Talmente tardi che anche i funerali ritarderanno a causa delle difficoltà nel ricomporre i loro corpi. 

Michael, Giuseppe, Saverio, Giuseppe e Kevin sono morti lavorando.
La dinamica dell’incidente
Come detto, uno degli operai coinvolti nell’incidente, Kevin, ha girato un video emblematico quella sera. Nel video si percepisce quella che è una prassi - quindi un modus operandi non occasionale - estremamente pericolosa: quel che emerge dalle parole di Massa e dalle investigazione, è che quella sera ancora non c’era stata alcuna interruzione della linea sui binari. Insomma, il rischio che passasse un treno non esisteva. Non esisteva perché non era un rischio, ma una certezza. Tanto che una dirigente di RFI ha tentato più volte di impedire l’inizio dei lavori, evidentemente senza riuscirci.
Il risultato sono state cinque vite spazzate via in un lampo. Quello dei fari del convoglio.

La strage sul lavoro in Italia
Proprio qualche giorno fa ho avuto l’occasione di partecipare al convegno UIL “Consapevolezza È Sicurezza”, in cui si riunivano tutti i RLST (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriali) d’Italia, il tutto supportato dalla campagna permanente “Zero Morti sul Lavoro”. I dati che si evincono dall’intervento del Segretario Generale azzurro Pierpaolo Bombardieri sono drammatici: ogni anno gli incidenti sul lavoro sono circa mezzo milione (!), di cui 900 con la più tragica delle conclusioni; ma non solo, perchè i dati sui controlli effettuati sono ancora peggiori visto che, a fronte di un numero non ancora sufficiente di controlli, le imprese che hanno ricevuto una sanzione penale per le gravi irregolarità presentate in materia di sicurezza sono il 90%, di cui la stragrande maggioranza sono piccole e medie imprese nel comparto artigiano, quello che presenta i rischi maggiori (al suo interno troviamo anche edilizia, metalmeccanica, tessile). 
Insomma, il fenomeno delle morti sul lavoro sembra proprio un infinito tunnel, del quale ancora purtroppo non intravediamo la luce.

Infatti i dati ci dicono che negli ultimi vent’anni ancora il trend non è cambiato. Da un’elaborazione di Pagella Politica sui dati INAIL, vediamo come si passi dai circa 1500 decessi nel 2002 a poco più di mille nel 2009, per poi vedere un improvviso aumento nel 2010: da quel punto, raramente si riesce a scendere sotto alle 1200 morti all’anno. Cambiare tutto per non cambiare nulla. E’ proprio il caso di dirlo.

Se il profitto vale una vita
In Italia - ma purtroppo anche nel resto del mondo - troppo spesso si assiste al più drammatico dei baratti: quello del banale e, da questo punto di vista, irrisorio profitto economico con le vite umane. Il caso di Luana D’Orazio, stritolata tre anni fa da un orditoio scientemente manomesso per diminuire le pause e quindi aumentare la produttività, è solo uno dei più emblematici, ma potremmo elencare centinaia di nomi la cui vita è stata strappata via in nome del dio denaro.
Parlavamo di baratti. Questo non è solo drammatico, ma anche esclusivamente umano - nel senso negativo del termine: non si parla di rischiare la vita per la propria o altrui sopravvivenza, ma di farlo per ingrossare le tasche di qualcun altro, per dare un surplus di risorse ad una persona terza assolutamente non necessarie alla sua sopravvivenza, che nel migliore dei casi verranno accantonate e nel peggiore scambiate con beni di lusso, che per definizione significa “non necessario, non fondamentale”. 
Insomma, l’essere umano è l’unico animale che muore in un’attività per dare molti più beni di quanti ne sarebbero necessari ad uno sconosciuto.

Omicidio stradale. Da ora anche omicidio nautico. Una valanga di casistiche diverse per altri omicidi. Ma nessuno - se non PierPaolo Bombardieri - parla di omicidio sul lavoro. Per quale motivo, a fronte di una strage che porta via mediamente tre vite al giorno, spesso per responsabilità oggettive - come per manomissioni od omissioni - non si può istituire il reato di omicidio sul lavoro? Ad oggi i risultati dei processi sono inesistenti: patteggiamenti, prescrizioni, talvolta persino delle assurde assoluzioni. Senza la certezza della pena (che di certo non viene data per scontata neanche se il reato è di omicidio) è impossibile che le attuali conseguenze previste dalla legge italiana fungano da deterrente per azioni criminali - perchè di questo si parla - di questo tipo. La manomissione o alterazione dei macchinari o delle procedure di sicurezza per aumentare la produttività sono azioni criminali, se una di queste porta al decesso di un lavoratore o una lavoratrice - il che è ben più di una remota possibilità viste le preesistenti misure di sicurezza - si parla di omicidio!

Appalti e subappalti
In moltissimi settori il tema degli appalti e subappalti rimane purtroppo centrale: in tal senso si nota una pericolosa tendenza ad esternalizzare una miriade di servizi, basti pensare a pulizie o manutenzione. Qual è il problema? Senza entrare nel merito del nuovo Codice per gli appalti - che liberalizza ancor di più la normativa vigente buttando chili di fertilizzante sulle immense praterie criminali - i lavoratori in appalto spesso sono considerati veri e propri lavoratori di serie B. 
Primo punto: i contratti collettivi diversi, chiaramente peggiori di quelli dei colleghi “di serie A” sia per quanto riguarda la parte economica, sia per quella relativa ai diritti. D’altra parte se per effettuare un servizio occorre una certa somma, appaltando il servizio quella somma va divisa tra più parti, è ovvio che il lavoratore in fondo alla piramide ne risulti penalizzato economicamente.
Secondo punto: chi lavora in appalto spesso ha delle tempistiche molto precise e stringenti, che non permettono tutti gli accorgimenti necessari per garantire la sicurezza. L’incidente di Brandizzo è solo l’ultimo di una lunga lista di esempi.

