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Non un passo indietro!

11/12/2023

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Riccardo Imperiosi

Direttore Giovane Avanti!


​Quante volte ci siamo lamentati perché in questo Paese tutto cambia, per poi non cambiare mai? Quante volte ci siamo lamentati perché l’Italia non riesce a garantire un adeguato futuro ai suoi giovani? Quante volte abbiamo sbraitato contro i cosiddetti politicanti per una distanza apparentemente incolmabile con le piazze, con il popolo, come se le stanze dei bottoni fossero arroccate sulla torre più alta del castello?

Quante volte abbiamo inveito contro i sindacati, rei di non fare gli interessi dei lavoratori non opponendo il giusto impegno verso misure considerate altamente peggiorative per chi, con immensi  sacrifici, tiene in piedi non solo la propria famiglia ma il Paese intero?

Adesso basta. Adesso è il momento di smettere di inveire (ingiustamente peraltro). Adesso è il momento di incanalare tutta la rabbia che noi cittadini abbiamo in una piazza. Una piazza che dica alla politica “adesso basta”.
Basta giocare con la vita delle persone.
I lavoratori e le lavoratrici di questo Paese hanno perso circa il 20% di potere d’acquisto negli ultimi mesi, colpa di un’inflazione che - non lo dice Marx ma la BCE - è semplicemente da profitto, il che significa letteralmente che affamano la popolazione per profitti più alti, la vittoria suprema dell’iper-liberalismo. Non serviva una misura spot sul taglio del cuneo fiscale (misura introdotta dal Governo Draghi a seguito di scioperi di CGIL, CISL e UIL e finora solo confermata provvisoriamente dal Governo Meloni, niente di strutturale), per cui peraltro gli importi in busta paga di gennaio ‘24 saranno gli stessi di dicembre ‘23. Servivano misure strutturali, che restassero nel tempo: la detassazione di tredicesime e degli aumenti contrattuali ad esempio, per dare una spinta importante alla contrattazione collettiva, che al contrario di quel che dice il Governo non viene considerata o viene considerata mancando continuamente di rispetto alle organizzazioni sindacali più rappresentative dallo stesso esecutivo.

Serviva una riforma della legge Fornero, non un suo peggioramento. Servivano investimenti su salute e sicurezza sul lavoro, non si è visto niente. Serviva una riforma fiscale degna di questo nome, non la solita spinta all’evasione fiscale o l’ennesima disparità di trattamento tra autonomi e dipendenti. Ah, di tassare gli extraprofitti - soluzione che poteva finanziare tutte le altre elencate finora - neanche a parlarne. Servivano investimenti su scuola e sanità, niente di niente.

La precettazione

Nelle scorse settimane c’è stato lo sciopero generale indetto da CGIL e UIL. 
Uno sciopero giusto nei contenuti: tempo fa i sindacati (tutti e tre, anche la CISL) hanno presentato al governo, in vista proprio della legge di bilancio, una piattaforma unitaria con decine di rivendicazioni all’interno, in particolar modo su salari, fisco, pensioni, sicurezza sul lavoro, precariato e welfare. Questa piattaforma è stata totalmente ignorata,  l’ennesima dimostrazione del disprezzo che questo esecutivo nutre non solo verso le organizzazioni sindacali, ma verso tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici. Del resto di esempi ce ne sono a bizzeffe: la convocazione il primo maggio per svilire la simbologia della giornata - non mi invento niente, le parole di Meloni quel giorno furono lapalissiane - oppure la presentazione della manovra, fatta in una riunione con 17 (diciassette!) organizzazioni sindacali chiaramente anche non rappresentative, durata solo un’ora.

Ignorata la piattaforma, cosa dovevano fare i sindacati se non scioperare? Fatte le proposte e viste cestinare immediatamente, quali armi rimanevano a disposizione dei sindacati per arginare questa follia verso la working class italiana? Lo sciopero era naturale, anzi doveroso. Sì perché senza lo strumento dello sciopero - fondato, ricordiamolo, sul disagio imposto alla società in un periodo limitato di tempo - di diritti sul lavoro ne avremmo molti meno. Verrebbe da chiedersi come si sia passati da 56 ore settimanali a 40 ad esempio, oppure come l’Italia abbia raggiunto un livello di legislazione sul lavoro - parlando di diritti e doveri, anche se negli ultimi anni note riforme hanno di certo peggiorato la situazione - imparagonabile ad altri paesi, anche dei più avanzati.

Certo, si deve considerare che lo sciopero è un diritto e uno strumento, non una garanzia di successo. Perché il compito delle parti sociali, di fatto gruppi di pressione, è portare all’attenzione del decisore politico le istanze della popolazione e, per delega diretta, le proposte attraverso azioni, appunto, di pressione che restino nei limiti consentiti dalla legge, come lo sciopero.

Sciopero che non solo rientra nei limiti della legge, ma che è un diritto costituzionalmente garantito, ricordiamolo. Così come mai era stato precettato uno sciopero generale nella storia repubblicana. 

Un attacco diretto e frontale al diritto di sciopero, che mostra per l’ennesima volta l’analfabetismo istituzionale di chi ci governa in questo momento. Che dimostra come queste stesse persone non riescano a togliersi la spilla del partito una volta seduti negli scranni più importanti della Repubblica.

Per questo siamo scesi in piazza: per gridare ancora più forte che non solo serve rispetto e considerazione di lavoratori, giovani, pensionati, ma anche per dire che i nostri diritti non si toccano. Non faremo un passo indietro!
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