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Giulia Cavallari- Giovane Avanti! Bologna La campagna elettorale americana è ormai entrata nel vivo e ancora una volta i due maggiori candidati sono Trump e Biden e si sfideranno in queste primarie e quasi certamente alle presidenziali.
Dalle ultime elezioni presidenziali americane è cambiato in maniera profonda l’assetto geopolitico del mondo intero e in particolare quello dell’Europa dell’Est e del Medio Oriente. Negli ultimi due anni abbiamo assistito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e di cui ‘ricorrono’ i due anni, abbiamo visto acuirsi lo scontro tra USA e Cina e si pensava che l’asse di quella che fu la Guerra Fredda si sarebbe spostato verso la Cina, ma nel momento dell’invasione da parte della Russia i fronti sono diventati due: uno USA-Russia, ma anche USA-Cina perché la Cina non ha mai condannato espressamente l’invasione dell’Ucraina e da alcuni anni è in atto uno ‘scontro a distanza’ anche a colpi di diplomazia tra queste due potenze. Ma i temi che i candidati presidenti e poi il presidente eletto dovranno affrontare non riguardano solo la politica interna americana, ma i diversi fronti infiammati dall’Ucraina (e quindi la Russia) al Medio Oriente al terribile conflitto israelo-palestinese. Le primarie con cui il partito repubblicano sta scegliendo il candidato alle elezioni del prossimo novembre sono ormai entrate nel vivo. Il 5 marzo 15 dei 50 Stati americani andranno al voto ed è in questa occasione che si deciderà chi si sfiderà per le presidenziali di novembre. Già diverse volte, durante i comizi, Biden ha attaccato Putin, mentre Trump si è addirittura ‘paragonato’ a Navalny (morto pochi giorni fa in una sperduta colonia penale oltre il circolo polare artico). Anche questa volta sulle elezioni presidenziali americane aleggia l’ombra della Russia e ancora una volta l’attenzione sarà catalizzata sulla minaccia che essa può rappresentare. Inoltre, il rischio di un Trump 2 mette in agitazione l’Europa e le sue istituzioni proprio alla luce delle parole che Trump stesso ha pronunciato contro la NATO e di fatto contro gli Stati europei quando ha affermato che “avrebbe incoraggiato la Russia ad invadere gli alleati NATO” che non avessero raggiunto i 2% del PIL di spesa di ogni Stato membro UE (il 2% del PIL per la difesa è stato fissato dall’Alleanza). Chiaramente queste parole di gravità inaudita hanno avuto eco profondo in tutto il vecchio continente mettendo in allarme le cancellerie europee per il peso che quelle parole potrebbero avere soprattutto in un periodo in cui compito dell’Unione Europea è quello di supportare con pacchetti di aiuti militari l’Ucraina che da due anni è costretta a difendersi a causa dell’invasione russa. Ancora una volta la campagna elettorale sarà costellata di propaganda e di fake news (terreno fertile per Trump) ma che altereranno ancora di più un dibattito elettorale già fortemente inasprito da un Trump vendicativo (e anche sotto inchiesta). Qualora Trump dovesse vincere le elezioni, il mondo avrà di fronte un Presidente americano ancora più estremista del primo Trump già ampiamente conosciuto, ma soprattutto- viste anche le dichiarazioni che aveva fatto- di voler raggiungere un ‘accordo di pace’ con la Russia di Putin per porre fine alla guerra scavallando però, nei fatti, l’Unione Europea e l’Ucraina stessa. Chiaramente anche in Europa c’è chi sostiene Trump, ma è una netta minoranza rispetto alle idee prevalenti nella maggioranza delle forze politiche degli Stati membri UE con la piena consapevolezza che un suo ritorno alla Casa Bianca potrebbe rappresentare per l’Europa un grande problema politico (e non solo). Le preoccupazioni dell’Europa e in particolare dell’Ucraina sono legate alle idee trumpiane, ma questa situazione è più preoccupante per Kiev perché Trump potrebbe ritirare il sostegno americano all’Ucraina con il rischio di farla cadere nelle mani della Russia. L’ex presidente francese, Hollande, ha dichiarato a Politico che “L’Europa deve essere pronta ad affrontare qualsiasi situazione legata ai risultati delle elezioni americane”. Trump, nonostante le inchieste in corso, prosegue la sua corsa vincendo le primarie anche nel South Carolina contro la sua sfidante Nikki Haley e in questo modo sta cercando di rafforzare la sua base elettorale. Ma è sempre il solito Trump, quello dell’estremismo, delle offese, delle prese in giro. Alla Conservative Political Action Conference (CPAC, la più grande manifestazione dei repubblicani che si tiene ogni anno negli USA) Trump ha iniziato il suo discorso insultando Biden affermando “Il corrotto Biden ha abolito il confine, decimato la classe media, aperto le porte a caos e violenza. Ma vi avverto: se vince nel 2024 il peggio deve ancora venire. Il nostro Paese sta crollando a livelli inimmaginabili. […]. Il presidente più incompetente nella storia degli Stati Uniti, che ci sta portando ad essere sconfitti nella Terza guerra mondiale”. Sono alcune delle ‘fiammanti’ parole pronunciate