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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna Annualmente la Caritas redige un rapporto in cui con numeri e dati ‘fotografa’ l’immagine di una Italia in cui povertà ed esclusione sociale sono sempre più forti ed evidenti. La pandemia che abbiamo vissuto e i cui effetti stiamo ancora affrontando ha avuto sul piano sociale oltre che economico riflessi molto pesanti. “Sono aumentate le quote di disagio e fragilità nei territori, che hanno coinvolto in modo diverso persone e famiglie, non sempre provenienti da vissuti di povertà e disagio sociale”. Dopo due anni di crisi globale causata dagli effetti della pandemia, stiamo assistendo ad un’altra crisi- esterna al nostro territorio nazionale- ma con forti e pesanti ricadute a livello economico: la guerra in Ucraina.
Una guerra nel cuore del continente europeo che ha portato ad emergenza umanitaria con i profughi che hanno lasciato l’Ucraina, ma anche economica e sulle condizioni socio-economiche delle famiglie italiane. I costi energetici avranno un impatto devastante sull’economia delle famiglie italiane soprattutto quelle che presentano redditi più bassi. Questa emergenza colpisce un Paese- l’Italia- che già prima del 2020 e prima della guerra in Ucraina presentava dati e numeri fortemente negativi con record in tema di povertà ed esclusione sociale. Il rapporto della Caritas del 2022 è stato intitolato “l’anello debole”, quegli anelli che rischiano di ‘allontanarsi’ dai meccanismi di solidarietà e rischiano di “staccarsi dalla compagine sociale”. La Caritas ha anche rilevato come la povertà, in Italia, sia anche di tipo ereditario nel senso che è anche intergenerazionale e che le condizioni di povertà che si vivono “dipendono e sono collegate anche da situazioni di povertà del passato.”. 6 persone su 10 si rivolgono alla Caritas perché vivono in una condizione di precarietà economica che ha le sue ‘radici’ in una pregressa situazione di difficoltà economica familiare rappresentando quindi quell’anello debole di cui di parla nel rapporto della Caritas. “La persistenza all’interno di un sistema sociale di una serie ininterrotta di anelli deboli determina nel tempo una paura crescente di diventare poveri e, più in generale, la diffusione di sentimenti di paura verso il futuro.”. Ma le difficoltà dipendono anche dall’incapacità di coloro che hanno responsabilità nei confronti della società a farsi carico di queste situazioni che generano forti incertezze e quindi causano quel senso di frustrazione, ma anche di “abbandono all’incertezza e all’autoreferenzialità”. Dai dati emerge che nel 2021 sono state 227.556 le persone che sono stata accolte-seguite nei centri Caritas. Quasi una parità tra donne (49.1%) e uomini (50.9%), ma guardando i dati del Sud Italia emerge come la percentuale sia invertita ovvero 54.1% di donne contro il 45.9% di uomini. Anche la percentuale di persone straniere (con regolare permesso di soggiorno) che chiedono aiuto e sostegno alla Caritas è aumentata rispetto al 2020 arrivando al 55% e oltre il 60% nelle regioni del Nord-Est e Nord-Ovest. Il rapporto evidenzia come l’età media di chi ricorre ai servizi Caritas è di 45,8 anni. Le percentuali più alte sono nella fascia tra i 18 e 34 anni, nella fascia tra 35 e 44 anni e nella fascia tra 45 e 54 anni. I dati mostrano che le persone coniugate (45.2%) sono quelle che chiedono maggiore sostegno. Alta è anche la percentuale di coloro che dichiarano di avere figli (quasi il 65%, quasi 100.000: 7 persone su 10 vive con figli minori. Questo dato è in aumento rispetto allo scorso anno ed porta ad aprire una riflessione perché la povertà e le difficoltà economiche delle famiglie con figli minori a carico porta anche ad una povertà educativa. Povertà economica e povertà educativa vanno di pari passo e sono fortemente correlate. Infatti nel 2021 è aumentata la “consueta correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione. Cresce infatti il peso di chi possiede al massimo la licenza media, che passa dal 57.1% al 69.7%; tra loro anche persone analfabete, senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare”. Al Sud e nelle isole i dati sono ancora più negativi perchè nelle zone insulari si arriva quasi all’85% e al Sud al 75%. Altro dato che porta ad aprire una riflessione è quello legato alla condizione professionale perché da qui si delinea un quadro che racchiude le fragilità di una parte della popolazione italiana. Nel 2021, guardando i numeri, aumenta (per arrivare al 47.1%) la percentuale di disoccupati o inoccupati e scende la percentuale