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L'Europa di domani

24/5/2023

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Riccardo Imperiosi

Direttore Giovane Avanti!


​Nel mese di maggio, esattamente il 9, ricorre la Giornata dell’Europa. E’ stata scelta quella data odierna per la ricorrenza - quest’anno la 73esima - della Dichiarazione Schuman, dalla quale partì di fatto il processo di integrazione europea.

Per questo quel giorno, insieme agli altri membri della Commissione Affari europei e cooperazione del Consiglio Nazionale Giovani, ho partecipato all’evento organizzato dal Parlamento Europeo in Italia e proprio dal CNG all’Esperienza Europa - David Sassoli in Piazza Venezia a Roma.

Un momento di incontro e dialogo sullo stato attuale dell’Europa e sul proprio futuro, a partire proprio dalla Conferenza sul futuro dell'Europa (quanto era visionario Sassoli), dalla quale è emersa una grande necessità di ripensare il concetto stesso di integrazione europea, affinché quest’ultima non risulti anacronistica, figlia di idee, contesti ed equilibri di un’altra epoca.
​Non solo, è emersa anche l’insoddisfazione per quella che è l’Europa attuale, troppo burocratizzata - è stato sollevato più volte anche il problema dell’unanimità, del diritto di veto e di un’eventuale introduzione della maggioranza qualificata - e spesso inefficace dinanzi alle sfide che il difficile presente ci pone, con crisi economiche che non sembrano vedere una fine, guerre sanguinose e una generale disgregazione dei vari tessuti sociali.

Serve maggiore partecipazione e responsabilità degli Stati membri, serve una maggiore diffusione delle opportunità che l’Europa mette in campo, serve una riforma istituzionale della stessa affinché le iniziative legislative non si perdano tra i gangli delle più che ramificate istituzioni europee. 

Occorre dare le gambe a quell’Europa che al momento parrebbe azzoppata, ma che nei fatti può davvero essere quell’attore politico fondamentale negli equilibri tra le varie polarizzazioni geopolitiche che, complice anche il conflitto in Ucraina, stanno prepotentemente tornando in auge dopo decenni di relativa calma, quantomeno dal punto di vista commerciale.

Per questo motivo l’Europa non può e non deve esser soltanto un’unione economico-finanziaria, nonostante l’esempio virtuoso che diamo al mondo sotto l’aspetto del mercato unico e della libera circolazione di merci e servizi (il che garantisce anche quella mobilità interna all’UE sognata in altre parti del mondo). L’Europa deve necessariamente attivarsi dal punto di vista fiscale, con leggi che permettano sia la tutela dei Paesi più industrializzati e delle proprie aziende, che lo sviluppo dei Paesi attualmente in espansione economica, senza che i primi siano costretti a cedere la produzione delle proprie attività ai secondi - di fatto le famose delocalizzazioni che stanno in parte uccidendo intere filiere produttive nel nostro Paese.

Ma non solo: serve una vera unione dal punto di vista militare, smettendo di appoggiarsi solo ed esclusivamente alla NATO e restando per questo in una posizione di inferiorità rispetto agli Stati Uniti. Mi spiego, non che la NATO non serva o che la presenza dell’Europa in quest’ultima sia un male, dico che l’unione delle forze interne ai 27 Paesi metterebbe l’Unione Europea stessa in una posizione differente anche nella stessa NATO, risultando se non parimenti poco ci manca rispetto agli USA.

Serve un’unione nei diritti, perché un vero progetto federalista parte sì con il rispetto delle peculiarità e dell’identità di ogni singolo Stato membro, ma lo fa tenendo bene a mente che l’identità collettiva - e perciò le tradizioni, i costumi, le usanze, la storia - non deve essere in alcun modo confusa con quella personale: l’unico modo per ingabbiarla dentro a degli schemi precostruiti è la coercizione, intellettuale o fattiva essa sia. Per fare un esempio concreto, l’Italia non è etero e cristiana, lo sono i cittadini italiani in qualche caso, in altri no. Ingabbiare tutta la popolazione italiana dentro una categoria precostruita è quantomeno una coercizione intellettuale, dire che l’identità italiana è tale è una forma di coercizione intellettuale. Sperando che questa si fermi alla forma intellettuale.
Per questo motivo serve difendere il diritto madre di tutti gli altri, quello alla base del concetto stesso di diritto individuale: il diritto all’autodeterminazione personale, che sembrerebbe talvolta essere più tutelato a livello collettivo (nel’autodeterminazione dei popoli) che, appunto, personale. Se venisse davvero tutelato questo, ogni discussione sulla religione, l’orientamento sessuale, la lingua e via discorrendo, sarebbe inutile. 

Serve, infine, un vero progetto di integrazione. Europea e non. Perché parrebbe una forzatura, una visione parziale - o persino intellettualmente disonesta - il considerare come “buona” l’integrazione europea e come “cattiva” quella extra-europea. So che sembra un’ovvietà, ma nei fatti non è assolutamente così e lo vediamo quando parliamo di governare il fenomeno migratorio, cosa possibile solo ed esclusivamente - vista la portata attualmente immane del fenomeno in questione - attraverso la cooperazione tra Stati membri e la concertazione con gli attori sociali sui territori.

Serve quindi un’Europa federata, un’Europa che non lasci indietro nessuno - ma non solo negli slogan -, meno burocratizzata e più efficiente. Serve un’Europa a portata di mano dei cittadini, nella quale loro stessi siano i primi a riconoscersi come tali. Serve, come vado dicendo da tempo, recuperare quella visione benjaminiana (di Walter Benjamin, filosofo tedesco del XX secolo) che, per identificare la concezione di modernità, trova nella sua peculiarità l’incrocio tra storia e innovazione, tra l’”archivio storico” e gli elementi che caratterizzeranno il prossimo futuro. Serve recuperare i valori alla base di quel discorso di 73 anni fa pronunciato da Robert Schuman, il sentimento unitario di Spinelli e tanti tanti altri. Serve farlo, ma per non rendere anacronistica l’Europa è inevitabile innovare determinate posizioni e contesti che, colpevolmente, sembrano essere fermi a decenni fa.
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