dal palco della CPAC e che danno il senso della (non) misura di Trump che è considerato, nei sondaggi, in netto vantaggio. Inizialmente il suo sfidante doveva essere Ron De Santis poi ritiratosi dalle primarie prima del voto nel New Hampshire e dopo il risultato deludente delle primarie in Iowa. Il ritiro di De Santis ha, di fatto, lasciato sola la Haley, la quale ha più volte ribadito, che nonostante il secondo posto, non intende ritirarsi dalla competizione elettorale perché in questo momento rappresenta una alternativa a Trump, ma proprio nel “suo” New Hampshire ha subito una pesante sconfitta. Tuttavia la Haley viene considerata una moderata, ma lo è rispetto a Trump pur essendo una conservatrice repubblicana. Il ritorno del Tycoon sembra ormai possibile nonostante i processi in corso. La politica trumpiana incarca il repubblicano medio, incarna quella parte di elettorato dell’America profonda, di quelle folle ‘ultrà’ che avevano assaltato il Campidoglio il giorno del giuramento di Biden. È quell’America lontana dalle grande metropoli, dal sogno americano. Questa parte di America consentì a Trump di vincere nelle precedenti presidenziali. Anche questa volta saranno determinanti? Molto probabilmente si, è la la sua base. Il prossimo Presidente USA dovrà anche affrontare il delicato dossier sulla Cina e su Taiwan. Sul fronte politica estera gli attriti tra Cina e Usa sono sempre evidenti, come se fosse una nuova guerra fredda. La Cina è contro Taiwan, gli USA sono pro Taiwan. Basta questa contrapposizione a far irrigidire i rapporti tra questi due colossi. È proprio Taiwan ad essere l’ago di una bilancia che potrebbe sbilanciarsi da un momento all’altro e che un suo sbilanciamento potrebbe rappresentare un punto di non ritorno sul piano dei rapporti di politica estera e proprio per questo motivo l’argomento “Taiwan” è al centro di ogni incontro tra Biden e Xi Jinping anche perché non è così remota l’ipotesi di un conflitto, ma chiaramente stiamo parlando dello scenario estremo che è anche quello più grave, ma anche notevolmente costoso per entrambe le potenze. Nel novembre 2023 Biden e Xi Jinping si sono incontrati a San Francisco. Un vertice per evitare che le due potenze arrivassero ad uno scontro. Ma anche il Segretario di Stato Blinken e il ministro degli esteri cinese Wang Yi si sono incontrati durante la Conferenza di Monaco sulla sicurezza a dimostrazione di come tra i due Paesi vi siano dei segnali di dialogo anche su temi che rappresentano il ‘cuore’ dello scontro tra due potenze. Gli USA sono divisi tra chi punta al raggiungimento di un accordo o di un compromesso e chi invece propenderebbe per un attacco preventivo per mostrare ‘la forza ‘ americana. Il 2023 è stato l’anno in cui le due potenze sono arrivate ad un vero e proprio inasprimento dei rapporti sul fronte della politica estera con reciproci scambi di accusa fino a far presagire una rottura e quindi possibili ostilità. Oggi sono queste due potenze a contendersi un primati a livello economico, ma soprattutto a livello tecnologico anche perché la Cina, nell’ultimo anno, ha subito- a livello economico-una battuta d’arresto con un rallentamento del PIL. Due potenze che rischiano uno scontro armato, ma soprattutto gli USA che mai lasceranno che la Cina raggiunga il loro livello e che quindi si posizioni sullo stesso piano dell’America. Se non sarà (come si spera) uno scontro armato potrebbe essere uno scontro cyber-tecnologico perché Pechino e Washington hanno posizioni contrastanti anche sul piano tecnologico con gli USA che adottano una linea offensiva e la Cina una linea difensiva. Si parla di sanzioni commerciali, di guerra dei microchip e Taiwan rientra ‘a pieno titolo’ in questo scontro perché come scrive Paolo Pagliara, “In Italia pochi comprendono l’importanza che Taiwan riveste nello scontro tra Stati Uniti e Cina per la leadership del XXI secolo. Eppure quest’isola poco più grande della Sicilia, di appena ventitré milioni di abitanti, che produce i microchip più avanzati del mondo ed è circondata da acque dove transitano migliaia di miliardi di dollari di merci all’anno, suo malgrado potrebbe innescare la scintilla della Terza guerra mondiale: la tempesta perfetta ha qui il suo occhio del ciclone” (La tempesta perfetta). Il prossimo presidente americano avrà l’arduo compito e onere di evitare un acuirsi di una tensione che potrebbe sfociare in uno scontro armato, ma nel contempo gli USA stanno potenziando il sostegno a Taiwan. Il candidato alla presidenza degli USA che risulterà vincitore dovrà evitare che anche nell’area dell’Indo-Pacifico scoppi un conflitto armato e cercare di evitare questo esito, ma quel che sarà certo è che la competizione tra due potenze continuerà, ma in un ‘teatro’ in cui bisognerà affrontare altri teatri di guerra che stanno causando- se si pensa al Medioriente- una instabilità ancora maggiore di quella che hanno causato i due lunghi e devastanti anni di guerra tra Ucraina e Russia.
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