degli occupati che si attesta al 23.6%. Il mercato del lavoro italiano soffre, da anni, di fragilità-divenute croniche: “l’ampia diffusione di occupazioni a bassa remunerazione e bassa qualifica (soprattutto nel terziario), la segmentazione del mercato occupazionale, le marcate differenze territoriali, il dualismo tra insider e outsider, la diffusa precarietà, la forte incidenza dei lavori irregolari, la diffusione di contratti di lavoro non standard, soprattutto tra i giovani e del part time involontario, l’alta incidenza dei Neet e della disoccupazione giovanile”. Proseguendo nell’analisi del documento redatto dalla Caritas si evince come sia aumentata l’incidenza di coloro che sono percettori del reddito di cittadinanza. Il 33.4% di italiani sono percettori della misura di contrasto alla povertà (+3% rispetto al 2020). Ancora una volta siamo chiamati a renderci conto della differenza tra Nord e Sud Italia perché nelle regioni del Sud e nelle isole la percentuale di chi percepisce il reddito di cittadinanza è molto più elevata attestandosi al 44.9% al Sud e al 50.3% nelle isole. Un altro tema che emerge dai dati della Caritas riguarda la casa perché almeno il 64% sono case locatarie, poco più del 48% sono abitazioni private e quasi il 16% sono case popolari. Almeno il 16.2% di persone assistite dalla rete della Caritas sono senza dimora. L’analisi e la lettura di questi dati mostrano i profili di povertà che caratterizzano, da anni, il Paese e soprattutto nel periodo post-covid e nel periodo di emergenza internazionale con una crisi energetica in corso ed emergono dati che dimostrano che la povertà non sta diminuendo o perlomeno- nel futuro prossimo- non accenna a diminuire. Un altro grave problema italiano è quello che riguarda il lavoro perché aumenta il disagio sociale legato ai dati occupazionali perché circa la metà di coloro che si rivolgono alla Caritas è alla ricerca- con enormi difficoltà- di un lavoro o di un nuovo lavoro anche a causa di un basso livello di formazione. Circa 1/4 di coloro che si rivolgono alla Caritas lo fanno per la famiglia anche se hanno già un lavoro. Nel rapporto in questione vengono differenziate le situazioni tra woorking poor (cioè lavoratori poveri con un salario inferiore ai 2/3 del reddito medio) e in-work-poverty (lavoratori poveri nonostante abbiano una occupazione). Altra questione che non può non essere presa in considerazione riguarda il gap che il Nord e il Sud del Paese vivono (da decenni ormai) perché il Mezzogiorno e le Isole, soprattutto nell’epoca post-covid, hanno visto un aumento della povertà assoluta- a fronte di un calo che si è registrato nel Nord del Paese. Con numeri alla mano possiamo evidenziare che le famiglie in povertà assoluta raggiungono il 10% (con un incremento rispetto al 2020) e questo fa si che anche la condizione dei minori sia peggiore rispetto al Nord. Chi chiede aiuto? In base al rapporto Caritas chiedono aiuto le donne che rappresentano quasi il 54% del totale. Al Sud più di 3/4 di coloro che chiedono aiuto-sostegno alla Caritas hanno figli (74,5% contro la media nazionale del 64,9%).ù Come già evidenziato povertà e un basso livello di istruzione sono fortemente correlati. Quasi il 79% di coloro che hanno chiesto aiuto possiede il diploma di licenza media (con percentuali ancora più alte nelle zone insulari del Paese). In Italia il fenomeno della mobilità sociale ha subito trasformazioni nel corso del tempo e, in particolare- come emerge dal rapporto della Caritas- si possono individuare 3 fasi legate alla mobilità sociale. La prima fase prende avvio con la società industriale e si chiude dopo la seconda guerra mondiale; la seconda fase è quella che coincide con gli anni del post guerra e del boom economico; la terza fase la si inquadra negli anni ’80 in cui il fenomeno della mobilità sociale ha avuto “una crescita vigorosa almeno fino a inizio nuovo secolo”. Ma nell’Italia degli anni duemila? Quello che possiamo osservare è che dal 2010 i “i livelli di fluidità sociale in Italia appaiono molto più deboli rispetto al passato. Una prima prova è data dalla comparazione della nostra situazione con quella degli altri Paesi europei (e non solo)”. L’Italia, nel rapporto del World Economic Forum, si pone al 34esimo posto su 82 Paesi e all’ultima posizione tra gli europei industrializzati (per comprendere il lato negativo dei dati che ci riguardano: l’Italia è davanti a Croazia, Albania, Bulgaria, Serbia e Grecia). Anche per quanto riguarda il reddito, gli studi e le analisi collocano il nostro Paese tra quelli a bassa mobilità intergenerazionale con un risvolto