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Lavoro povero e vacanze estive

22/8/2023

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Cosimo Gagliani

Giovane Avanti! Milano


“Si potrebbe andare tutti quanti allo stabilimento balneare,
per vedere come si sta sulla sdraia sotto gli ombrelloni,
e sentir gridare in spiaggia: “cocco bello e gelati!”,
e capire stare in ferie che effetto che fa.

Vengo anch’io? (No, tu no!)
E vengo anch’io? (No, tu no!)
Ma perché? (PERCHÉ SEI UN LAVORATORE POVERO!)”


Estate, tempo di tormentoni musicali. Probabilmente questo del 1957, se il trio Jannacci, Fo e Fiorentini lo avesse scritto nei giorni nostri, l’avrebbe composto e riattualizzato come sopra.

Secondo un’indagine del Sindacato Europeo (CES), 38 milioni di lavoratori europei (circa il 20% del totale della forza lavoratrice) quest’anno non possono permettersi di pagare una vacanza estiva.
Il dato peggiore è quello italiano. Nel “Bel Paese”, rinomata meta per vacanzieri di tutto il mondo, è circa il 31% dei lavoratori italiani a non potersi permettere una vacanza.
Per inquadrare meglio la gravità della situazione, lo stesso dato registrato in Francia e in Germania si aggira intorno al 13%; meno della metà!
 
In Italia, quindi, un lavoratore su tre rimarrà a casa durante la stagione vacanziera.

Questa situazione non è altro che l’altra faccia della medaglia di un altro atavico problema, quello del “lavoro povero”.

I dati ISTAT del maggio 2023, ai quali si è prontamente aggrappato il governo Meloni, raccontano di una crescita occupazionale, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, dell’1,7% mentre su base mensile (sempre in riferimento al maggio 2023) la disoccupazione è scesa del 7,6%.
Sembrerebbero numeri incoraggianti se non fosse che questi sono decontestualizzati e non tengono conto invece di altri dati (purtroppo) in controtendenza e che ribaltano la narrazione edenica del Governo e ci fanno toccare con mano una realtà ben diversa. 

Secondo i dati dell’Osservatorio sul Precariato INPS, nel primo quadrimestre del 2023, su 100 nuovi rapporti di lavoro attivati ben 77 sono temporanei o precari.
Rispetto al quadrimestre precedente, i contratti stabili scendono dal 20,2% al 19,5% del totale.
Il quadro peggiora se consideriamo anche i dati ISTAT in riferimento al giugno 2023 per quanto riguarda il potere d’acquisto: nel primo mese d’estate si è registrato un aumento dei prezzi del carrello della spesa del 10,3% rispetto allo scorso anno.

Dunque, per quanto si osservi un lieve aumento occupazione, quello del lavoro povero è un problema tutt’altro che risolto e i suoi effetti ricadono sempre sul ventre molle della nostra società, vale a dire donne e mamme lavoratrici, giovani, lavoratori dipendenti e pensionati.

Quindi, quando parliamo di persone che quest’anno non potranno permettersi di godere del piacere del solleone sulle coste o sulle montagne dell’italico stivale, non parliamo di persone che versano in povertà assoluta.
Parliamo di persone che hanno, sì, un posto di lavoro ma hanno salari non adeguati ad un costo della vita in continuo aumento.

Se poi consideriamo anche i poveri assoluti che permangono in stato di inoccupazione, raccogliamo una realtà drammatica che è cartina tornasole di precarietà e una questione salariale, due situazioni di sofferenza che negli ultimi tre decenni non sono mai state seriamente affrontare dalla politica. Politica che, quelle poche volte che superficialmente ha messo mano alla questione, ha solo risposto con misure palliative e mai con misure efficaci e strutturali.

Un lavoro regolare, stabile, sicuro e ben retribuito è un diritto naturale ma deve essere anche un diritto oggettivo; fare in modo che questo non diventi l’ennesimo diritto negato deve diventare la priorità del decisore politico.

Per perseguire questo obiettivo non è più accettabile, per questo e per i governi che verranno, sciorinare quattro dati ISTAT incompleti e decontestualizzati. È arrivato il momento di passare ai fatti e dare risposte alle sofferenze che tanta gente vive difronte al carrello della spesa sempre più vuoto e alla tavola sempre più misera.

Intanto il dibattito parlamentare sul salario minimo è costantemente rimandato, è stato abrogato il Reddito di Cittadinanza senza che fosse indicata una valida alternativa, il Decreto Lavoro ha stabilito modifiche ai contratti determinati con l’estensione anche ai rinnovi della acausalità già prevista per il primo contratto e le sue proroghe.

Non è così che si cura il malato; non è così che si ridà speranza e stabilità alla classe lavoratrice.

Proprio su questi temi i sindacati hanno promesso battaglia, soprattutto CGIL e UIL che aspettano di esaminare il NADEF (nota di aggiornamento al Documento Economia e Finanza) e nei prossimi mesi decideranno il da farsi rispetto alle risposte del Governo, valutando se proseguire con la mobilitazione unitaria o con azioni più incisive, rivendicando non solo più occupazione ma anche un’occupazione più di qualità.
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