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LAVORIAMOCI

un progetto umano

1/12/2021

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​Sentiamo l’urgenza di una politica all’altezza dei tempi, delle opportunità e delle sfide che vorremmo cogliere, ma anche l’incombere di minacce sul nostro destino.

L’uomo è per natura un animale politico e un animale razionale. è all’apice della categoria dei predatori, in quanto essere sociale vive coi suoi simili in pace o in guerra, in quanto essere razionale impara a calcolare i propri interessi a cominciare da quello alla sopravvivenza dunque anche a calcolare i vantaggi della convivenza.

Da qui bisogna ripartire: dalla natura umana immersa in un mondo sempre più plasmato da noi ma pur sempre creato dalla natura che tutto abbraccia e nella quale soltanto è possibile la vita. La natura umana non è né divina né bestiale, né schiava né individualista: la natura umana è aggressiva, socievole e ragionevole, spirituale e mortale. Ben diversa per complessità, evoluzione, creatività eppure non totalmente altra da quella di tutti gli esseri viventi e senzienti che come gli animali e come le piante, si associano, crescono e si difendono uniti, intrecciando le radici e facendosi scudo gli uni con gli altri.
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Custodire la vita dell’umanità e quella della natura, migliorandola dove possibile e proteggendola da ciò che la minaccia è questa, oggi, la principale, prioritaria missione della politica.

Le cose sono arrivate a questo punto perché, volontariamente o involontariamente, non pochi strumenti che abbiamo forgiato e che ci hanno fatto progredire piegati dalla volontà di potenza e di profitto elevata a fine ultimo ci si sono rivoltati contro.

Ora la missione della politica non è più solo quella di fermare l’urto tra le nazioni e le guerre tra gli umani, le diseguaglianze laceranti, le ingiustizie e la deriva autoritaria che in troppe parti del mondo continua a fare delle libere democrazie non la regola ma l’eccezione. La fondamentale posta in gioco dei prossimi decenni è fermare il surriscaldamento del clima e le sue conseguenze: l’aumento della temperatura, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello degli oceani e dei mari che erode le coste e senza interventi risoluti, unanimi e costanti presto sommergerà città, isole e arcipelaghi.

E’ il cambiamento climatico che impone la transizione ecologica dalle energie fossili altamente inquinanti a quelle più moderne e pulite siano esse rinnovabili, elettriche, all’idrogeno.
Nella dimensione urbana lo smaltimento dei rifiuti esige un impegno su vasta scala di educazione a consumi sostenibili per quantità e qualità, sia per tutelare la nostra salute sia per fermare lo sfruttamento intensivo della terra, l’avvelenamento dell’acqua e dell’aria da cui traiamo vita e in cui viviamo.
Allo smaltimento dei rifiuti provvederà un’economia sempre più capace di trarre energia da fonti di calore non inquinanti, dunque un’economia circolare. Per cambiare verso alla volontà di potenza che ci ha condotto a questo punto occorrono tutta la lungimiranza, tutto l’amore e tutta l’astuzia della ragione umana; occorre la forza di un’unione politica religiosa, un internazionalismo capace di elevare la coscienza individuale a visione globale, a azioni comuni e condivisa per condizionare le decisioni degli Stati ciascuno dall’interno e tutti internazionalmente. Una formidabile unità di intenti più forte della globalizzazione economica deve rendere la globalizzazione della sopravvivenza l’imperativo categorico del nostro tempo.
I governi, i movimenti, i partiti ispirati all’umanesimo cristiano, liberale e socialista più di un secolo fa, pur divisi e rivali più di oggi, portarono le masse alla partecipazione politica trasformando le autocrazie prima in sistemi liberali oligarchici poi in democrazie di massa; gli stessi Stati, i partiti e le stesse radicate tradizioni culturali che dopo la seconda guerra mondiale seppero costruire la Comunità e poi l’Unione Europea oggi, di fronte ai rischi di nuovi conflitti di potenza, di fronte alle pandemie e agli allarmi ecologici, devono rinnovare un progetto umano capace di utilizzare la rivoluzione digitale per incrementare l’educazione e la formazione del capitale umano antidoto e alternativa alla contrazione del mondo del lavoro; per estendere anziché comprimere le libertà e i diritti civili e sociali mettendo a frutto e aggiornando i patrimoni di solidarietà e i principi di sussidiarietà che loro appartengono.