in negativo soprattutto negli ultimi anni. “Questo risultato si riscontra in particolare per gli anni 2010-2016 che presentano valori dell’indice di persistenza intergenerazionale di reddito e ricchezza superiori a quelli degli anni precedenti. Oggi dunque in maniera più ampia che in passato – attesta Banca d’Italia - le variabili che non sono oggetto di scelta degli individui spiegano il loro successo economico” (Cannari-D’Alessio per Banca d’Italia 2018). Per la Caritas si parla di “trasmissione intergenerazionale della povertà”: “Il raggio della mobilità ascendente risulta oggi dunque più corto e soprattutto sembra funzionare prevalentemente per chi proviene da famiglie di classe media e superiore. Per chi si colloca sulle posizioni più svantaggiate della scala sociale si registrano invece scarse possibilità di accedere ai livelli superiori. […]è sempre più improbabile, oggi, per chi nasce alle vette della stratificazione sociale perdere i propri privilegi, al contrario, chi parte dalle retrovie trova sempre più irrealizzabili le sue prospettive di miglioramento” La trasmissione intergenerazionale della povertà in Italia? Nel nostro Paese c’è il rischio alto di “rimanere intrappolati in situazioni di vulnerabilità economica per chi proviene da un contesto familiare di fragilità”. I fattori che determinano la povertà intergenerazionale sono: povertà educativa, povertà lavorativa, povertà economica che a loro volta evidenziano fattori psicologici e fattori socio-culturali Il rapporto della Caritas del 2022 fotografa un’Italia in cui vivono in povertà assoluta 1,4 milioni di bambini. Un tema che deve portare istituzioni e politica a dover riflettere profondamente sullo stato e condizione economica di una parte- non indifferente- di popolazione. Non si deve parlare di mero e puro assistenzialismo per contrastare la povertà, ma è necessario che vi siano interventi legislativi che devono consentire un’inversione di tendenza soprattutto in un periodo storico caratterizzato da una stagnazione economica con livelli di inflazione sempre più alti. E’ quindi necessario che vengano adottate politiche che favoriscano una maggiore equità, ma anche un livello di giustizia sociale a partire dall’istruzione per arrivare al contrasto delle disuguaglianze economiche (in particolare tra Nord e Sud, ma anche quelle che si registrano nel Mezzogiorno e nelle isole). Dal 2016 al 2020 almeno 1 famiglia su 4 ha ricevuto un sostegno economico, ma il rischio di povertà resta sempre molto alto. Durante il 2020 e il periodo pandemico la diffusione della povertà economica è strettamente correlato all’andamento dell’economia e il numero di poveri assoluti è in forte crescita per cui la strada da percorrere è quella di pensare (e ripensare a politiche economiche che abbiano come risultato la crescita). “A conferma del fatto che la povertà è legata all’andamento del ciclo economico, nella ripresa del 2021 l’incidenza della povertà è diminuita al Nord ed è aumentata al Sud, mentre i lockdown e la pandemia avevano determinato effetti più gravi sulla povertà delle regioni settentrionali. I dati Istat relativi al 2021 dicono, però, che la ripresa economica, se ha effetti positivi sul totale dei poveri, rischia di lasciare indietro i gruppi ai margini di questo processo, cioè le regioni del Sud e gli stranieri”. Il “Recovery Fund europeo è stato letto come una forma di “ritorno alla sicurezza sociale” attraverso “il ritorno dello Stato”, ovvero di politiche pubbliche della cura che gestiscono e si fanno carico della incertezza economica, sociale e ambientale che affligge i cittadini e le cittadine da quando la crescita economica globale ha mostrato i suoi limiti e le sue contraddizioni”. Oggi abbiamo risorse pubbliche previste nel PNRR che dovranno essere utilizzate per dar un ‘volto nuovo’ ad un Paese che per decenni ha messo da parte la sua funzione principale e cioè garantire servizi e sostenere i cittadini in difficoltà economica. Un lavoro lungo e complesso che può portare al raggiungimento dei risultati. Nel PNRR sono previsti interventi sulla povertà e questo è il momento storico per affrontare una questione che- soprattutto negli ultimi anni- non ha trovato uno spazio adeguato negli spazi della politica. Inoltre la guerra in Ucraina e i risvolti in tema di politica estera ed economica ha come “elemento di novità” l’inflazione: un fenomeno cui le famiglie non sono abituate e che avrà come effetto-risultato quello di aumentare la povertà a causa dell’incremento dei prezzi (generi alimentari, energia, gas).
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