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Lezione di dignità

1/3/2023

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Katia Pellegrino, impiegata della Emmecitecnica di Leinì (TO) e Rappresentante Sindacale Aziendale della UILM demansionata e licenziata dopo la maternità ed in seguito reintegrata, si racconta:
“Spero che la mia storia sia d’esempio per tante donne e mamme”

Cosimo Gagliani

Giovane Avanti! Milano

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​È notizia di questi giorni il ritiro del licenziamento di Katia Pellegrino, l’impiegata della Emmecitecnica di Leinì (TO) che era stata prima demansionata e poi licenziata al rientro dalla seconda maternità.
Il provvedimento era stato giustificato con l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia che aveva richiesto un “taglio” sulle risorse.
La notizia ha fatto sin da subito il giro delle maggiori testate giornalistiche grazie alla risonanza mediatica data dalle proteste sostenute dalla UILM, sindacato per il quale Katia è anche rappresentante sindacale aziendale.
​
Di fronte al crescente interesse mediatico che ha tirato in causa anche tante donne della politica del calibro di Elly Schlein (neo Segretaria del PD), Chiara Caucino (assessore alle pari opportunità della giunta regionale piemontese in quota alla Lega) ed Elisabetta Piccolotti (deputata di Sinistra Italiana) che si sono schierate al fianco di Katia, l’azienda ha dovuto arrendersi e chiedere un confronto con il sindacato che, a seguito di una trattativa, è riuscito a conquistare il ritiro del licenziamento e il conseguente reintegro della lavoratrice.

Anche noi, redazione di Giovane Avanti!, ci siamo schierati con Katia e dopo averla contattata privatamente e a titolo personale per farle sapere il nostro supporto, abbiamo chiesto di intervistarla per contribuire anche noi nel far conoscere la storia di questa donna e mamma che ha scelto di lottare per far valere i propri diritti.
Ciao Katia, come stai? Abbiamo felicemente appreso del tuo reintegro in azienda. Ti sento abbastanza tranquilla. Possiamo dire che il peggio è passato?

“Ciao! Sì dai, possiamo dirlo, anche se io solitamente sono sempre così tranquilla. C’è stato quell’attimo in cui mi è stato notificato il licenziamento che mi ha momentaneamente turbato, ma poi mi sono ripresa. Anche perché non avrei potuto reagire diversamente. Quando hai dei figli piccoli, non puoi farti vedere troppo abbattuta nell’animo.”

Abbiamo letto tutti sui giornali e sul blog della UIL, Terzo Millennio, la tua storia. Il tuo licenziamento è scaturito anche dal fatto che tu sei una rappresentante sindacale nell’azienda in cui lavori. Quindi deduco che la lettera di licenziamento sia stata l’estrema conseguenza di precedenti situazioni che ti hanno portata, per necessità, a difendere i tuoi diritti di lavoratrice in questo ruolo. Come hai iniziato i tuoi primi passi nel mondo del sindacato UILM?

“Prima che io e una mia ex-collega decidessimo di diventare rappresentanti sindacali, in azienda i sindacati non c’erano mai stati. Fino a quel momento io non conoscevo questo mondo. Non avevo nessuno in famiglia o tra amici e conoscenti che è impegnato sindacalmente quindi, quando ho iniziato a lavorare diciotto anni addietro, non mi sono mai posta la domanda sull’utilità della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. Poi in azienda sono iniziate a verificarsi alcune situazioni lavorative che non mi sono piaciute e che mi hanno fatto accendere un campanello d’allarme. Io, che occupavo un ruolo nell’ufficio amministrativo, al rientro dalla maternità sono stata demansionata e relegata in reception a svolgere funzioni di portineria e centralino mentre la mia ex-collega Asia, impiegata come me, dall’oggi al domani è stata spostata in magazzino a raccogliere le cartacce. Allora mi sono chiesta: “È normale che io debba subire queste decisioni senza poter controbattere? Cosa posso fare per far sì che i miei diritti di lavoratrice siano tutelati? A chi mi posso rivolgere? Chi può essere in grado di tutelarmi legalmente se dovessi subire un’ingiustizia lavorativa?“.  In un primo momento mi sono sentita sola e spaesata di fronte a queste domande ma poi con Asia ci siamo sostenute a vicenda, ci siamo informate e abbiamo trovato nel sindacato UIL la risposta alle nostre domande. Abbiamo contattato il funzionario Ciro Di Dato della UILM che in un incontro ci ha spiegato cosa è il Sindacato, come funziona, com’è strutturato e ci ha fatto capire che c’era una soluzione ai nostri problemi lavorativi e che questa era la costituzione di una rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda. A quel punto abbiamo detto: “Perché no? Proviamoci! Facciamo insieme questo percorso e vediamo se anche gli altri colleghi ci supportano.” È iniziato in questo modo il mio impegno sindacale, nell’aprile 2021. È iniziato tutto da un bisogno; dalla necessità di difendere i nostri diritti. Nel frattempo, Asia ha dato le dimissioni perché ha trovato un altro impiego, io invece ho continuato a lavorare in Emmecitecnica fino al 26 gennaio scorso quando l’azienda mi ha notificato la lettera di licenziamento, poi ritirato.”

