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MODERNITÀ E IDENTITÀ

29/5/2022

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RICCARDO IMPERIOSI

Direttore Giovane Avanti!

Sul rinnovamento del socialismo democratico proposto dall’Avanti!
Modernità, bellezza e identità. La relazione tra i primi due inizia a definirla Charles Baudelaire, poeta francese di metà Ottocento, punta di diamante del movimento simbolista e precursore del decadentismo. Egli conia il termine “modernità” per esprimere l’effimera esperienza della vita condotta in città, unita alla responsabilità dell'arte di catturare quell'esperienza e di esprimerla nelle forme più diverse e originali. 
​In “Le peintre de la vie Moderne” (1863), nel primo capitolo, formula un’interessante teoria sulla bellezza, in contrasto con le teorie accademiche del tempo: all’ideale di bellezza platonica, concetto astratto e senza tempo, sostituisce il concetto transitorio di bellezza “composta”, ovvero di forme di bellezza estratte dal presente. Non abbandona totalmente la concezione platonica: riconosce infatti delle forme fisse - gli ideali platonici - nascoste nell’effimero. Per la prima volta viene rimosso il tabù dell’effimero, offrendo un universo di possibilità all’artista, e per la prima volta la novità comporta un valore di per sé. Di fatto però resta una visione parzialmente conservativa, a metà tra l’estetica moderna e quella classica: se l’ideale di bellezza è circoscritto al presente e strettamente legato all’idea di modernità allora il compito dell’artista sarà di trovare quegli elementi che potranno essere perpetrati più a lungo della breve vita dell’essere umano, di capire in sostanza “cosa può essere salvato”. 

Anche Stéphane Mallarmé, anch’egli poeta simbolista, contribuì notevolmente al concetto di modernità. Non tutti sanno che tra i tanti incarichi che ha avuto ce n’è stato uno in una rivista di moda, ed è proprio in quegli articoli che esprime la sua personalissima - e imitatissima anche oggi - visione della relazione tra modernità e bellezza. Egli considera la bellezza come un ideale, perciò astratta e irraggiungibile. Considera invece la moda come un “prototipo” del moderno, quindi in continua evoluzione, in preda a un cambiamento costante. Ma il cambiamento costante presuppone quasi la glorificazione dell’istante, che si rivela però irraggiungibile, come l’ideale di bellezza. Per questo avvicina la moda, arte del superficiale e del transitorio, e la bellezza, ideale astratto e irraggiungibile. 
A differenza di Baudelaire la sua non è assolutamente una visione conservativa: supera definitivamente gli ideali platonici e proietta tutte le forme di bellezza nell’effimero, considerandolo come bellezza in sè e non vedendo la bellezza nascosta in esso.

Confrontando le due visioni ci accorgiamo facilmente come la visione di Baudelaire abbia dato vita, con i suoi elementi iconici portati avanti nel corso del tempo e la ricerca di nuovi elementi da tramandare, a quello che nel mondo della moda viene chiamato unchanging chic, Chanel ne è l’esempio. Al contrario la visione di Mallarmè, caratterizzata da un’ossessione per il costante rinnovamento, ha ispirato movimenti futuristi animati da una perpetua innovazione. Rimanendo in tema, esempi odierni sono Vetements o Balenciaga.

Esiste una terza visione molto importante della modernità, quella del filosofo tedesco Walter Benjamin. Influenzato principalmente dal romanticismo tedesco - soprattutto sulla critica al progresso e sui dubbi sulla modernizzazione - e dal messianismo ebraico - per la concezione qualitativa del tempo, in contrasto con la classica idea lineare di esso -, egli 
propone una visione che può considerarsi una sintesi tra le precedenti. 
Secondo Benjamin la storia è scritta e percepita in modo diverso a seconda della posizione nel tempo, di fatto non è uniforme - abbandona l’idea di “ciclo lineare” della storia. Questo lo porta a considerare la modernità come lo sviluppo della consapevolezza storica del momento attuale e considera il creatore moderno (l’artista) il più consapevole non solo della situazione attuale, ma anche della somiglianza tra presente e passato. Essere moderni secondo lui vuol dire proprio questo: saper riconoscere un’eco tra presente e passato. Ciò porta ad una costante ricerca, ad uno stile ibrido caratterizzato da un perenne “collage” tra presente e passato: l’importanza dell’archivio storico di un marchio - qualsiasi esso sia - viene esaltata dalla continua sperimentazione e dalla contaminazione di esso con elementi moderni provenienti da ogni parte del globo, cosa possibile oggi grazie al mondo iperglobalizzato. Il risultato finale sarà un mix di culture, simboli e storia. L'obiettivo è rendere attuali elementi del passato. Rimanendo in tema moda, un classico esempio della teoria di Benjamin è la filosofia di Gucci e del suo Direttore creativo Alessandro Michele.

La filosofia della modernità è strettamente intrecciata a quella dell’identità. Il modo in cui si intende il presente determina non solo la visione della propria storia e la visione con cui si intende proseguirla, se più improntata verso un unchanging chic baudelairiano o un futurismo di Mallarmé, ma anche l’identità dello stesso, andando a determinare tratti e valori importanti della brand philosophy. 

