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L’attualità del socialismo nell’era delle grandi rivoluzioni

3/7/2022

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enrico maria pedrelli

Segretario Nazionale Federazione Giovani Socialisti

Care compagne e cari compagni,

ci eravamo lasciati a Genova ricordando il contributo che i Giovani Socialisti hanno dato ai 130 anni di storia del movimento socialista italiano. In quell’occasione ho osservato, a 130 anni dalla nascita del PSI ma soprattutto a 30 anni da Mani Pulite, che il lavoro di noi Giovani Socialisti oggi è la più grande testimonianza di quanto questa nostra storia sia tutt’altro che chiusa.
Ma non è solo questione di storia. In Italia siamo troppo abituati a leggere la politica solo con le lenti storiche, e questo spesso ci dissocia dalla realtà. A volte mi chiedono “ma i giovani socialisti esistono ancora?”, perché naturalmente tutti conoscono la storia del PSI e il diluvio universale che ci ha travolto, ma quella che può sembrare un’acuta battuta di spirito è in realtà il sintomo di un grandissimo provincialismo, perché in tutto il mondo tra i più giovani dei millennials, e quella che viene definita oggi la “generazione Z”, si assiste ad un interesse senza precedenti verso gli ideali del Socialismo.

Qualcuno temeva che la cultura di internet portasse solo barbarie, e invece mette anche in circolo valori millenari assieme a idee nuove, e i giovani socialisti – dal cyberspazio alla vita reale – in tutto il mondo aumentano di numero. Certo, un faticoso compito della FGS è trascinare questi giovani ad un più serio attivismo politico, considerando anche i tantissimi equivoci che si creano in rete sul Socialismo e su quello che voglia dire. Ma ripeto: stupirsi dell’esistenza dei giovani socialisti, di tantissimi socialisti addirittura di prima generazione, significa essere rimasti con la testa ancora a trent’anni fa e significa non avere la minima idea di cosa stia succedendo nel Mondo.

L’attualità del Socialismo, per questo, è indiscutibile. E noi italiani non dobbiamo avere complessi di inferiorità, pensando che sia compito nostro oggi dimostrare col ditino alzato tutti i buoni propositi per cui il socialismo sarebbe ancora attuale e via discorrendo… perché la sua attualità è un fatto: noi esistiamo e ci muoviamo nell’attualità, abbiamo valori solidi e compagne e compagni in tutto il mondo, a volte in ruoli apicali, a volte in maggioranza altre volte in netta minoranza. E che in Italia siano finiti i famosi “anni ruggenti dei socialisti” – almeno per ora… e come del resto è accaduto purtroppo in altri paesi – ciò non mette assolutamente in discussione un altro fatto: che il Socialismo, sia oggi l’unico ideale politico nell’orizzonte della sinistra progressista italiana. Che lo si voglia ammettere o no.

Nessuno oggi può parlare di comunismo seriamente, e lo si è visto con quanto e immenso imbarazzo è stato festeggiato l’anno scorso l’anniversario della scissione del ‘21, l’anarchia rimane tutt’ora una grande e nobilissima utopia, il liberalismo o è sociale o è solo per la libertà di pochi, e dunque solo il Socialismo oggi è in grado di restituire alla sinistra una bussola di valori e obiettivi calati nella realtà. Non a caso sempre più persone oggi, facenti parte degli schieramenti più diversi, si dicono in qualche maniera socialiste: certo, forse potremmo parlare di “100 sfumature di socialismo” oggi, perché ognuno lo interpreta un po’ come vuole… ma va benissimo! Un grande fermento culturale è proprio quello che ci serve, e noi socialisti italiani – lungi dall’essere settari – dovremmo assecondare questo fermento e dialogare con tutti – proprio come si sta tentando di fare oggi.

In questo dibattito che si è aperto, e che noi incentiviamo con entusiasmo, io vorrei porre alla vostra attenzione alcuni punti.

