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di Marco Cappa Dopo la pandemia di COVID-19, l'Italia registra una leggera diminuzione del numero di giovani Neet (Not in Education, Employment or Training), ma il nostro Paese continua a rimanere ai vertici della classifica europea con un tasso del 16,1%. Sebbene ci sia stata una riduzione rispetto agli anni precedenti, l'Italia si trova ancora in una posizione critica rispetto alla media europea. Nel 2023, la distanza tra la quota di Neet in Italia e quella dell'Unione Europea è scesa a 4,9 punti percentuali, un miglioramento significativo rispetto ai 10 punti di differenza registrati nel 2021. Questo dato mostra una progressiva convergenza verso la media europea, ma il cammino da percorrere è ancora lungo. In molti paesi dell'Unione, infatti, le politiche giovanili hanno ottenuto risultati più efficaci nel facilitare l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e dell'istruzione.
L'incidenza dei Neet varia notevolmente a seconda del percorso scolastico seguito. Nei licei, la quota si attesta al 14,5%, mentre negli istituti professionali sale al 24,3%. Questo dato evidenzia come il tipo di istruzione influenzi significativamente le prospettive future dei giovani italiani. Gli studenti dei licei, generalmente indirizzati verso percorsi universitari, mostrano una maggiore capacità di restare all'interno del sistema educativo o di accedere al mercato del lavoro rispetto ai loro coetanei degli istituti professionali. Accanto alla questione dei Neet c’è un altro dato preoccupante: l'incidenza della povertà assoluta tra i minori ha raggiunto il 14% nel 2023, il valore più alto dal 2014. Questo dato indica che un numero crescente di bambini e adolescenti vive in condizioni di grave deprivazione economica, con conseguenze potenzialmente devastanti per il loro sviluppo e il loro futuro. La povertà minorile non solo compromette la qualità della vita quotidiana, ma influisce negativamente anche sul rendimento scolastico e sulle opportunità di crescita personale e professionale. Inoltre, dobbiamo considerare che nel nostro paese l'età media in cui i giovani lasciano la casa dei genitori è di 30 anni, significativamente più alta rispetto alla media europea di 26,4 anni. Questo ritardo nell'autonomia dei giovani è spesso legato a difficoltà economiche, instabilità lavorativa e scarse opportunità di accesso al mercato immobiliare. L'alto costo degli affitti e la precarietà del lavoro rendono difficile per molti giovani italiani acquisire l'indipendenza economica necessaria per costruirsi una vita autonoma. Un'altra area di preoccupazione riguarda i risultati dei test Invalsi, che evidenziano una disparità geografica nella qualità dell'istruzione. Ben 14 dei 15 comuni con i peggiori risultati si trovano nel Sud Italia, sottolineando le differenze regionali nell'accesso a un'istruzione di qualità e le sfide specifiche che le aree meridionali devono affrontare. Questi risultati mettono in luce le disuguaglianze strutturali che affliggono il sistema educativo italiano, con conseguenze a lungo termine sulle opportunità di sviluppo socio-economico dei giovani del Sud. Nonostante i segnali positivi di un calo dei Neet e una riduzione del divario con la media europea, l'Italia deve ancora affrontare sfide significative per migliorare le prospettive dei suoi giovani. La povertà minorile, le disparità educative e la difficoltà nel raggiungere l'indipendenza economica sono problemi urgenti che richiedono interventi mirati e politiche efficaci per garantire un futuro migliore alle nuove generazioni. Per affrontare efficacemente queste problematiche, è necessario un approccio integrato che coinvolga diversi settori. Le politiche giovanili devono essere potenziate con interventi mirati all'istruzione e alla formazione professionale, migliorando l'accesso a percorsi di qualità e adeguati alle esigenze del mercato del lavoro. Inoltre, è fondamentale investire in politiche di sostegno alle famiglie e ai minori, per contrastare la povertà e le disuguaglianze economiche. Il miglioramento dei dati sui Neet rappresenta un segnale incoraggiante, ma l'Italia non può permettersi di abbassare la guardia. La riduzione del tasso di Neet deve essere accompagnata da una serie di misure volte a garantire che i giovani abbiano le risorse e le opportunità necessarie per costruire un futuro solido e prospero. Solo attraverso un impegno collettivo e una visione a lungo termine sarà possibile invertire la rotta e assicurare alle nuove generazioni un contesto socio-economico più equo e inclusivo.
