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Giulia CavallariGiovane Avanti! Bologna Dopo settimane di negoziati è stato firmato, a Cartagine, il Memorandum UE-Tunisia. Si tratta di un memorandum di intesa firmato da Ursula Von del Leyen, Giorgia Meloni, Mark Rutte e Kais Saied. Si è parlato di questo accordo come di un modello anche per gli altri Stati del Nord Africa. Il Memorandum è stato definito come una sorta di partnenariato strategico che ha come pilastri la stabilità macroeconomica, il commercio, gli investimenti, la transizione verso l’energia verde, i contatti interpersonali tra popoli, la questione migratoria. Una volta evidenziati i “pilastri” su cui poggia questo patto, si deve evidenziare che restano evidenti criticità in merito ai flussi migratori. Non sono previste zone Sar di competenza della Tunisia e nell’accordo viene previsto il rimpatrio solo di tunisini che hanno raggiunto illegalmente le coste europee. Un’intesa che prevede anche un pacchetto di aiuti economici: più di mezzo miliardo di euro per la gestione dei flussi. Tuttavia si tratta di un accordo vincolato al prestito di 1,9 miliardi di euro che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) dovrebbe approvare ed erogare perché si possa effettivamente sbloccare l’accordo. Ma le trattative tra Tunisia nella persona del Presidente Saied e FMI sono ferme. Il prestito che dovrebbe essere concesso alla Tunisia prevede il “vincolo” della realizzazione di riforme che la Tunisia di Saied dovrebbe intraprendere per ricevere i fondi dal FMI, ma anche per dare avvio al Memorandum.
Invece 900 milioni di euro è la somma che l’UE offre alla Tunisia sottoforma di prestito a tasso agevolato e che dovrebbe essere erogato nei prossimi anni. Sono poi stati previsti 150 milioni di euro a fondo perduto e 105 milioni per impedire le partenze. Il memorandum viene considerato, da chi lo ha approvato, un “buon pacchetto di misure” da attuare rapidamente “in entrambe le sponde del Mediterraneo”. Ma è davvero così? In realtà questo accordo che è stato firmato è piuttosto vago perché sono presenti numerosi rinvii a protocolli operativi che dovranno essere approvati e attuati. Come ha evidenziato Gianfranco Schiavone “L’attuazione di questi accordi molto probabilmente includerà strumentazione per il controllo delle frontiere di terra e di mare. Questi pattugliamenti potrebbero coinvolgere direttamente l’Unione europea in azioni che potrebbero rivelarsi illegali rispetto al diritto europeo, come già verificatosi in Libia e in Turchia. Quindi dovrebbe essere negli interessi dell’Ue includere dei meccanismi di garanzia nel momento in cui le azioni di controllo dei migranti vengono messe in essere con risorse europee. Se queste azioni si tramutano in una violazione sistematica dei diritti fondamentali, la responsabilità giuridica dell’Europa diventa rilevante ma è anche ovviamente difficilissimo andare ad accertare i fatti. E non sono certo fiducioso che questi potranno veramente finire di fronte alla Corte di Strasburgo”. Il punto relativo all’immigrazione figura ultimo nella “lista” pur sapendo bene qual è la situazione. Le parti firmatarie hanno convenuto la ‘necessità’ di procedere ai rimpatri per gli immigrati irregolari, ma nel Memorandum è scritto nero su bianco che la Tunisia non prenderà immigrati irregolari non tunisini. Non possiamo non far riferimento al fatto che l’Italia ha già un accordo con la Tunisia per i rimpatri degli immigrati irregolari. Si tratta di uno dei pochissimi accordi sui rimpatri che l’Italia era riuscita a siglare. Perché la questione immigrazione è così “calda? Perché solo nei primi 4 mesi del 2023 sono quadruplicati gli ingressi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La Tunisia sta vivendo una vera e propria situazione di emergenza perché centinaia, migliaia di persone vengono lasciate al confine Libia-Tunisia- nel deserto- senza acqua e senza cibo. Principalmente persone di nazionalità ivoriana, camerunese, maliana, guineana, ciadiana, sudanese, senegalese. Foto che continuano a fare il giro del mondo, ma che ancora una volta mostrano il volto crudo della storia dell’immigrazione soprattutto dalle aree subsahariane. Le immagini sono crude, drammatiche come la foto di Matyla e Marie-madre e figlia- morte di sede nel deserto, morte di stenti. Sono immagini che parlano da sole. Le autorità tunisine vengono accusate di riportare verso il confine