1) Il Socialismo è una questione di ideali e di coscienza. Non è una questione di pragmatismo, o di saper “governare bene”. Che cosa distingue un buon amministratore socialista da un buon amministratore conservatore? Oggi tutti fanno a gara a dimostrarsi pragmatici, sono tutti eminenti esponenti del “partito unico del buonsenso”: ma in questa maniera si possono ottenere solo cose mediocri. Invece l’innovazione, le grandi conquiste, sono trainate da chi ha visione, da chi sa dare significato alla realtà e coinvolgere gli altri in un percorso collettivo: le grandi rivoluzioni sono da sempre e per sempre trainate da chi ha grandi ideali, da chi è convinto di poter creare una colonia su Marte, da chi vuole accorciare le distanze nel mondo, da chi come noi crede in un grande percorso di emancipazione collettiva, nella libertà e nella giustizia sociale.

2) Questo grande percorso di emancipazione, e lo abbiamo imparato in più di un secolo di storia, può essere portato avanti solo col riformismo: ma il riformismo o è rivoluzionario o non è. “Riformismo” non può essere sinonimo di “moderatismo” – e con questo non voglio dare una lezione sui termini, voglio solo segnalare che le grandi vittorie del lavoro, della libertà e della democrazia che sono state ottenute con un metodo riformista, ma sono tutte state grandi rivoluzioni. Dall’educazione pubblica, all’abolizione della mezzadria, fino allo statuto dei lavoratori – per fare gli esempi più classici: queste conquiste erano il frutto di lotte che partivano da lontano e che in origine erano addirittura considerate eversive. Il padre del socialismo municipale, Andrea Costa, si è fatto la galera… e questo lo ricordo ai sostenitori del decreto Severino.

3) Infine, se vogliamo continuare su questo percorso, con più forza e determinazione di prima, dobbiamo aver ben chiaro che il compito del nostro movimento nell’epoca in cui viviamo è occuparsi di due grandi questioni di fondamentale importanza. La prima è quella del lavoro, la seconda quella della Democrazia.

Sul lavoro ci sono tre grandi temi attorno ai quali deve ruotare il nostro impegno politico. Il primo è quello dei salari: non voglio entrare nel merito delle grandi disquisizioni economiche – se dovremmo occuparci prima della produttività, o su quali sarebbero gli effetti di un salario minimo, o se dovremmo forse domandarci se la retribuzione oraria sia ormai diventata un vecchio arnese mentre dovremmo cercarne di nuovi; io voglio in questa sede sottolineare con forza quella che è prima di tutto una grande questione di dignità umana. Perché chiunque abbia un minimo di polso della situazione del nostro paese si accorge che i salari per buona parte sono veramente da fame, e la categoria dei giovani – sui cui pesa anche la maledizione della precarietà – è quella più colpita. Stiamo tornando al punto che tantissime categorie di lavoratori non possono più permettersi di comprare quello che producono – quando questo aspetto era il grande beneficio di un sistema capitalistico moderno e che in Italia, questo lo si ricorda poco, è stato anche frutto del lavoro del primo centrosinistra.

Il secondo tema è quello del tempo libero. In Italia tantissime persone vengono letteralmente consumate sui luoghi di lavoro: perché lavorano troppo – eppure abbiamo il grande problema della disoccupazione – e la vecchia grande conquista delle “8 ore di lavoro, 8 ore di riposo e 8 ore libere” è una cosa che ormai per troppi lavoratori rimane solo sulla carta. Anche questo tema è legato a quello dei salari, perché il dramma è che molti si sfiniscono di straordinari, o di secondi lavori, pur di portare a casa uno stipendio dignitoso. E una vita intera passata a lavorare, dove l’unico tempo libero è quello che si sottrae al sonno e quindi alla salute, è una vita misera ed è una vita da schiavi. Anche questo dramma non ci deve sfuggire: il tempo libero è libertà, salute, qualità della vita, genera ricchezza e genera cultura. La grande opera di emancipazione delle masse nel secolo scorso, con il fiorire delle associazioni di cultura e sport, e con un grado di partecipazione alla vita pubblica senza precedenti, non sarebbe stato possibile senza le otto ore di lavoro e le otto ore di tempo libero. E badate, che questo imbarbarimento dei tempi di vita e di lavoro incide anche sul famoso astensionismo che tutti si prefiggono di combattere.