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Il Rinnovamento
del Socialismo Democratico

Il socialismo adeguato al XXI° secolo è quello che allea socialismo, democrazia e liberalismo in un progetto umano a difesa della vita. Vogliamo associare la promozione delle libertà individuali e la democrazia politica con l’impegno a favore di una crescita sostenibile, della pace nella giustizia, di un’equa redistribuzione della ricchezza, della fruizione condivisa delle risorse collettive, della difesa della salute, del lavoro e di un’istruzione di qualità per tutti.

Nei ‘gloriosi trent’anni’ (1945-1979) mentre a est si preannunciava la sconfitta storica del modello comunista, nell’Europa occidentale il compromesso tra socialdemocrazia e capitalismo, edificava lo Stato sociale – la più straordinaria opera di giustizia sociale della storia. Alla fine dei trenta gloriosi il compromesso socialdemocratico è andato a sbattere contro insuperabili limiti fiscali e monetari: troppa spesa, troppi debiti, troppa inflazione. La restaurazione liberista comincia allora, innescata dal mondo anglosassone che ha imposto ovunque un modello di capitalismo aggressivo che, bisogna riconoscerlo, ha pur indotto la crescita economica di interi continenti, l’integrazione di diverse aree del mondo nell’ordine – e nel disordine – del capitalismo mondiale. Parziali ma non trascurabili sono stati i tentativi di temperare la marcia del turbo capitalismo, negli anni ottanta guidati dal socialismo mediterraneo di Mitterand, Craxi, Gonzales e Soares negli anni novanta e duemila, dalla ‘terza via’ di Blair e di Schroeder.

Negli ultimi venti anni, la globalizzazione ha accelerato la sua marcia, effetto non di una serie di atti involontari, ma risultato – favorito e potenziato dai progressi tecnologici, segnatamente quelli dell’informatizzazione della finanza – di scelte compiute da nazioni, organismi sovranazionali, conglomerati economici e finanziari impegnati a liberalizzare i movimenti di capitale, a deregolamentare il mercato del lavoro, a ridurre le prestazioni dello Stato sociale. Nell’insieme ciò ha molto arricchito alcuni e impoverito moltissimi altri. Non solo: in Occidente si è imposto un nuovo paradigma culturale: l’iper individualismo, l’egocentrismo, l’ossessione per i diritti dei singoli anche a detrimento della coesione e della solidarietà. Ne sono derivate la frammentazione e la secessione delle comunità, la sfiducia e il rifiuto di ogni ideale connettivo. Negli anni in cui “cresceva” la globalizzazione, la politica non ha reagito agli universali economici fuori controllo attraverso la proposta di universali etico-politici rispondenti a un progetto umano. Ora il tempo è venuto di una politica meglio ispirata a un’esigenza di giustizia e di responsabilità sociale: riportare sotto controllo una forma di globalizzazione che ha fatto crescere in modo abnorme la ricchezza finanziaria e le disuguaglianze penalizzando le classi medie e più povere dei cittadini dei paesi sviluppati ma anche la parte più debole della popolazione mondiale che in Africa, in Asia, nell’America centrale e meridionale ha pagato il prezzo del decollo.
Alla globalizzazione dell’economia doveva – e deve – corrispondere la globalizzazione dei diritti civili e sociali e ciò sarà possibile solo se un nuovo internazionalismo democratico e un nuovo cosmopolitismo sociale e civile influenzeranno e prenderanno per mano Governi e Stati. La prospettiva d’avvenire è quella che mira a rafforzare e sviluppare le istituzioni democratiche ai livelli regionali e globali non per ridimensionare le capacità d’azione dei singoli Stati, ma per favorire nuove possibilità e modalità di mutuo sostegno tra i popoli e di accesso diffuso alla partecipazione dei cittadini.

La prima questione da affrontare in un’ottica cosmopolita è l’incombere del surriscaldamento climatico che rappresenta per l’umanità una minaccia mortale. Le iniziative che possono essere intraprese da individui, aziende e governi sono numerose, ma per essere efficaci devono essere elevate e concertate a livello globale. Quando si tratta del clima, l’isolazionismo nazionale può servire a poco. Non a caso è stato l’Onu a proporre gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, noti anche come Agenda 2030, che fissano una serie di 17 obiettivi sistemici.