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il fronte caldo tra israele e libano, il rischio di una escalation che può diventare guerra29/7/2024 di Giulia Cavallari La situazione in Libano è sempre più esplosiva nonostante la diplomazia internazionale da mesi, e soprattutto nelle ultime settimane, stia cercando di arginare le tensioni sempre più forti e pressanti lungo il confine caldo tra Israele e Libano.
Quella linea di confine che è conosciuta anche come "linea blu", ma che è sempre più rossa soprattutto nell'ultima settimana quando vi sono stati attacchi che hanno causato la morte di civili da entrambe le parti. Quella ennesima linea di confine pronta da esplodere in un Medioriente già infiammato. La preoccupazione è quella di un ulteriore aggravamento e peggioramento della situazione tra Libano e Israele e del rischio legato all'apertura di un nuovo fronte di guerra in un territorio che da decenni vive queste situazioni e dove il contingente ONU della missione UNFIL di cui fa parte anche l'Italia e per la prima volta la Farnesina ha lanciato un messaggio di vera e propria allerta ai concittadini italiani presenti nel territorio da quando è iniziato nell'ottobre 2023 il conflitto nella Striscia di Gaza tra Hamas ed Israele. Questa volta il nostro Paese si trova in una posizione molto delicata perchè fa parte di due diverse missioni: la prima è UNFIL con 1.292 persone oltre ai mezzi che si trovano in quell'area; l'altra missione è la MIBIL ed è una missione di addestramento delle forze di sicurezza libanesi. Per entrambe le missioni il Governo, almeno per ora, non sta pensando ad una evacuazione dei contingenti, ma certamente sono state rafforzate le misure di sicurezza. Qualora si dovesse arrivare alla soluzione estrema, vale a dire al ritiro, allora vorrà dire che la situazione è veramente grave. Stando alle notizie che giungono Israele sta già colpendo obiettivi di Hamas che si trovano nel Libano meridionale. Attacchi con droni nel Sud del Libano, attacchi con i jet da parte degli israeliani. Hezbollah lancia razzi nel nord di Israele. Ciò che desta estrema preoccupazione è l'intenzione di Israele e di Nethanyau di attaccare il Libano. Un piano che è già preparato da tempo, ma che solo nelle ultime settimane ha preso piede e il gabinetto di Netanyahu ha avuto il mandato per decidere sia i tempi che i modi della risposta contro il Libano in seguito all'attacco sulle alture del Golan che hanno causato la morte di almeno 12 bambini ed Hezbollah è stato individuato come responsabile di questo attacco e delle morti che ne sono seguite. Ovviamente è seguita la smentita da parte di Hezbollah secondo cui non sono stati loro a far partire il razzo che ha colpito il campetto da calcio causando la morte di giovani e bambini. L'eventuale attacco israeliano in Libano non sarà certo senza conseguenze sul piano geopolitico perchè già l'Iran con il presidente Masoud si è schierato dalla parte del Libano, così come la Turchia con Erdogan che soffia ulteriormente su una miccia già accesa paventando l'idea di invadere Israele. Il Libano ha avuto anche il sostegno degli Houthi che da mesi imperversano attaccando le navi commerciali che battono bandiera di Stati che in questi mesi hanno appoggiato-sostenuto Israele. Gli houthi, inoltre, possono contare sull'appoggio incondizionato dell'Iran che a sua volta appoggia il Libano. Questa volta il nostro Paese si trova in una posizione molto importante quanto delicata proprio per il ruolo che ricopre con le missioni UNFIL E MIBIL. Infatti in questi giorni e in queste ore la diplomazia italiana è impegnata a tessere una rete per scongiurare ed evitare un'altra guerra. E' la mossa principale, potremmo dire quella chiave per scongiurare la deflagrazione di un conflitto che avrebbe esiti infausti per l'intera area mediorientale e non solo. Proprio per questo motivo il governo e la Farnesina parlano con Israele, con il Libano, con l'Iran. Meloni stessa ha affermato di essere molto preoccupata per questo rischio di escalation. Telefoni caldi per tutti gli attori che, nel bene o nel male, hanno degli interessi in quell'area e quindi hanno anche interesse a che non scoppi un ulteriore conflitto. Nel frattempo gran parte degli Stati hanno chiesto ai loro cittadini di lasciare il Libano proprio a causa del degenerare della situazione politica ed estera in quell'area. Il Libano è ormai in stato di massima allerta, ma in massima allerta sono anche tutti gli attori internazionali e gli Stati che stanno cercando una soluzione diplomatica a questa ennesima miccia che rischia di divampare in un incendio incontrollabile senza dimenticare la drammatica situazione di Gaza in cui ormai la situazione umanitaria è collassata, in cui si parla di rischio di poliomelite e di malattie infettive in un'area dove non c'è più nulla. Da mesi lo scontro tra Israele ed Hezbollah ha raggiunto livelli senza precedenti anzi aumenta sempre più il rischio di scoppio di una vera e propria guerra senza dimenticare che i rapporti sono sempre stati molto tesi con una miccia sempre pronta ad esplodere. Ora la "palla" è nelle mani della diplomazia che avrà l'arduo compito di scongiurare lo scoppio di una vera e propria guerra. di Giulia Cavallari Domenica sera, alle 19:46 (ora italiana), Joe Biden ha annunciato il suo ritiro dalla corsa per le elezioni presidenziali di novembre.
