All’inizio dell’operazione militare speciale, l’Occidente era preoccupato per la vittoria di Putin. Oggi, lo è per la sua caduta. Nelle ore precedenti l’invasione su larga scala del Paese, in Ucraina eravamo tutti fermamente convinti che la Russia avrebbe trovato qui un nuovo Afghanistan. Nella realtà è stato anche peggio: se lì Mosca lasciò 15mila uomini in 10 anni, qui il triste novero ammonta a 60mila in sei mesi. Quattro volte tanto, in un ventesimo del tempo. La ritirata russa da quel territorio martoriato anticipò d’una ventina di mesi la fine dell’Unione Sovietica, a cui il Kgb tentò d’opporsi in ogni modo. Ne ho scritto poco tempo fa, ricordando l’arresto del presidente del Kgb Vladimir Kryuchkov, a cui fu attribuita la responsabilità del fallito colpo di Stato del 1991.
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La disinformazione filorussa ha costruito una roccaforte di menzogne e falsità storiche intorno alla figura di Stepan Bandera. Fake news diffuse ovunque, usando persino un’immagine che ritrae il generale della Wehrmacht Reinhard Gehlen per indurre wiki-users impreparati a credere che sia lui. Stepan Andriyovych Bandera naque nel 1909 a Stary Ugrinov, nella Polonia austriaca comunemente detta Galizia -la cui capitale era Leopoli sotto il dominio monarchico asburgico del Sacro Romano Impero identificato come “Primo Reich”, e poi degli imperi austriaco ed austro-ungarico. Durante il periodo studentesco strinse contatti con alcuni gruppi patriottici sorti per liberare l’Ucraina dal giogo sovietico, sino ad unirsi all’Oun, l’organizzazione dei nazionalisti ucraini.
Le preferenze espresse alle urne questo weekend da brasiliani e lettoni confermano l’ondata populista vista in Italia e Svezia. Contrariamente ai sondaggi pre-elettorali che ne avevano previsto la debacle al primo turno, Bolsonaro andrà al ballottaggio con Lula. Il 48.4% ottenuto da quest’ultimo era largamente previsto, ma il 43.2% dell’attuale leader populista di destra decisamente no.
Si è concluso con successo il primo esperimento condotto dalla Nasa per proteggere il nostro Pianeta da un impatto potenzialmente catastrofico con un oggetto proveniente dallo spazio. Denominata “kinetic impactor”, questa tecnica prevede il lancio di una navicella spaziale controllata dalla Terra sino all’impatto contro il bersaglio.
La deriva illiberale ungherese, a più riprese condannata dall’Alta Corte di giustizia dell’Unione europea, assume connotazioni ogni giorno più inquietanti. Da anni Human Rights Watch denuncia il problema del condizionamento delle libertà in Ungheria. Dal 15 settembre è entrato in vigore un decreto secondo cui ogni donna che intende abortire dovrà per legge ascoltare il battito cardiaco del feto prima di confermare la sua scelta. La crociata conservatrice di Fidesz, votata alla costruzione di un’immagine cristiana e nazionalista, passa per l’indottrinamento del pensiero alla linea unica dettata dallo Stato e inizia in tenera età attraverso i libri di testo scolastici creati nell’Ofi, il centro di ricerca e sviluppo dell’istruzione gestito dallo Stato. In una lunga intervista, già tre anni fa la Cnn riportava l’imbarazzo di molti insegnanti ungheresi costretti a spiegare ai propri alunni il significato di vignette che ritraevano nei libri la Germania come una grossa scrofa che allatta maiali greci, spagnoli, belga e portoghesi mentre in disparte un felice maialino ungherese si gustava la propria erba.
A non prestar fede ai sondaggi, ci sarebbe da esser certi che alle prossime elezioni il Centrodestra si prenderà una scoppola indimenticabile. Gli ultimi tre anni hanno messo alla prova il buon senso di ognuno di noi. La Storia ci ha posti di fronte a scelte radicali, per cui è bianco o è nero. Scelte rivelatrici della nostra essenza, di come ci rivogliamo a noi stessi e al prossimo, della fiducia che riponiamo verso il genere umano. Ognuno di noi ha avuto occasione per mostrare quanto è rispettoso, solidale e presente verso persone che chiama amiche, oppure egoista e timoroso. Medesime opportunità hanno avuto i nostri politici. Chi dovrebbe rappresentarci, cioè. Guardando a Centrodestra, le hanno sbagliate tutte.
Il trend del fondamentalismo pacifinto è volto a strumentalizzare sui media il conflitto tra Azerbaigian ed Armenia, invocando gli occidentali a chiedersi se esistano popoli di serie A ed altri di serie B. Per cui, secondo loro, la domanda lecita sarebbe come mai nessuno scatti sull’attenti per inviare armi all’Armenia.
Cresce ogni giorno di più il fronte interno avverso a quella che ormai viene definita sui social network “operazione fallimentare speciale”. Qualche giorno fa, diversi membri del consiglio comunale di Smolny (la città in cui è cresciuto Putin) hanno sottoscritto una proposta formale ai deputati della Duma in cui richiedevano che il dittatore russo fosse esautorato dal proprio incarico con l’accusa di alto tradimento.
La controffensiva ucraina è un capolavoro di tattica militare moderna. Il silenzio assoluto imposto da Kyiv dopo l’ampiamente annunciata grande controffensiva per liberare Kherson ha permesso di cogliere di sorpresa gli invasori su più fronti, facendoli cadere in un tranello volto ad isolare dal conflitto quante più forze possibile, indotte a confluire in trappola come topolini. 25mila soldati russi e relativi mezzi sono ora bloccati sulla sponda ovest del Dnipr, incapaci di ricevere rifornimenti perché le vie d’accesso ai ponti Antonovskiy, ferroviario e di Nova Kakhovka sono state messe fuori uso dai colpi precisi degli Himars.
L’unica pallida parvenza di svolta diplomatica di questi ultimi mesi si è limitata all’accordo a 4 siglato da Ucraina, Federazione Russa, Onu e Turchia, riguardo lo sblocco delle esportazioni del grano ucraino, per scongiurare una catastrofe umanitaria mondiale. Dopo la stretta al rubinetto del gas, oggi Putin fa marcia indietro e smentisce pure quell’intesa faticosamente raggiunta, usando ancora la fame come strumento di ricatto per chiedere la rimozione delle sanzioni imposte dall’Occidente, cioè il cappio intorno al collo che sta provando disperatamente di allentare: ogni minaccia russa è volta ormai soltanto a quello.
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