Una seconda questione di portata globale investe la rivoluzione digitale. Le piattaforme tecnologiche incidono sulla democrazia senza dover tenere in considerazione problemi di affidabilità. Gli algoritmi che elaborano i Big Data potrebbero favorire dittature digitali in grado di concentrare tutto il potere nelle mani di poche élite: chi controlla i dati e le principali piattaforme acquisisce un potere senza precedenti. Ma si pensi anche ai rischi degli impieghi politici dell’intelligenza artificiale e del demandare l’elaborazione delle politiche a strutture algoritmiche tecnocratiche e non democratiche. Anche per questo occorre aggiornare l’agenda antitrust e discutere l’idea che l’ecosistema digitale – chiunque lo agisca – sia regolato proprio come una utility, un servizio pubblico essenziale chiamato a rispondere del suo operato.

Un terzo problema di cooperazione internazionale è quello dell’emigrazione: speranza e tragedia dell’umanità derelitta dei paesi in via di sviluppo che i paesi prosperi vivono come immigrazione ad un tempo bisogno economico e demografico e fattore di ansia che alimenta pulsioni xenofobe. Ora, nessuno Stato può sopravvivere senza controllare i propri confini. La democrazia ha bisogno di un demos chiaramente delimitato al fine di prendere decisioni, perché occorre sapere chi è responsabile e nei confronti di chi. Per questo è necessario non respingere o accogliere a priori ma decidere quale e quanta immigrazione è conveniente e gestibile. I flussi migratori si possono ridurre creando sviluppo nei paesi di provenienza e si possono governare riaprendo canali di immigrazione regolari. L’Unione Europea deve assumere la responsabilità generale di organizzare le migrazioni tenendo conto dei bisogni propri e di quelli degli stati donatori di manodopera.

La corsa di una globalizzazione senza regole – ricordiamo la crisi finanziaria del 2007/2008 – ha trovato vecchi e nuovi ostacoli nel risorgere dei protezionismi, nella nuova invalicabile frontiera della minaccia alla sostenibilità ecologica dunque alla vita e da due anni di un’emergenza pandemica che può protrarsi e replicarsi dopo aver già lasciato sul terreno più di 5 milioni di morti.

Ma guai a trascurare la dimensione politica internazionale. La socialdemocrazia europea non può essere muta, inerte, divisa di fronte al risorgente conflitto economico e geopolitico tra le grandi potenze. USA, Cina, Russia animano tensioni alle nostre porte, la Brexit, la crescente divaricazione coi paesi di Visegrad, l’emergere di nuovi attori regionali ai confini meridionali e medio orientali rischiano di condannare un’Europa debole e disarmata a un ruolo ininfluente o subalterno. Anche per questo l’Unione Europea deve essere riprogettata nella prospettiva che si è data: il Next-EU, delle nuove generazioni europee. L’idea ispiratrice è quella di “Una Giovane Europa potenza politica federata” fondata sulla difesa e la sicurezza comuni (un esercito europeo integrato con la NATO) e sulla condivisione della cittadinanza. La difesa comune non è solo questione di armi: senza un rilancio ideale dell’idea originaria che era e deve tornare ad essere quella di una comunità condivisa dai cittadini l’idea europea non progredisce verso nessun traguardo. Confini, diritti e doveri comuni esigono un impegno sistematico al superamento delle barriere linguistiche e culturali tramite percorsi di istruzione, formazione professionale, universitaria e di ricerca fondati sull’integrazione e su scambi generalizzati frequenti e durevoli di studenti di ogni classe alloggiati presso le famiglie e nei campus. Anche la difesa e la sicurezza comuni saranno meglio fondate a partire da leve di servizio civile e militare assolte in diversi stati.

La transizione digitale del continente è un’occasione ma anche un rischio se guidata dai soli imperativi economico-sistemici e se divisa in una frammentazione priva di regole. O l’UE sarà capace di dare forma e norme al globalismo, o sarà il globalismo a farlo, sopra di noi e senza democrazia. L’Europa del metodo intergovernativo è stanca e obsoleta. Bisogna muovere verso un’Europa guidata dal federalismo nella sua interpretazione originaria, quella di Colorni e Spinelli, contraria ai nazionalismi ma anche al super stato europeo fecondo di regole burocratiche ma inane a mantenere la promessa di far contare l’Europa nel mondo globale. Quel che occorre è una distinzione chiara tra ciò che spetta all’Unione e ciò che spetta alle singole nazioni: una dimensione e un governo sovranazionale europeo eletto dal Parlamento per le questioni essenziali di sicurezza, politica estera e di difesa, per le innovazioni tecnologiche ed economiche d’avvenire – per esempio una piattaforma digitale europea in grado di competere con i giganti americani e asiatici – quasi tutto il resto è bene sia appannaggio delle nazioni.