Quando ti è stata notificata lettera di licenziamento ma anche, più in generale, quando hai iniziato l’impegno sindacale in azienda, hai sentito il supporto dei colleghi?

“A dir la verità mi aspettavo più supporto da parte loro, soprattutto dalle colleghe donne e mamme come me. Ho riscontrato nei colleghi una sorta d’indisposizione nell’esporsi, non solo nel difendermi ma anche nel far valere i propri diritti. Non voglio colpevolizzare nessuno ma trovo difficile giustificare questo tipo di atteggiamento da chi ha tutte le tutele di un contratto indeterminato e non ha ragione di aver paura di subire negative ripercussioni qualora esprimesse legittimamente il proprio disappunto. Giustificherei il timore di un collega a contratto determinato perché comprendo che la sua situazione contrattuale lo mette in una posizione scomoda nel caso in cui è chiamato a esporsi, non giustifico invece l’atteggiamento di chi la pensa come: “La cosa non tocca a me, non mi espongo perché non voglio rogne. A me non succederà mai!” Invece è proprio questo il ragionamento sbagliato.” 

Hai appena detto che c’è chi pensa: “A me non succederà mai!”. Tu, ti sei mai chiesta “Perché proprio a me?”; hai mai pensato che potessi essere tu ad aver sbagliato in qualche atteggiamento e che quindi, in fin dei conti - come dire - la lettera di licenziamento possa essertela “meritata”? Hai percepito un ambiente che stesse cercando di colpevolizzarti e farti passare dalla parte della persona in difetto anziché della vittima? 

“Non voglio nascondermi dietro nessuna forma di vittimismo ma è pur vero che non mi sento colpevole di nulla! Sicuramente, in maniera anche inconscia, c’è un’opera di convincimento da parte della controparte a far passare per “sbagliata” la parte lesa della vicenda. Io però sono consapevole del mio valore all’interno dell’azienda. Sono convinta che si abbia sempre qualcosa da imparare anche dopo diciotto anni di carriera e si possano incontrare anche persone più preparate di quanto già lo siamo noi stessi, ma sono altrettanto convinta dell’impegno e della passione che ci ho messo nel mio lavoro e di quell’approccio positivo che mi faceva lavorare come se l’azienda fosse mia. Ricordo l’entusiasmo di svegliarsi la mattina con la voglia di far bene il mio lavoro, quell’entusiasmo che poi ho un po’ perso quando la mia situazione lavorativa è iniziata a cambiare in peggio. Già dopo la nascita del mio primo figlio, al rientro dalla maternità, alcune funzioni mi erano state tolte però, anche se il clima era cambiato, ero rimasta comunque nel mio ufficio e nel mio ruolo. È stato con il rientro dalla successiva maternità, dopo la nascita del mio secondo figlio, che le cose sono ulteriormente peggiorate quando rientrando sono stata direttamente accompagnata in reception senza nessuna spiegazione logica e senza nessuna lettera di cambio mansione. Alla mia richiesta di spiegazioni, mi era genericamente risposto che il demansionamento era dovuto a scelte di natura riorganizzativa dell’ufficio.”

Arriviamo a oggi. Com’è stata giustificata, invece, la lettera di licenziamento pervenuta il 26 gennaio scorso?

