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L'Italia contro la legge UE sulla libertà di stampa

15/12/2023

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Ettore Di Mattia

Giovane Avanti! Sicilia


​Il governo Meloni continua a voler insidiare tutti i gangli vitali della società civile in nome di un impalpabile “interesse nazionale”. L’ultima presa di posizione, secondo quanto si apprende dal Fatto Quotidiano, preoccupa e non poco.

In nome della “salvaguardia nazionale” l’Italia potrebbe mettere il veto sulla legge UE a tutela della libertà di stampa per l’assenza di una clausola che dia la possibilità di spiare i giornalisti. Una presa di posizione che rappresenta il volto di questo governo, antidemocratico e poliziesco.
​
Ciò che è avvenuto alla prima della Scala è emblematico. Un approccio basato sull’imposizione di una visione tipicamente di destra basata sul “nemico della nazione”. O con me o contro di me.
Secondo quanto emerge dai verbali di una riunione a porte chiuse del Consiglio europeo visionati dai consorzi di giornalismo Investigate Europe (IE) e DiscloseeFollowTheMoney il governo italiano definisce il mantenimento del paragrafo sulla sicurezza nazionale, previsto all’articolo 4, una “linea rossa”. Ciò significa che è pronto a votare contro l’intero regolamento se questa dovesse essere cancellata.
Anche altri Paesi membri quali Francia, Finlandia, Cipro, Svezia, Malta e Grecia si sono detti favorevoli ad utilizzare software spia nei confronti dei giornalisti ma il nostro governo si è spinto oltre condividendo l’idea illiberale che Orban continua a portare avanti in Ungheria.
Questa infatti nel negoziato finale di venerdì tra Europarlamento, Consiglio e Commissione ha già annunciato che voterà contro.
Nel caso in cui questi sette Paesi decidessero di votare contro si verrebbe a creare la cosiddetta “minoranza di blocco” in grado di impedire l’approvazione del regolamento. Un macigno contro chi per anni si è battuto affinché venisse approvata una legge europea sull’indipendenza dei media. 
Va infatti ricordato che il regolamento nasce sulla scia degli scandali Predator e Pegasus, i software spia trovati sui cellulari di alcuni giornalisti in Grecia, Francia, Spagna e Ungheria.
La scorsa settimana, 17 associazioni e istituti UE di media e giornalismo hanno pubblicato un appello dicendosi “profondamente preoccupati” se il testo finale “stabilisse condizioni per la divulgazione delle fonti non conformi agli standard internazionali sui diritti umani”.
La vera partita si giocherà comunque tra la visione del Consiglio, più propensa ad ampliare l’azione degli Stati nell’ambito della “sicurezza nazionale”, e quella dell’Europarlamento che invece preme per ridurre al minimo “la possibilità di far ricorso alla clausola di sorveglianza considerando non negoziabile la protezione degli informatori e delle fonti”. 
Uno stallo che sembrerebbe perdurare. In attesa del voto di venerdì il governo tedesco ha proposto di modificare il testo dell’articolo dotandolo di un comma in cui verrebbe inserita la dicitura “ Il presente articolo non pregiudica la responsabilità degli Stati membri per la salvaguardia delle aree di loro esclusiva competenza”. In questo caso sarebbero i tribunali a dover stabilire caso per caso quando considerare travalicati i limiti dell’informazione in nome della sicurezza nazionale. Una previsione più conciliante ma non immune da zone grigie nelle quale un governo nazionale potrebbe muoversi.
Tra rischio di sorveglianza di massa e necessità di garantire sia la privacy sia l’efficacia delle indagini, la questione tocca numerosi aspetti tutti in evoluzione. Quello che non dovrebbe essere mai abbandonata è la possibilità di trovare un giusto equilibrio. Niente assolutissima criteri di riferimento certi in base al caso, nella costante ricerca di un equilibrio fra diritti costituzionalmente garantiti.
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