Dopo il disastroso dibattito televisivo contro Trump e dopo settimane di dubbi, di pressioni, di stop ai finanziamenti della campagna elettorale è arrivata la notizia del suo ritiro. Notizia arrivata inaspettata anche se erano settimane che si parlava di questa opzione. Biden lo ha comunicato con la diffusione di una nota in cui dice che parlerà alla nazione e fornirà ulteriori dettagli e che continuerà a svolgere i suoi compiti di Presidente degli Stati Uniti d'America fino alla fine del mandato (20 gennaio 2025). Un comunicato indirizzato ai cittadini americani ("My Fellow Americans", "I konw none of this could have been done without you, the American people") in cui Biden ha ripercorso obiettivi che sono stati raggiunti negli del suo mandato presidenziale parlando degli USA come l'economia più forte del mondo e di un Paese che è stato in grado di fare storici investimenti in infrastrutture e lotta al cambiamento climatico fino al traguardo che ha visto la nomina della prima donna afroamericana alla Corte Suprema. Una scelta, come afferma Biden, non facile da fare, "ma ancora una volta ha messo questo Paese, il suo partito e il nostro futuro al primo posto". Anche Nancy Pelosi ha dichiarato che Biden è uno dei presidenti più importanti della storia americana e non va dimenticato il 'ruolo' che la Pelosi ha avuto proprio nella campagna di pressione che è stata fatta per portare Biden ha rinunciare alla campagna elettorale. Biden ha anche detto che intende sostenere la candidatura alla presidenza della sua attuale vice, Kamala Harris. Lo ha fatto pubblicando un tweet, dopo la lettera con la quale ha annunciato di ritiro dalla corsa per le presidenziali affermando che scegliere la Harris come vicepresidente è stata la scelta migliore. La decisione è giunta dopo settimane in cui da più parti si erano levate voci con cui si chiedeva a Biden di fare un passo indietro. Nonostante la sua "restintenza" a compiere questo passo, forte preoccupazione era stata sollevata anche (ma non solo) dai finanziatori della campagna elettorale democratica. Anche l'ex presidente Obama ha diffuso un comunicato in cui definisce la decisione di Biden "un testamento del suo amore per il Paese", ma non c'è riferimento a Kamala Harris. Obama ha fiducia nel fatto che gli esponenti dei Democratici americani sapranno individuare la migliore candidatura Ora spetterà alla Convention del Partito Democratico che si terrà a Chicago, tra il 19 e 22 agosto, decidere chi candidare alle presidenziali. Fanno parte della Convention circa 4000 delegati che sono stati eletti con le primarie lo scorso inverno e nella stragrande maggioranza dei casi sostenevano la nuova candidatura di Biden alla Casa Bianca. Ora, dopo il comunicato di Biden, saranno liberi di scegliere chi vorranno come candidato alle elezioni presidenziali. Alla Convention di agosto si sceglierà anche il nuovo vice. Quindi, questa volta, si dovranno adottare decisioni fondamentali per il futuro degli USA e anche dell'Occidente. Anche se in queste ore decine di attuali delegati, ma anche ex delegati alla Convention democratica hanno mostrato il loro sostegno alla Harris, la strada è ancora lunga. Se Kamala Harris riuscirà ad ottenere la nomination diventerà ufficialmente la sfidante di Trump che, con il ritiro di Biden, è diventato il nominee più anziano. Nella serata di domenica anche Kamala Harris ha pubblicato un comunicato con il quale ringrazia Joe Biden e ha confermato la volontà di correre e "guadagnarsi e vincere la nomination" e di essere disposta a fare tutto ciò che sarà necessario per sconfiggere Trump alle prossime presidenziali di novembre 2024. La scelta di Biden di ritirarsi dalla corsa per la riconferma alla Casa Bianca rappresenta certo un argomento molto forte per gli oppositori repubblicani e Trump che con il suo consueto stile "sobrio" afferma che battere Harris sarà più facile e che si ritira il peggior presidente della storia USA. Ora i Democratici americani sono di fronte alla sfida più delicata e difficile con l'urgente necessità di portare avanti un "processo trasparente" per scegliere il nuovo candidato come affermato in un comunicato rilasciato in serata. Un candidato o una candidata che avranno il delicatissimo compito di tenere unito l'elettorato democratico e convincere gli indecisi nella partita più importante per la democrazia americana. meloni contro von der leyen: il dialogo bruciato e l'isolamento dell'Italia, paese fondatore dell'UE18/7/2024 di Giulia Cavallari Giovedì pomeriggio Ursula Von der Leyen è stata rieletta come Presidente della Commissione europea con 401 voti favorevoli (per la rielezione erano sufficienti 361 voti).