“È stata giustificata a causa degli aumenti dei fidi bancari per l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, quindi la riduzione dei costi prevedeva la soppressione della mansione di receptionist e non potendomi ricollocare in nessun altro reparto, si è fatto ricorso al licenziamento.”

Ti è stato fatto pesare il fatto di essere madre? Ti hanno fatto sentire in colpa per essere donna e quindi portatrice di vita?

“Mai direttamente ma gli atteggiamenti sono stati inequivocabili. Mettiti nei miei panni e prova a immaginare che rientri dalla maternità e non ritrovi più il tuo posto in ufficio, il tuo ruolo è stato assegnato a un’altra persona e sei ricollocata in una posizione che socialmente ti isola anche dai colleghi. Ti domandi cosa possa essere cambiato rispetto a prima e la risposta pare scontata: hai un figlio. Quindi sì. Anche se mai esplicitamente, mi è stato fatto pesare il fatto di aver dato priorità al mio essere donna e madre.” 

Secondo la tua esperienza, cosa pensi possa fare la classe politica e più in generale la società affinché alle donne sia riconosciuta pari dignità lavorativa rispetto agli uomini? Cosa bisognerebbe fare affinché le donne non si sentano lavorativamente messe da parte nel momento in cui decidano di diventare madri o solamente con l’eventualità che possano diventarle? Anche perché non è detto che tutte le donne vogliano diventare madri. Credi che già il fatto che automaticamente si pensi alla donna come futura madre, sia di per sé un atteggiamento discriminatorio nei confronti della donna e che questo possa limitare in partenza una carriera lavorativa?

“Sì, assolutamente! L’essere donna ed anche l’essere mamma non sono due condizioni intrinseche non adeguatamente tutelate nel mondo del lavoro. Anche se io credo che prima delle leggi e delle regole, bisognerebbe parlarci con le donne e con le mamme. Bisognerebbe capire quali sono le loro esigenze accompagnandole nel rientro alla vita lavorativa che dopo una maternità non è per niente facile da affrontare. Credo che anche nei rapporti di lavoro si dovrebbe ritrovare quell’umanità che permetterebbe a tutti di vivere la vota aziendale in armonia e serenità, senza sentirsi sbagliati e fuori posto nel contesto lavorativo. Sulla base di ciò si può ragionare poi di leggi, regole, part-time, ecc.”

Il problema però è che anche quando le aziende propongono facilitazioni come il part-time, a pagarne le conseguenze di questa scelta sono comunque le mamme. Perché è vero che la riduzione oraria può permettere un migliore equilibrio tra vita lavorativa e accudimento del neonato, ma questo “trattamento speciale” prevede comunque una diminuzione salariale che potrebbe rendere incompatibile l’essere mamma con la situazione economica del nucleo familiare. Ciò potrebbe portare molte donne a rinunciare ugualmente alla gravidanza.  Pensi che migliorare questo aspetto, anche economico, attraverso la contrattazione del CCNL possa evitare in qualche modo una situazione disincentivante come questa?

“Decisamente sì! Se si legiferasse nell’ottica che in caso di maternità sarebbe comunque mantenuta l’integrità salariale, sarebbe sicuramente una conquista per le donne che scelgono di diventare madri. Poco importa se ciò si raggiunga con una riduzione oraria a parità d stipendio da parte dell’azienda oppure facendo ricorso a una sorta di ammortizzatori sociali che vadano e compensare e la differenza tra contratto part-time e a tempo pieno. Comunque l’obiettivo dovrebbe essere quello di far rientrare le madri dalla maternità nel modo più sereno possibile, perché è statisticamente provato che una lavoratrice serena è anche più produttiva.”

Hai parlato di serenità. A tal proposito voglio chiederti come stati gestendo il rientro in azienda dopo il ritiro della lettera di licenziamento. Sei serena? Cosa dicono i tuoi colleghi a riguardo della tua azione sindacale?

