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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna Le proteste in Iran proseguono nonostante la brutale repressione del regime. Sono una “rivolta continua” contro un regime che reprime nel sangue il dissenso di un popolo in particolar modo attraverso i paramilitari (come i Basij) che opprimono con la violenza chi manifesta o anche chi si trova negli stessi luoghi in cui avvengono le manifestazioni. Una protesta ormai trasversale alla quale stanno prendendo parte cittadini molto giovani (età media 20 anni) figli di quella generazione che ha vissuto- negli ultimi 43 anni- il potere e il “governo” degli Ayatollah. Nel 2022, da quando sono iniziate le proteste e le manifestazioni i numeri della repressione messa in atto dal regime iraniano sono sempre più pesanti e crescono di giorno in giorno. Almeno 440 persone uccise, almeno 18.000 persone arrestate, 63 giornalisti detenuti nelle carceri iraniane. Almeno 23 minorenni sono uccisi dalle forze di sicurezza e numerosi ne sono feriti. Cittadini iraniani condannati a morte per aver preso parte alle manifestazioni e proteste di piazza. Le proteste contro la morte di Mahsa Amini sono proteste contro il regime che oggi rappresentano una “crisi di legittimità per l’establishment clericale che ha perso il potere dopo la rivoluzione del 1979 e la caduta dello scià Mohammad Reza Pahlavi” come scrive Gabriella Colarusso.
Sicuramente queste proteste sono state considerate anche una sorta di rivoluzione delle donne che ha alle spalle la solidarietà di altri stati (tra cui quelli occidentali). Le forze armate della Repubblica islamica dell’Iran continuano ad aprire il fuoco contro i manifestanti, contro gli studenti, continuano a ricorrere ad ogni mezzo per stroncare e bloccare sul nascere queste proteste e cercare di mantenere il potere. Già nel 2019 in Iran vi erano state una serie di proteste e manifestazioni che hanno riguardato diverse città. Proteste che allora erano scoppiate per l’aumento dei prezzi del carburante. Inizialmente queste proteste erano pacifiche, ma ben presto si trasformarono in vere e proprie rivolte contro il governo iraniano che reagì bloccando internet nel Paese, ma anche sparando sui manifestanti. Proprio nell’anniversario del “novembre di sangue” attivisti, studenti, cittadini iraniani sono tornati nelle piazze delle città iraniane che stanno vivendo una crisi sotto il profilo economico, dal punto di vista della politica interna. Da più di due mesi l’Iran è attraversato da forti proteste, un vento di rivoluzione che sta soffiando e che vede le ragazze, le donne e, soprattutto, i giovani essere protagonisti di questi eventi. La realtà iraniana è caratterizzata da forti divisioni di genere, ma anche divisioni etniche. Le università, quelli che sono i luoghi della cultura, sono al centro delle proteste contro il governo. Un movimento spontaneo iniziato con la morte di Mahsa Amini (22 anni) uccisa perché non indossava correttamente l’hijab. Era il 13 settembre quando fu arrestata, tre giorni dopo morì. La notizia della morte diede il via a queste proteste, come se fosse l’innesco di una miccia. Per le donne è obbligatorio indossare l’hijab e le regole sono state rese ancora più stringenti dal presidente ultra-conservatore Raisi. È dal 1979, dalla nascita della Repubblica Islamica, che è stato reso fortemente stringente l’obbligo di indossare il velo e quindi l’uso del velo, ma anche le regole in merito all’abbigliamento da indossare sono entrati a far parte della società iraniana, ma si trattata di una forma di controllo che il regime aveva (e ha) sulla popolazione. La morte di Mahsa Amini ha rappresentato l’esplosione di una forma di intolleranza da parte della popolazione, soprattutto femminile, che è scesa “in piazza protestando, bruciando le loro sciarpe e tagliando i loro capelli, un’azione che ha generato la solidarietà di milioni di persone a prescindere da età, sesso, etnia o religione” (Shirin Zakeri). All’inizio i manifestanti chiedevano che i responsabili della morte di Mahsa Amini venissero puniti, ma ben presto queste proteste sono diventati dei veri e propri moti di dissenso contro l’obbligo di indossare il velo, contro la restrizione dei diritti civili e delle libertà personali da parte delle autorità iraniane. Ma soprattutto, proprio