Fino a qualche giorno fa c'erano dei dubbi sulla sua rielezione, ma nella giornata di giovedì si è profilato in maniera chiara e netta la sua riconferma nel momento in cui è arrivato l'endorsment da parte dei Verdi. Ursula Von der Leyen fa parte del Partito Popolare europeo che conta, ad oggi, 188 eurodeputati. Il voto per l'elezione è stato segreto e quindi non si può sapere con certezza chi altro ha votato per la Von der Leyen oltre ai voti che erano già stati "contati". Hanno votato contro 284 eurodeputati tra cui quelli del partito di Giorgia Meloni che fino all'ultimo si è mostrato indeciso, ma chi ha un po' di dimestichezza con queste dinamiche, avrebbe già potuto immaginare l'epilogo. Giovedì mattina durante il suo discorso al Parlamento europeo ha elencato quelli che sono stati gli obiettivi perseguiti e raggiunti in questi anni durante il primo mandato da Presidente della Commissione e quelle che saranno le sue intenzioni e quello che sarà il piano di azione nel caso di rielezione. Poi avvenuta nel pomeriggio di giovedì. I temi toccati sono quelli della competitività, della necessità di investire nel campo della difesa, ma affrontato anche il tema della crisi abitativa e de diritti dei lavoratori e delle donne. Non sono solo questi, ma possiamo dire che sono abbastanza trasversali e devono essere così per garantire l'elezione e di avere "la maggioranza Ursula". Non poteva certo mancare la critica ad Orban che essendo, fino a dicembre 2024, presidente del Consiglio dell'Unione Europa ha deciso- senza il placet dell'Europa- di incontrare prima Zelensky, poi Putin, Xi Jinping e infine anche Trump. Viaggi che Obran ha definito "missioni di pace", ma che sono state organizzate senza alcun consulto con i partner europei. Ma venendo al "nostro" orticello tricolore, cosa ha fatto Giorgia Meloni? Quale linea ha scelto di dettare agli europarlamentari del suo partito che sono entrati a far parte del gruppo ECR? Meloni e i suoi hanno scelto di votare contro Ursula von Der Leyen. Nel momento più delicato per la storia dell'Unione Europea, Giorgia Meloni messa alle strette e costretta in qualche modo a fare una scelta ha preferito, ancora una volta, la logica di partito. Ha scelto di schierarsi tra gli ultra sovranisti che siedono al parlamento UE e che fanno parte dello stesso gruppo ECR e non solo. Poteva essere statista facendo gli interessi dell'Italia, ha scelto chi l'Europa la vuole affossare. L'Italia, uno dei Paesi fondatori dell'Unione Europea trattata in questo modo da Giorgia Meloni e i suoi che forse non hanno ancora capito cosa vuol dire governare e soprattutto governare un Paese che, nel corso degli anni, ha avuto una sua storia e che con Altiero Spinelli e il Manifesto di Ventotene avevano gettato le basi per quella che sarebbe stata l'Unione Europea. Il risultato ottenuto è quello dell'isolamento. Un capo di governo che antepone gli interessi personali e di partito all'interesse esclusivo della Nazione come recita la formula del giuramento. Formula ("Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione") che Meloni ha pronunciato davanti al Capo dello Stato quando il nuovo governo è stato chiamato a giurare nell'ottobre 2022. Oggi Giorgia Meloni e il suo partito non hanno esercitato le funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione. Loro parlano di "metodo" e "merito", noi invece dovremmo parlare di una Nazione costretta fare una figuraccia (l'ennesima). Ricordiamo anche Giorgia Meloni si era astenuta durante il Consiglio europeo a fine giugno e già li si era profilata questa linea a danno dell'Italia e del ruolo che il nostro Paese potrebbe (e dovrebbe) avere nell'Unione Europea. La decisione di Meloni e dell'ECR hanno mostrato- ancora una volta- quanto lei sia vicina al suo fraterno amico Orban, quanto sia vicina all'estremismo conservatore e alla destra radicale. Ma quindi i membri di questo governo italiano composto da una parte da Forza Italia (che ha votato per Von der Leyen) e dall'Fratelli