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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di presentazione della Legge di Bilancio, ha annunciato che dal 2024, verrà abolito il reddito di cittadinanza per quei cittadini considerati abili al lavoro. Partendo dal fatto, anzi partendo dai numeri: in Italia sono almeno 5 milioni i poveri, coloro che vivono nella povertà, coloro che non hanno un lavoro o anche se hanno un lavoro ricevono un salario talmente basso che non gli consente di sopravvivere (neanche di vivere) e senza avere alcun tipo di garanzia o giorni in caso di malattia. L’allarme povertà lo hanno lanciato sia l’Istat che l’Eurostat. Quest’ultimo afferma che “cresce il rischio di povertà in Italia, soprattutto per i bambini e per i lavoratori e la situazione rischia di complicarsi nel 2022”. Solo nel 2021 le persone a rischio povertà e con un reddito inferiore al 60% del reddito medio disponibile erano 11,84 milioni, ma dobbiamo guardare anche a quella parte di popolazione che non riesce a garantire al nucleo familiare e ad avere pasti completi o non riesce ad avere una casa adeguatamente riscaldata toccando il 25,5% della popolazione. Fanno parte di queste famiglie che appartengono alla fascia più debole della popolazione anche i bambini: almeno 667.000 bambini (dati 2021). Il 14,2% sono i minori in povertà assoluta.
L’Istat ha rilevato che nel 2021 sono in condizione di povertà assoluta 1,9 milioni di famiglie e 5,6 milioni di individui (9,4%). I dati sulla povertà segnano un peggioramento per le famiglie con maggior numero di componenti per nucleo. Dati che evidenziano- ancora una volta- u na differenza tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Nel Mezzogiorno - dove l’erogazione del Reddito di Cittadinanza è superiore rispetto al Nord - almeno il 10% è rappresentano da famiglie che si trovano in povertà assoluta. Il Mezzogiorno è la parte di Paese dove si conferma la percentuale maggiore di famiglie in povertà. L’ANPAL ha aggiornato i dati relativi ai beneficiari del reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro ed è emerso che su 919.000 beneficiari almeno 660.000 cittadini sono soggetti al Patto per il lavoro e che “la quota restante di beneficiari si suddivide tra gli esonerati dagli obblighi di condizionalità (il 7,3%), i rinviati ai servizi sociali (2,1%) e gli individui con una occupazione attiva. La quota maggiore di beneficiari si registra nella ripartizione meridionale (44,9%) cui fa seguito l’area delle isole, della quale fanno parte un quarto degli individui in misura”. Sempre dati e numeri alla mano Il numero dei beneficiari complessivamente transitati ai Servizi per l’impiego dall’entrata in vigore della legge sono 2.116.000. E' vero la misura del reddito di cittadinanza non è perfetta, non è completa, ci sono tanti elementi che nella creazione di questa misura non hanno funzionato come avrebbero dovuto e quindi vanno rivisti-riorganizzati, ma 'fare la guerra' ai poveri non è mai la soluzione soprattutto in un periodo storico come questo caratterizzato da un aumento dei prezzi (soprattutto dei beni necessari per vivere), di aumento vertiginoso delle bollette (luce-gas in primis), da una inflazione galoppante. Tagliare una misura come il reddito di cittadinanza ai cittadini- seppur abili al lavoro- che vivono sotto la soglia di povertà, ma sono occupabili (e magari in cerca di lavoro) significa tagliare questa forma di sostegno ad almeno 660.000 mila cittadini. In legge di bilancio già viene prevista una riduzione per il 2023: prevedendo la percezione del sussidio per 8 mesi anziché i 12 mesi per arrivare all'azzeramento nel 2024. Basta guardare i dati e i numeri, basta guardare le statistiche, basta guardare chi è che (correttamente) percepisce questa misura cioè chi sono i cittadini che riescono a sopravvivere grazie a questa forma di sussidio. Sono almeno 400.000 le famiglie interessate già dal primo taglio dell’assegno. Con questa manovra della destra di governo, le casse dello Stato riceveranno circa 800 milioni di euro (776 milioni di euro in totale) andando a tagliare in nome di un risparmio per lo Stato, quella forma di sussistenza economica per una parte dei cittadini. Un risparmio che rappresenta meno di un decimo della spesa complessiva (pari a 8 miliardi). Viene previsto il taglio dell’assegno per quei cittadini abili e con una età compresa tra i 18 e i 59 anni al lavoro da 18 a 8 mesi. Sono escluse le famiglie con minori o anziani sopra i 60 anni o disabili. Nel giugno 2022 l’INPS ha pubblicato i dati aggiornati che riguardano i nuclei familiari che hanno percepito il reddito di cittadinanza tra il 2019 e il 2022. Solo nei primi cinque mesi del 2022 i dati emersi mostrano che 1.555.035 di nuclei hanno ottenuto una mensilità di sostegno, per un totale di 3.423.762 persone e una erogazione che supera di poco i 550 euro. Nell'ottobre 2022 ANPAL ha evidenziato in una nota che il 57,7% dei percettori ha competenze medio-basse (intesa a livello di formazione). Più del 70% dei percettori ha un'istruzione secondaria inferiore (quindi non ha neanche la licenza superiore). Sono cittadini che hanno poche competenze di base, poca formazione e per loro è ancora più complicato e difficile riuscire a trovare un'occupazione in un mondo che richiede sempre più formazione. È anche vero che è previsto il Patto per il lavoro ovvero un “percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo che prevede la redazione del bilancio delle competenze e attività finalizzate alla ricerca attiva di lavoro e alla formazione o riqualificazione professionale” ed è anche vero - perché già riformata - che il cittadino che percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di due offerte di lavoro congrue. Si può essere d'accordo sul fatto che chi è abile al lavoro debba trovare un'occupazione. Il problema è che tipo di occupazione si riesce a trovare, quanto si viene pagati all'ora, quante ore si deve lavorare nell’arco della giornata, quali garanzie si hanno, quale tipo di contratto viene proposto (tempo indeterminato? è molto difficile che venga proposto questo tipo di contratto vista la giungla di contratti e contrattini che stringe come una tenaglia il mondo del lavoro in Italia). Si parla di percorsi di formazione per questi cittadini, ma che tipo di percorsi di formazione? La maggior parte dei cittadini percettori del reddito di cittadinanza sono coloro che non hanno i gradi di istruzione più alti (diploma di scuola superiore o laurea). Chi terrà questi percorsi di formazione? Che ne sarà dei c.d. navigator? Metteranno mano alla tanto agognata riforma dei Centri per l'impiego? Quanto tempo servirà per questo tipo di riforma che andrà ad incidere su una colonna portante del sistema occupazionale e formativo del Paese e con quali risorse? Le domande sono tante e sono importanti così come lo è la necessità di un intervento strutturale. Quindi pensare di ridurre, per poi abolire- dal 2024- una forma di sostegno (che di certo non è la soluzione) senza avere già in cantiere un'altra riforma strutturale, significa soltanto mettere i cittadini gli uni contro gli altri. Questo tipo di riforma richiede tempo, analisi, studi da parte delle commissioni parlamentari e del Parlamento, ma soprattutto richiede tempo la fase pratica di organizzazione e riorganizzazione di una “macchina” come quella dei Centri per l’impiego che si è “inceppata”, ma soprattutto occorre- a livello legislativo- rimettere mano alla miriade di contratti e contrattini che soffocano un mercato del lavoro che mostra tutte le difficoltà di un corretto ed equo inserimento dei lavoratori.
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