libico, nel mezzo di un deserto, esseri umani in quella zona, Ras Jedir, che viene definita “zona cuscinetto” tra Libia-Tunisia. Migranti che vengono abbandonati in mezzo al deserto, in quella terra arsa dal sole e senza acqua, senza cure mediche. Sono zone impervie e difficili da raggiungere anche per Ong. Ma come ha evidenziato la direttrice della Human Rights Watch in Tunisia, questi migranti (questi esseri umani) devono essere aiutati. Il Post ha riportato che “secondo i calcoli di Al Jazeera i migranti arrestati e deportati al confine con la Libia sono circa 1.200. Raccontano di essere stati fermati in varie operazioni di sicurezza a Sfax, la città costiera della Tunisia centrale da cui partono le imbarcazioni dirette verso la piccola isola italiana di Lampedusa. Al momento sono bloccati in una zona desertica vicino al mare a circa 35 chilometri a est della città tunisina di Ben Guerdane, senza la possibilità di tornare in Tunisia o entrare in Libia”. Patti, Memorandum, Conferenze (come la conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni) saranno solo dei “deterrenti” se la politica estera europea e quella italiana non saranno in grado di affrontare la questione migratoria. Il ministro degli esteri tunisino, Kamel Feki, ha evidenziato come “non si possa accettare che la Tunisia diventi un paese di transito o di insediamento, perché la società tunisina ha una capacità limitata di accettare l’integrazione di migranti provenienti dai paesi subsahariani”. Di fatto la Tunisia evidenzia la sua incapacità o impossibilità di accettare e integrare gli immigrati, ma anche di rimpatriarli nei rispettivi paesi di origine. Bisognava intavolare una discussione con la Tunisia già negli anni passati conoscendo bene la sua posizione geografica: essere un Paese di confine con la Libia. Purtroppo va rilevato come la Tunisia e il suo presidente autoritario Saied stiano usando i migranti per renderli “colpevoli” della grave situazione economica che il Paese sta vivendo da mesi. Questo modo autoritario sta portando anche al verificarsi di gravi episodi di razzismo (incitati dal presidente stesso). La grave crisi economica che sta colpendo la Tunisia ha portato alla carenza (e in alcuni casi anche mancanza) di beni di prima necessità. In questi mesi il presidente autoritario Saied si è scagliato contro gli immigrati illegali “rei” di portare violenza, crimine in Tunisia. Ha anche parlato di “sostituzione demografica per rendere la Tunisia un paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico”. Anche questa volta razzismo e complottismo (tanto cari all’estrema destra) sono diventati segno di ispirazione per Saied. Chiaramente questo modo di affrontare-gestire questa emergenza ha avuto e continuerà ad avere effetti in Tunisia e, per riflesso, anche a livello di flussi migratori. L’Italia cerca di rendersi protagonista come ha dimostrato con la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni tenutasi a Roma qualche giorno fa, cerca di conquistarsi un ruolo nel Mediterraneo vista anche la sua posizione geografica e visti gli aumenti esponenziali degli sbarchi in questi primi mesi del 2023. Una sorta di “incontro” tra leader di quasi tutti gli Stati del Sud del Mediterraneo, del Medio Oriente, del Corno d’Africa insieme anche ai vertici delle istituzioni comunitarie. Gli obiettivi, certo, sono nobili, ma la precarietà geopolitica di quei territori impone profonde riflessioni e non basterà certo una conferenza o un memorandum a “sanare” un vulnus cronico in cui quotidianamente sono in gioco le vite di esseri umani che scappano da guerre, carestie, povertà. Una conferenza non può “governare” il fenomeno migratorio o contrastare il traffico di esseri umani come riporta il sito della Presidenza del Consiglio. Le vicende sono talmente delicate e intrecciate tra loro che dovrebbe essere vietato fare della propaganda. Cosa avrebbe potuto proporre l’Italia ai Paesi che hanno preso parte alla conferenza? Schiavone lo dice chiaramente: “L’unico elemento degno di nota è la discussione sul possibile aumento di canali di migrazione regolare. Ma per giustificare una conferenza internazionale. L’Italia avrebbe dovuto proporre a questi Paesi degli accordi sugli ingressi secondo meccanismi innovativi, come prevedere con alcuni paesi una sperimentazione di rilascio di visti di ingresso ingressi per ricerca di lavoro”.
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