“Sono serena anche se, in fin dei conti, la mia situazione non è cambiata rispetto al giorno della lettera di licenziamento. Sono ancora in reception e anzi, sono ancora più isolata che prima perché mi hanno tolto anche il telefono per evitare di comunicare con i colleghi o con i fornitori che mi conoscono da anni e che hanno letto della mia vicenda. I miei colleghi mi fanno domande sull’azione sindacale che ho intrapreso e sicuramente la mia azione è stata un beneficio per tutta la comunità lavorativa in quanto, da accordo sindacale, qualsiasi licenziamento futuro dovrà essere fatto previo accordo con il sindacato. Sicuramente la mia lotta è stata una tutala per tutti.”

Posso immaginare che, nonostante tu abbia mantenuto il posto di lavoro, gestire questa vicenda non sia facile. Ti sei pentita di aver scelto la strada dell’azione sindacale? Come giudichi quest’esperienza?

“È un’esperienza che giudico positivamente perché intanto mi ha fatto conoscere la UIL e mi ha fatto prendere coscienza della forza del sindacato. Mi ha fatto conoscere persone che supportandomi, mi hanno aiutato nel far sì che i miei diritti fossero riconosciuti. Ho capito non bisogna sempre subire e che si può provare a lottare affinché le cose cambino in  meglio. Quando mi è stato notificato il licenziamento, avrei potuto scegliere di accettarlo passivamente e ingoiare il rospo, invece ho detto: “Questo è il mio lavoro, questo è un mio diritto e nessuno me lo toglie ingiustamente!” Questa situazione mi ha dato modo di scoprire anche una “nuova Katia”; quella parte di me combattiva, audace e che non ha timore di parlare anche con persone che non conosce. Ho scoperto una parte di me che non avrei mai pensato di avere e che mi piace! L’ho accolta positivamente! Bisogna sempre prendere il buono da qualsiasi situazione.”

Dove hai trovato questa forza per lottare per i tuoi diritti? Qual è stata quella molla che è scattata in te stessa e che ti ha fatto andare avanti?

“La forza l’ho trovata soprattutto guardando i miei figli. Un domani quando racconterò loro questa vicenda, devo essere con la coscienza a posto. Già adesso al maggiore dei miei figli che ha sei anni, spiego che non deve subire passivamente tutto ciò che lui non voglia gli sia fatto. Se avessi rinunciato a lottare per un mio diritto, quale esempio avrei dato ai miei figli? Se avessi ceduto, non mi sarei sentita bene nei loro confronti. Come avrei fatto a dirgli di non accettare i soprusi se avessi accettato di chinare la testa? Un domani leggeranno le vecchie notizie e capiranno chi è stata e cosa ha fatto la loro mamma.”

A proposito di notizie. La tua storia ha fatto il giro delle tv, delle radio e dei giornali: come stai vivendo quest’attenzione mediatica?

“È avvenuto tutto in maniera repentina e molto devo ancora realizzare ma non mi ha dato fastidio. Non mi interessa però attirare le attenzioni sulla mia persona ma piuttosto sulla vicenda che mi ha riguardato. Sono contenta che questa notizia abbia avuto questa risonanza mediatica perché, probabilmente, tante persone sono nella mia stessa situazione e pensano di essere sole di fronte ad una situazione che fa paura e sembra insormontabile. Magari raccontare la mia storia può servire per spronare tanta gente a informarsi sull’utilità del sindacato e a capire che c’è una soluzione ai problemi lavorativi. Probabilmente tante persone si fanno le stesse domande che mi sono fatta anch’io quando non sapevo come rivendicare i miei diritti. Quindi se raccontare la mia storia può servire a questo, sono felice di raccontarla!”

Pensi che raccontare la tua storia e sentirti utile per qualcun altro, sia un modo per esorcizzare quel senso di inutilità che hai avvertito quando sei stata demansionata a lavoro?

“Potrebbe anche essere, sì. In quell’occasione mi sono sentita tanto inutile, come se non portassi più un valore aggiunto all’azienda in cui ho speso la maggior parte dalla mia vita lavorativa. Portare quel qualcosa in più nelle vite altrui, che sia coraggio o speranza o buon esempio, mi fa sentire utile e contenta.”

Grazie Katia per averci concesso quest’intervista. Dedicare alla tua storia alcune colonne del nostro giornale, può solo farci piacere!

In una situazione dove arrendersi sarebbe stata la scelta più facile, tu hai scelto di lottare e di andare Avanti! E questo ti fa onore!
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