Il taglio al fondo per il risarcimento alle famiglie delle vittime sul lavoro
Le passerelle del Governo Meloni sono pressoché infinite, ma ciò che svela quale sia la vera natura dell’esecutivo - perlomeno nel mondo del lavoro - sono i continui provvedimenti contro i lavoratori: uno di questi, lo schiaffo più forte alle famiglie di migliaia di vittime, è il Decreto Ministeriale n. 75 del 2023, ovvero il taglio al risarcimento una tantum alle famiglie dei lavoratori morti per il lavoro e di lavoro.
Si tratta di un decreto del Ministero del Lavoro che ha fissato un minimo di € 4.000 (contro i € 6.000 del 2022) e un massimo di € 14.500 (contro i € 22.400 del 2022) per le famiglie.
Il decreto prevede all’articolo 1 che “l’importo della prestazione [...] è determinato secondo le seguenti tipologie distinte per numerosità del nucleo familiare”. Sono previste infatti quattro diverse tipologie, in base al numero di superstiti nel nucleo familiare, che prevedono la somma di € 4000 in caso di un solo superstite, € 7.500 in caso di 2 superstiti, € 11.000 in  caso di 3 superstiti, €14.500 in caso di più di 3 superstiti.
Il taglio non si ferma qua: hanno ridimensionato anche il Fondo di sostegno per le famiglie vittime di gravi infortuni”. Lo hanno tagliato: -45% è la percentuale delle risorse tagliate. Il Fondo passa così da 9,8 milioni di euro a 5,5 milioni. 

Il taglio alle ore di formazione sulla sicurezza
Le misure che sembrano non accorgersi del perpetrarsi delle morti bianche continuano. Recentemente è stata presentata la bozza dell’accordo Stato/Regioni - pertanto niente di ufficiale, ad ora solo una bozza - che al suo interno prevede un taglio alle ore di formazione per la sicurezza sul lavoro, ma non per tutti: il taglio riguarda solo i settori più a rischio (quelli che necessiterebbero di più ore) come edilizia e siderurgia. Inoltre, si tratta di un taglio che va in direzione opposta ai contratti nazionali di quei settori, i quali prevedono un tot di ore di formazione. Servono altre misure per accorgersi del disprezzo dell’esecutivo verso i lavoratori e la contrattazione collettiva, quest’ultima peraltro inquinata da una moltitudine di sindacati gialli (guarda caso tutti vicini al Governo ed estremamente accondiscendenti)?
La risposta parrebbe essere “ve le diamo”, perchè le follie di questa bozza non si fermano al suddetto taglio. Basterebbe dire, ad esempio, che l’idea è di allargare il perimetro anche agli enti formatori accreditati a livello regionale, non importa se con poca o nulla esperienza: un sistema pericoloso, che rischia di barattare ancora una volta il risparmio di fondi stanziati con la vita dei lavoratori.

La patente a punti
La sicurezza non arriva da sola. Di fronte a queste tragedie, che purtroppo si verificano sempre più spesso, occorre fermarsi e riflettere come invertire questa drammatica rotta. Indubbiamente la formazione deve essere potenziata, non può continuare ad essere solo ed esclusivamente circoscritta all’ambiente lavorativo, deve al contrario permeare tutta la cultura della nostra società: partire dalle scuole superiori - in cui i ragazzi peraltro hanno un primo approccio al mondo del lavoro - ma non solo, deve essere tramandata anche nelle case, senza permettere il perpetrarsi di esempi negativi per velocizzare il profitto altrui.

Poco fa abbiamo parlato dell’istituzione del reato di omicidio sul lavoro, ma in tema di deterrenti non è abbastanza: è necessario (anche in questo sposiamo la causa della UIL) istituire una sorta di patente a punti, con un meccanismo simile a quella di guida. Le aziende inadempienti sotto il profilo della sicurezza - o peggio con morti sul lavoro - oltre a sanzioni penali o amministrative, perdono dei punti sulla base della gravità dell’infrazione commessa. Una volta conclusi i punti, all’azienda verrà impedito di partecipare ai bandi pubblici. Non è accettabile che si continui a vedere gare vinte da aziende già coinvolte in incidenti di questo tipo e tuttora inadempienti.

In sostanza, nel nostro Paese le morti sul lavoro continuano ad essere una tragica costante. Occorre fare molto, molto di più per affrontare un tema che ormai è diventato culturale e non prettamente normativo. Al contrario vediamo un notevole arretramento in tema di sicurezza, formazione, risarcimenti. Per non parlare di salari e diritti.
No, così non è abbastanza. 
Però si sa, tutti i governi hanno i loro punti di forza. Dobbiamo riconoscere che anche il Governo Meloni ha dei notevoli primati: in tagli a favore delle aziende e passerelle sembrano veramente imbattibili. 
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