La centralità degli Stati-Nazione è lo spazio della democrazia dei moderni. Alle aperture talvolta azzardate prodotte dai flussi economici molti reagiscono in nome di nuovi localismi o di vecchi sovranismi. Non sottovalutiamo soprattutto nelle generazioni più anziane l’ansia di protezione anche identitaria indotta dalla globalizzazione e dall’omologazione. Ma la democrazia, per quanto debba continuare ad avere un radicamento nazionale, non può non prevedere un orizzonte a livello multiplo e deve essere aperta e integrata su spazi più vasti e articolati – primo fra tutti l’Europa. Essa consiste nell’impegno a sviluppare lo spazio politico in cui l’umanità cerca di vivere un’esistenza in cui i diritti fondamentali del liberalismo e del socialismo democratico – Stato di diritto e Stato sociale – possano essere realizzati in modo non contraddittorio approdando a forme di vita sociale in cui la libertà individuale aumenti ma nella responsabilità e nella solidarietà.

Le diseguaglianze di ricchezza, cresciute senza sosta nei paesi sviluppati a partire dalla fine degli anni ’80, hanno umiliato ampie fasce di popolazione alimentando rabbia e frustrazione. Spetta allo Stato o meglio all’intera sfera pubblica comprensiva della dimensione cooperativa, del volontariato e dell’impresa sociale di redistribuire la ricchezza investendo in servizi sociali per colmare o risarcire le disparità delle situazioni di partenza. Un esempio su tutti: l’istruzione è fondamentale fattore di uguaglianza di opportunità e il suo valore è decisivo nell’attuale economia della conoscenza, che va ripensata nell’orizzonte di un welfare creatore di un’infrastruttura, non solo materiale, di beni pubblici al servizio di tutti i cittadini.

Il socialismo democratico e liberale è civiltà del lavoro e vive nel rapporto con la sua continua evoluzione. La debolezza della sinistra in Italia è nella rarefazione dei suoi rapporti con il mondo del lavoro: l’autonomia sindacale prezzo pagato all’unita delle confederazioni ha cancellato la loro rappresentanza politica. Abolito il legame socialdemocratico tra partito e sindacati dei lavoratori entrambi si sono indeboliti: i sindacati non hanno garanzie di approdo quando le loro rivendicazioni hanno portata generale e non possono influenzare i loro iscritti che attratti dalle parole d’ordine anti immigrati e anti globalizzazione votano a destra. Quel rapporto va ricostruito e per farlo non basta concentrare l’attenzione sulle disuguaglianze una volta che queste si sono prodotte e guardare soltanto alla redistribuzione.
Il contributo delle correnti di socialismo liberale che rinnovandola rafforzano la socialdemocrazia è quello di chi considera essenziale, decisivo il ruolo delle imprese – grandi, medie, piccole dell’industria, del commercio, dei servizi, delle professioni – al benessere e alla crescita collettiva. Proprio in quest’ottica cooperativa e non antagonista pensiamo necessario intervenire nei luoghi in cui le disuguaglianze si creano, e cioè nel processo produttivo. Non solo al livello della produzione materiale, ma anche di quella immateriale va riequilibrato il potere del lavoro rispetto a chi dispone in modo unilaterale, oltre che del potere, anche delle conoscenze. Se, come recita l’art. 1 della Costituzione, “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, è perché il lavoro è costitutivo della soggettività e della dimensione pubblica, quindi della politica. Si tratta, per un verso, di restituire la dignità e l’autonomia del lavoro garantendo l’efficacia erga omnes dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali “rappresentative”. Va stabilita una soglia minima legale per il salario orario di ogni lavoratore, vanno rafforzate le capacità ispettive di chi deve impedire il ripetersi quotidiano delle “morti bianche” chiarendo in premessa chi è responsabile della sicurezza aziendale e perciò istituendo presso le procure uffici specializzati e stabilendo sanzioni severe per gli inadempienti.
Non basta: anche in Italia vanno innestate le esperienze più avanzate di partecipazione proprie della socialdemocrazia scandinava e tedesca (Mit-Bestimmung) superando le resistenze padronali e anche quelle del sindacalismo avvinto all’antagonismo classista. Il fine deve essere quello di condividere con i lavoratori le responsabilità di gestione non solo quelle direttamente produttive ma anche quelle del welfare aziendale.
Il grande insegnamento della civiltà moderna è che lavoro e libertà, società e politica sono aspetti diversi di una sola realtà. Per questo l’esclusione o la marginalizzazione delle donne e dei giovani dal mondo del lavoro si riverbera a cascata e perpetua la loro subalternità anche in molti altri ambiti della vita. Un’istruzione di qualità, il lavoro e un welfare moderno consentono alle donne e ai giovani di organizzare autonomamente la loro vita e di partecipare pienamente alla vita sociale. Viceversa, l’inoccupazione giovanile e femminile, la discriminazione e la disparità nel lavoro e nei salari tra uomini e donne, tra giovani e adulti non solo sono ingiuste e innaturali per chi le subisce ma danneggiano l’intera società frenando la crescita economica, il riequilibrio demografico e la stessa rivoluzione digitale che come in tutto il mondo solo le nuove generazioni sanno interpretare e padroneggiare.

