Il report degli osservatori dell’OSCE parla molto chiaro. A compromettere la regolarità del risultato elettorale che ha portato alla riconferma Orbàn in Ungheria e Vučić in Serbia non sono stati i brogli denunciati da diverse Ong, inerenti lo spoglio delle schede provenienti dai cittadini residenti all’estero (con posizioni più morbide ed europeiste), ma la conduzione della campagna elettorale, nettamente falsata al punto di pregiudicarne l’esito.
La strumentalizzazione dei sondaggi al fine di condizionare fortemente l’opinione pubblica condotta da giornali e televisioni pubbliche e private, asservite e spesso legate ai due candidati sovranisti con posizioni euroscettiche, ha tenuto banco per settimane a livello nazionale.
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Sfiduciato dal Parlamento montenegrino, cade il Governo guidato per appena 100 giorni dal Primo Ministro Dritan Abazović. Ad aprire la crisi è stata la rottura dell’alleanza avviata ad aprile con il Partito Democratico dei Socialisti guidato da Milo Djukanović, a seguito di un contestato accordo con la Chiesa ortodossa serba (SOC).
Al Patriarca Porfiry sarebbero state date garanzie circa il mantenimento della proprietà di tutti gli immobili statali in concessione alla Chiesa, da sempre su posizioni filo-serbe. Sapete qual è stato uno degli effetti più immediati del ribaltamento della recente sentenza Roe v. Wade, negli Stati Uniti? Manifestazioni pro-abortiste a parte, un forte aumento delle richieste di vasectomia. A seguito del contestato verdetto con cui per 6 a 3 la Corte Suprema ha posto fine a quasi 50 anni di diritto all’interruzione della gravidanza, “Google Trends” riporta un picco improvviso di due richieste: “vasectomy” e “are vasectomies reversible”.
Il 23 agosto si è tenuto il secondo forum internazionale “Crimea Platform”, un progetto di consultazione e coordinamento finalizzato a migliorare l’efficacia della risposta internazionale all’occupazione russa della Crimea. Hanno preso parte al summit i rappresentanti di 47 Paesi e organizzazioni, tra cui tutti gli Stati membri del G7 e il Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg. Il Cancelliere tedesco Scholz, i Primi Ministri canadese Trudeau e giapponese Kishida hanno presenziato personalmente online.
Tutti quanti concordano sulla necessità di una politica comune di non-riconoscimento della tentata annessione della Crimea. La questione della classificazione dei documenti, spiegata L’autorità di classificare e declassificare un documento governativo americano rientra nelle facoltà di una sola persona, con poteri quasi assoluti: il presidente degli Stati Uniti. Nonostante Donald J. Trump ne abbia ricoperto la carica per quattro anni, ciò non lo esenta da responsabilità e soprattutto conseguenze pesantissime. Al tycoon viene contestato di essersi appropriato di documenti governativi di assoluta rilevanza, la cui eventuale diffusione potrebbe compromettere gravemente la sicurezza nazionale. Trump si difende asserendo di aver declassificato i documenti rinvenuti a Mar-a-Lago, durante gli ultimi giorni della sua presidenza. Ma ciò non lo esenta affatto da responsabilità gravissime, delle quali dovrà rendere conto agli inquirenti e agli americani.
Il giorno dopo aver mandato in fumo più di 100 milioni di dollari in missili e droni, neutralizzati dalla contraerea ucraina, per la prima volta dal 24 febbraio la Federazione Russa accusa ufficialmente gli Stati Uniti di essere intervenuti direttamente nel conflitto.
L’attacco missilistico russo del 2 agosto è stato forse la seconda disfatta peggiore dall’inizio del conflitto dopo l’affondamento della nave da guerra Moskva, gioiello della marina militare di Mosca silurato dai Neptune ucraini. Come nel ’39, ancora una volta l’Ungheria sceglie la parte sbagliata della Storia. La recente visita a Mosca del suo Ministro degli Esteri Peter Szijarto rompe il fronte del blocco diplomatico imposto dall’Occidente al regime di Putin. Nessun delegato ufficiale dei Governi euroatlantici metteva infatti piede su suolo russo dal 24 febbraio, ad eccezione del cancelliere austriaco Karl Neghammer, la cui visita fu concordata ad aprile con Kyiv per cercare (invano) di far ragionare il dittatore russo.
Dwight Eisenhower fu il primo ed unico Presidente degli Stati Uniti d’America a visitare Taiwan. Era il 18 giugno 1960: ad attenderlo nella piazza del palazzo presidenziale a Taipei trovò più di mezzo milione di taiwanesi che sventolavano bandiere americane e lo acclamavano a gran voce.
“Vivo la vita e scrivo di ciò che vedo”. Con queste poche, semplici parole Anna
Politovskaja esprimeva il suo lavoro, la sua passione. Ricorre in questi giorni il decennale dalla pubblicazione di “proibito parlare”, libro in cui la coraggiosa autrice nata a New York da genitori ucraini passa in disamina quattro situazioni da lei vissute in prima persona in cui emergono nella loro scabrosa realtà tutta la corruzione e la violenza di un regime criminale: la guerra in Cecenia, la tragedia del Teatro di Dubrovka in cui tentò una disperata mediazione con i terroristi, il massacro dei bambini a Beslan, durante la quale fu avvelenata, e l’attenta descrizione del sistema corrotto su cui si basa il regime dittatoriale russo. L’esercito russo è sfiancato. Male armato, e stremato. 41mila morti in neanche sei mesi e un numero di feriti almeno tre volte superiore hanno seriamente costretto Putin a riconsiderare gli obiettivi dell’”operazione militare speciale” in Ucraina. In un recente provvedimento, il dittatore russo ha rimosso il limite d’età all’arruolamento. Dagli Urali alla Siberia, passando per i mercenari di ogni dove, il Cremlino cerca disperatamente nuove forze. Ma non coscrive. Non può farlo. Putin non può in alcun modo dichiarare guerra all’Ucraina e applicare la Legge marziale nel suo Paese, perché in un colpo solo perderebbe il diritto di veto all’ONU.
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