all’inizio delle proteste, le prime manifestazioni avevano visto come protagoniste indiscusse proprio le donne (anche minorenni, studentesse). Nelle università sono stati gli studenti ad abbattere le barriere che separano i maschi dalle donne. Gli slogan usati durante le proteste mostrano i segni della sfiducia di una parte consistente della popolazione- soprattutto quella più giovane- contro le autorità e la Guida Suprema Ali Khamenei. La protesta ha riaperto una grande frattura tra l’ayatollah Khamenei (83 anni) e la popolazione che prende parte alle proteste che è composta principalmente da giovani dove l’età media è di 30 anni. Chi prende parte alle proteste ha come ‘desiderio’ la caduta dell’attuale regime e la volontà di un cambio della struttura politica del Paese. Le proteste legate all’obbligo di indossare il velo sono solo la parte, potremmo dire, visibile di una rivolta contro il regime teocratico. È questa generazione di giovani iraniani a scendere in piazza, “È la nuova generazione che ha sostenuto la continuità delle proteste. Proprio la generazione su cui sono stati investiti tanti fondi pubblici per avvicinarli ai principi della Rivoluzione islamica; il che, a fronte delle proteste di queste settimane, mostra il fallimento dello stesso sistema educativo-ideologico iraniano” scrive Shirin Zakeri. Un ruolo centrale nella diffusione delle proteste lo hanno avuto i video che circolano online e che mostrano le rivolte, le azioni violente della polizia, immagini di donne che si tolgono l’hijab e lo bruciano, immagini di donne che si tagliano le ciocche di capelli. Il velo e le ciocche di capelli tagliate sono diventati il simbolo di queste nuove proteste in un mondo ultra conservatore che- da più di quarant’anni- ha strumentalizzato “in nome della religione” l’uso del velo e oggi proprio il velo e il gesto rivoluzionario di togliersi il velo è diventata “l’arma” contro questo regime ultra conservatore. Almeno la metà della popolazione iraniana è composta da donne, giovani e consapevoli di quelli che sono (o perlomeno dovrebbero essere) i loro diritti, ma sono donne fortemente consapevoli della loro limitata libertà in un contesto fortemente conservatore. Internet- come in tante altre proteste- ha avuto un ruolo centrale e fondamentale che ha permesso la diffusione di questi movimenti di protesta. Infatti dopo lo scoppio delle proteste le autorità iraniane hanno bloccato l’accesso ad internet anche se in parte in maniera discontinua. E quindi, per via della censura, i canali di diffusione e di risonanza per queste proteste erano diventati Telegram, Whatsapp, Instagram. Ma anche queste piattaforme e app di messaggistica sono state bloccate. Invece gli altri social come Facebook o Twitter erano già vietati. Una forma di repressione della libertà di informazione in violazione dei diritti sanciti dal Trattato ONU sui diritti politici e civili di cui l’Iran è stato uno dei firmatari. Anche molti personaggi famosi e del mondo della cultura e dello spettacolo in Iran sono schierati dalla parte delle proteste contro la teocrazia che governa il Paese. Proteste così forti al punto che sono state scagliate bombe molotov contro la casa natale dell’ayatollah Khomeini, il fondatore della Repubblica Islamica che era diventata un museo. Un gesto fortemente simbolico Tra le migliaia di iraniani arrestati c’è anche l’attivista Farideh Moradkhani, nipote della Guida Suprema dell’Iran Khamenei, che ha sostenuto le proteste. Le proteste in Iran sono forti, ma il quadro non è ancora completamente chiaro perché la loro evoluzione e la loro dinamica è in continuo cambiamento. Sono forme di dissenso che non può ancora essere pienamente circoscritta ad un vero e proprio movimento, ma sta creando non pochi problemi ai vertici politici della Repubblica Islamica dell’Iran. E infatti questa assenza di ‘leadership’ nelle proteste porta i riformisti a mostrate delle ‘paure’ soprattutto tra coloro che formano la classe media del Paese, ma – al momento- non vi è una figura che possa guidare questa rivolta perché l’opposizione è stata “polverizzata” (come evidenzia l’ISPI). Sono mobilitazioni dal basso, mobilitazioni di cittadine e cittadini iraniani, ma sono proteste che hanno le loro radici in una crisi interna all’Iran e risalente nel tempo.
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