Porteremo queste nostre idee all’Assemblea dei circoli dell’Avanti! e nel dibattito pubblico senza altre frontiere se non quelle che derivano dai nostri principi umanitari: dunque no al razzismo, no al populismo, no al sovranismo sia declinato come nazionalismo sia come ‘primatismo’ – dell’uomo sulla donna, dei bianchi su altre etnie e culture no anche a chi pretende ciò che è impossibile a Dio: cancellare il passato e la storia.

Con l’Avanti! i suoi circoli, i suoi amici parleremo a chi vuol parlare con noi, a cominciare da tutti i socialisti di oggi e di una volta, siano essi nel Psi o abbiano condotto esperienze diverse o militino in altre formazioni amiche o alleate come i radicali, i verdi, Azione, il PD con il quale condividiamo l’appartenenza ai Socialisti e Democratici europei, i liberaldemocratici laici e cattolici. Guardando – e talora partecipando – alle iniziative di chi immagina di unire i riformisti abbiamo posto la domanda: unirci per fare che cosa? Da Azione, da Più Europa, da interlocutori del PD e di Forza Italia abbiamo avuto risposte nel merito delle questioni sollevate
che suggeriscono di continuare il dialogo. Non così da chi confonde il riformismo con un centrismo trasformistico intenzionato a lucrare su un’ipotetica utilità marginale buona solo per carriere personali.
Siamo alla vigilia di cruciali impegni costituzionali e di nuove iniziative di governo. Spenderemo le nostre parole per l’elezione di un o una Presidente della Repubblica non di parte, garante dell’Unità Nazionale come impone la Costituzione e dotato o dotata dell’autorevolezza necessaria. Ci preoccupa la possibilità che si interrompa il ciclo positivo inaugurato dal governo Draghi e nell’esclusivo interesse della Nazione vorremmo durasse fino al termine della legislatura.

Claudio Martelli con Stefano Carluccio e Luca Taddei


Nel 125° anniversario del primo numero l’Avanti! rinato cresce e si organizza.
La rete 1° Maggio Associazione di mutuo sostegno degli Amici dell’Avanti! si dà l’obbiettivo di promuovere nel 2022 mille nuovi abbonamenti all’Avanti! e 100 nuovi circoli di Amici dell’Avanti. L’Associazione fornirà indicazioni, sostegno organizzativo e oratori per le iniziative e gli incontri culturali sociali sindacali e politici. 3 nuovi abbonamenti al giorno 2 nuovi circoli a settimana si ottengono – con un po’ di sforzo – se ogni abbonato ne trova un altro e se ogni circolo ne promuove uno nuovo in una città o in un paese vicino. Parallelamente la Direzione dell’Avanti! è impegnata a potenziare la sinergia con la UIL e a incrementare nel 2022 il numero delle edicole che distribuiscono il nostro giornale.
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