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Maddalena Petrini Giovani Reporter “Questo mondo non mi renderà cattivo” è la nuova serie di Zerocalcare, dopo il grande successo di “Strappare lungo i bordi”. Zero torna con una storia diversa, un racconto che sembra più un’analisi della società, un manifesto politico più complesso e divisivo. Periferia di Roma. Zero, affiancato dai suoi inseparabili amici Secco e Sarah, si trova di fronte a dei manifesti che parlano di sostituzione etnica. Da qui inizia la sua storia, fatta di nuovi personaggi, debolezze, introspezioni e problemi che rappresentano l’attualità in cui siamo sommersi. Zerocalcare si cimenta in temi sociali importanti e particolarmente significativi ai giorni nostri e li tratta con una delicatezza che non è superficialità. Ci sbatte in faccia la realtà, a volte cruda e dolorosa, spingendoci così a riflettere, a non lasciare indietro nessuno. L’integrazione delle minoranze
Il fil rouge di questa nuova serie riguarda l’apertura di un centro di accoglienza profughi nel quartiere del protagonista. Zero ci fa comprendere, con la metafora del pacco, come queste persone siano trascinate da una zona all’altra di Roma perché considerate una minaccia per l’equilibrio e per la vita sociale del quartiere. Esteso su un altro livello, quello internazionale, il fumettista parla del ruolo che spetta ai governi e delle nazioni che mandano da un Paese all’altro delle persone che scappano dalla guerra, dalla povertà, dalla malattia, dalla morte. I flussi migratori oggi rappresentano una delle tematiche più attuali, soprattutto con il governo Meloni che implementa politiche che osteggiano e vincolano l’immigrazione. Il tutto è coronato da una retorica populista e denigratoria che porta con sé l’idea della difesa dell’identità e la minaccia del diverso. Come se un individuo, solo perché proviene da una cultura diversa, possa minare la nostra identità e la nostra sicurezza. La paura del diverso è da sempre uno dei temi che riguarda la nostra società. La narrazione che viene fatta negli ultimi anni è quella di considerare l’immigrazione come un pericolo, un’emergenza che deve essere risolta al più presto, quando in realtà si tratta di un fenomeno dalle origini antichissime. Questa strategia comunicativa ha come fine la stigmatizzazione del diverso. Secondo Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco, lo stigma dello straniero come minaccia alla sicurezza nazionale non fa che alimentare l’odio e il conflitto, riducendo al minimo quella comunicazione trans-culturale e l’autentica interazione tra le etnie e culture al fine di raggiungere una reciproca comprensione. Ne consegue che gli individui, percepiti dalla comunità come una minaccia, vengono isolati, odiati e alienati dal corpus comunitario a cui vorrebbero aderire. In Questo mondo non mi renderà cattivo a Zero preme far chiarezza che non tutti sono offuscati da questa narrazione. Esiste e deve esistere una corrente che, anche se non sai dove ti porta, non ti fa andare a fondo. Il neofascismo Nella serie compare un nuovo personaggio, Cesare, un vecchio amico che torna dopo essere stato vent’anni in un centro di recupero. Zero, che ha sempre provato ad aiutarlo a trovare un suo posto nel mondo, fatica a riavvicinarsi a lui: scopre che si schiera dalla parte dei nazisti contro l’apertura del centro di accoglienza. I “nazisti”, come Zero chiama i neofascisti, rappresentano una delle questioni più attuali che dividono la società di fronte alla questione se si possa parlare ancora oggi di fascismo. Affermare che si è fascisti oggi, secondo Zerocalcare, non è considerato un fatto grave, non suona pericoloso e preoccupante ma, anzi, è un po’ come essere celiaci: abbastanza scocciante quando si va a mangiare fuori ma alla fine “tranquillo”. Un tema che ci fa riflettere sull’istituzionalizzazione democratica dell’ideologia fascista, che trova ancora oggi voce in abiti più civili rispetto al passato. Il lavoro come essenza Una delle tematiche affrontate nella serie è quella del lavoro. Zerocalcare ci fa riflettere sul significato che ha per la società: quello di definirci come persona. Il lavoro, nel corso della storia, non è sempre stato un fatto positivo. Prima della società industriale il lavoro era visto come un elemento negativo, legato ad uno status subordinato e di inferiorità rispetto alle élite dominanti. Oggi non lavorare significa, sostanzialmente, aver fallito. Il lavoro ci fa crescere, ci forma, ci fa socializzare e ci fa sentire parte di un sistema. Ma non solo: nella società capitalista veniva concepito da alcuni come uno strumento di sfruttamento che isola e incastra in una routine e spezza ogni creatività e forma di immaginazione. Così Karl Marx spiega l’alienazione, un concetto che vede protagonista il proletariato, la classe che svende la propria forza lavoro al capitalista il quale compra il plusvalore della sua opera. Stando a Robert Slow (Il mercato del lavoro come istituzione sociale), l’occupazione è connessa allo status sociale e alla stima in sé stessi. Ecco perché alle domande “Chi sei?” o “Cosa fai nella vita?” tendiamo a rispondere con il lavoro che svolgiamo seguendo la logica del “faccio dunque sono”. Attraverso il personaggio di Sarah, Zerocalcare racconta di quanto sia difficile nella nostra società essere una donna che ha superato i trent’anni e avere un’occupazione come insegnante, denunciando anche la bassa occupazione femminile e le disuguaglianze di genere nel mondo lavorativo. In questa società fluida, trovare un lavoro tutelato e stabile è diventato un privilegio per pochi. Così ci sentiamo fermi, mentre ci sembra che tutto il resto del mondo vada avanti. Per tornare a Bauman, viviamo in una modernità liquida in cui qualsiasi costruzione della nostra epoca è labile e transitoria. L’attuale tendenza alla flessibilizzazione del lavoro, se non affiancata da sussidi e politiche di sicurezza sociale, porta necessariamente alla precarietà. Inoltre, entra in crisi quel concetto di comunità a favore dell’individualizzazione, dove non ci sono più compagni di strada, ma antagonisti. È così che Sarah si ritrova a dover rinunciare ai propri valori, andando a scapito degli altri, per poter mantenere la propria posizione lavorativa. Non lasciare nessuno indietro “Ci stanno tre cose che te fanno esse una persona giusta con gli altri: aiutà chi te lo chiede senza stà a questionà, andà sempre al passo del più lento e non lascià indietro nessuno”. Sarah In una società dove i legami sociali sono sempre più impersonali e freddi, aiutare gli altri è il gesto più umano che possiamo fare. Non sono il nostro trascorso, il nostro lavoro e il nostro orientamento politico e sessuale a definirci come persone, ma quello che facciamo ogni giorno per migliorare il mondo in cui viviamo. È importante mettersi in discussione, evolvere e crescere senza cadere nelle tentazioni di sopraffazione e deliri di onnipotenza. Di fronte alle contraddizioni della vita bisogna mantenere saldi le radici, i principi e i valori a cui vogliamo aspirare per diventare persone migliori e trovare il nostro posto nel mondo. Solo così, questo mondo non ci renderà cattivi.
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