Il terzo e ultimo tema è proprio quello della partecipazione. È strettamente legato a quello della Democrazia, che oggi in Italia si presenta malata e stanca. Il parlamento è ridotto a semplice feticcio, e serve solo per convalidare decisioni che ormai sono sempre prese altrove. E le riforme degli ultimi decenni non hanno aiutato: l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ha agevolato i più ricchi, perché solo loro oggi possono permettersi di fare politica, mentre il taglio dei parlamentari ha ridotto gli spazi di rappresentanza e penalizzato ancora una volta i giovani che – lo vedremo con l’età media del prossimo parlamento – saranno ancora di più una minoranza inascoltata in politica. E la Costituzione stessa è continuamente forzata, basti pensare all’abuso della decretazione d’urgenza.

Su questo noi giovani socialisti abbiamo aperto una discussione, che ha visto la partecipazione delle più rappresentative realtà giovanili in Italia, e che ci ha portato a pensare ad una proposta netta e di cui – crediamo – ci sia ormai un’assoluta necessità: c’è bisogno di una Costituente. C’è bisogno di una Costituente per far tornare il gioco democratico entro regole precise, rispettate e che garantiscano tutti, e c’è bisogno di una Costituente per chiarire i poteri dello stato e riequilibrarli. Che la Costituente si intenda come vera e propria Assemblea Costituente oppure come mera “legislatura costituente”, il tema è che non si deve prescindere da una grande stagione di dibattito pubblico su riforme costituzionali a tutto campo, che non devono essere calate dall’alto da pochi partiti elitari, ma devono essere il risultato di una discussione quanto più ampia e partecipata. Abbiamo visto la frustrazione di milioni di persone che sono andate a firmare per i referendum respinti dalla Corte Costituzionale, ma da quella partecipazione bisogna ripartire: è quella voglia dei cittadini a partecipare alle decisioni della cosa pubblica che può curare i mali della nostra democrazia.

Concludo. I socialisti non sono stati subito i paladini della democrazia. Ci sono stati molti equivoci, più di un secolo fa, su illusorie rivoluzioni e dittature del proletariato. Ma da quando il movimento socialista mondiale ha abbracciato i principi liberali e la democrazia, come primo e imprescindibile strumento per raggiungere la giustizia sociale, è stato finalmente chiaro che il nostro compito storico doveva essere quello di allargare il cerchio del potere alla partecipazione delle masse. Il socialismo municipale, il suffragio universale, e lo stato sociale che ne è seguito dimostra quanto sia stato di successo questo percorso. Ma a mio parere la nostra rivoluzione sarebbe monca se questa grande opera di emancipazione, nella partecipazione, non tenesse conto anche di quanto molto ci sarebbe da fare nella sfera economica – e non solo in quella istituzionale.

La maggior parte delle aziende oggi non sono più quei monoliti padronali con cui si interfacciavano i nostri bisnonni. Principi democratici ed etici, hanno col tempo levigato gli impianti giuridici e organizzativi delle imprese. Il segno di una grande ovvietà, e cioè che il sistema economico non è impermeabile a quello che succede nel sistema istituzionale. Parlare di cogestione, di partecipazione agli utili, di regole più efficaci di rappresentanza sindacale, di supportare quelle parti del movimento cooperativo vive e mature, parlare di beni comuni: significa volere un sistema economico più evoluto e più plurale. Affinché un’altra grande rivoluzione del nostro secolo – per tornare al tema dell’incontro di oggi – sia anche quella della democrazia economica!

Grazie e viva il socialismo!
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