Chi siamo noi? Cosa vogliamo? Vogliamo continuare a nuotare felici nello lago fatato del glorioso passato o cimentarci nell’ostica sfida dell’innovare il nostro pensiero e la storia stessa? 

Da Giovane Avanti! la risposta è chiara. Non crediamo che guardare solo al futuro possa essere la soluzione, come non crediamo assolutamente che il solo - seppur glorioso - passato possa riformare l’avvenire, al massimo ispirarlo. In poche parole, non possiamo né abbandonare elementi e tradizioni che contraddistinguono il nostro io nè continuare solo a evocare il passato per cambiare il presente. 

La strada da seguire è quindi chiara ed è quella ipotizzata - con tutti gli adattamenti del caso - da Walter Benjamin. La tradizione socialdemocratica, in Europa come in Italia, è forte e ben radicata, fondata su valori come equità, giustizia sociale, rispetto dei diritti e delle libertà individuali - un “archivio storico” molto forte da poter innovare e con cui poter sperimentare l’ibrido passato-presente-futuro. 

La socialdemocrazia e il riformismo italiano, il modello nordico (la famosa socialdemocrazia scandinava), la socialdemocrazia tedesca sono modelli pluricentenari che funzionano ancora oggi, basta pensare al governo monocolore in Svezia e alla recente vittoria della SPD in Germania. Anche in Italia, patria degli ossimori politici da tempo immemorabile - vedi le “convergenze parallele” o le recenti posizioni più che ambigue sulla guerra in Ucraina, il nè con Putin nè con la NATO - persistono elementi socialdemocratici in più partiti, anche di recente governo come il Partito Democratico o in forze più centriste e liberali, le quali convergono su alcuni punti basandosi sul simile - convergente ma non identico - liberalismo 
sociale.

Certo, tutto questo discorso va a testimoniare l’attualità e l’applicabilità della socialdemocrazia nell’immediato presente, ma che prospettiva ha essa nel futuro? Ovviamente non potrà trattarsi della stessa socialdemocrazia saragattiana o del primo modello nordico o tedesco, i tempi sono cambiati e con essi le necessità e le priorità, ma i valori e gli ideali da innovare sono gli stessi che hanno fatto la storia. 

Per dare un’impostazione autenticamente socialdemocratica non è possibile trascurare elementi importanti nel passato, ma farlo senza capire come portarli nel futuro sarebbe assolutamente controproducente in quanto operazione di pura nostalgia. Dobbiamo agire in stile benjaminiano. La transizione ecologica e il rispetto dell’ambiente stesso; l’equità e giustizia sociale in toto, intervenendo quindi su gender & pay gap, ripensando le politiche del lavoro per garantire dignità salariale e sicurezza sul posto di lavoro, considerando la rivoluzione tecnologica e i nuovi mestieri che essa ha portato e infine lavorando su politiche pensionistiche che garantiscano la dignitosa uscita dal mondo del lavoro, sia in termini anagrafici che economici; il ritorno a livelli di eccellenza del mondo dell’istruzione cui l’Italia ha abituato il mondo, finendola con continui tagli e riforme che mediocrizzano lo studente medio, uccidono le eccellenze e incoraggiano abbandono e dispersione scolastica, magari introducendo nuovi corsi e/o indirizzi a seconda delle nuove competenze che la rivoluzione tecnologica e la globalizzazione hanno reso necessarie, come quelle digitali, linguistiche o gestionali, oltre al potenziamento dei valori di cultura politica che solo l’educazione civica può fornire; il rispetto dei diritti sociali e civili al pari di altri paesi europei, incoraggiando partecipazione e inclusione; il potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale, soprattutto includendo tra le priorità la spesso bistrattata salute mentale: dopo due anni di pandemia e mesi di guerra alle porte dell’Europa appare improrogabile il porre l’attenzione su un aspetto così importante delle nostre vite, lo dimostrano l’aumento degli hikikomori e delle sintomatologie isolanti o depressive; ripensare la concezione dell’Europa, messa a dura prova negli ultimi anni da crisi finanziarie e speculazioni di ogni tipo e che solo recentemente ha riacquistato quel ruolo guida e di mediazione che potrà contraddistinguerla nel futuro come chiave delle relazioni internazionali - soprattutto tra USA e resto del mondo - magari implementando un esercito e politiche fiscali ed economiche comuni per arrivare al compimento dell’ipotesi federalista, la sola che potrà - rispettando le differenze individuali di ogni nazione - esaltare l’Europa al ruolo non solo che merita, ma che ha avuto nel passato.

In sostanza, occorre ripensare la socialdemocrazia del futuro basandosi sui valori e gli elementi che l’hanno resa grande nella storia, innovandoli per dare un futuro non solo a questo paese, ma all’Europa intera. Il vento europeo soffia a favore, la nostra identità è chiara, la nostra modernità anche. La storia ci darà ragione.

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