d'Italia e Lega (che hanno votato contro Von der Leyen) cosa intendono fare? Se non sono uniti nelle decisioni a livello comunitario come possono esserlo a livello nazionale? Quel che è certo è che Giorgia Meloni e il suo partito hanno relegato nell'angolo, nell'estrema periferia l'Italia, uno dei Paesi fondatori dell'UE. Un personaggio politico, Meloni, incapace di avere visioni diverse, ma necessarie per il bene del Paese e quindi della collettività. Si professano difensori della Patria, ma non la si "difende" così facendo perdere al nostro Paese la credibilità che dovrebbe avere, facendogli perdere quel senso di orientamento necessario per navigare in acque agitate. Proprio come quelle acque che si agiteranno, ma a danno dell'Italia. Chissà cosa sarà passato nella testa della Meloni per arrivare ad adottare quel tipo di decisione, se è solo un capriccio o se davvero siamo in presenza di politici senza stoffa e incapaci di capire e comprendere quando il gioco diventa serio e si deve e giocare anche scendendo a compromessi, ma avendo sempre e comunque come faro l'interesse esclusivo della Nazione. Meloni continua ad essere convinta che anche con questo suo atteggiamento l'Italia continuerà a contare o avrà un ruolo di un certo livello nel consesso europeo? Quel che si vede al di fuori dei "confini" italiani è quella di un governo incapace e inaffidabile a gestire partite che spesso hanno una unica direzione, ma che quella direzione è necessaria non al singolo cittadino o agli europarlamenti di Fratelli d'Italia o a Giorgia Meloni, ma è necessaria ad una Nazione intera. Meloni continuerà ancora a proporre Fitto (attuale ministro del PNRR e anche qui avremmo molto di cui parlare sul come lo stanno gestendo) come Commissario UE? Ma così isolata riuscirà nella sua impresa? E' importante avere persone capaci ed esperte, ma soprattutto- come evidenziato da Von der Leyen- è importante che siano persone che condividono l'impegno europeo. A questo punto, dopo questa figuraccia (un'altra), Giorgia Meloni dovrebbe recarsi in Parlamento, come già chiesto dalle opposizioni ("Venga a spiegare al parlamento italiano ciò che il suo partito non ha avuto il coraggio di spiegare al parlamento europeo. Quello che è successo è molto grave e molto poco serio", ha dichiarato Giuseppe Provenzano, deputato e responsabili Esteri dem) e parlare e chiarire oltre che spiegare- senza però arrampicarsi sugli specchi- il perché di questa decisione e perché la scelta di isolare l'Italia e relegarla a fanalino di coda schierato con i peggiori sovranisti ultra conservatori.l' di Giulia Cavallari Il ballottaggio che si è tenuto ieri ha portato ad un risultato chiaro relegando Le Pen e Bardella al terzo posto (con Bardella che parla di "alleanza del disonore" che ha negato il potere a Rassemblement National), facendo “non crollare” Macron e il suo partito arrivato secondo e portando Melenchon e il Fronte Popolare al primo posto (Nuovo Fronte Popolare (NFP), l’alleanza di sinistra che riunisce tra gli altri il Partito Socialista, il Partito Comunista, il partito ecologista Europe Écologie Les Verts e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon). Contro ogni aspettativa.
L’estrema destra tanto osannata anche da alcuni politici italiani ha perso. Salvini, con i suoi soliti modi “pacati” e molto poco istituzionali aveva parlato di tradimento della volontà del popolo francese che però, se non se ne fosse accorto (e la cosa non ci stupisce), il popolo si è espresso. Rassemblement National è ben lontano dalla agognata maggioranza assoluta. I francesi hanno scelto da che parte stare. Lo hanno fatto con il gesto più semplice e potente del mondo: andare a votare. Una clamorosa sconfitta per la Le Pen ai ballottaggi e neanche questa volta il Rassemblement National arriva al governo. Il popolo sul quale Le Pen e Bardella avevano fatto affidamento li ha "traditi" infliggendo forse la sconfitta più pesante ai ballottaggi perchè, mai come questa volta, avevano visto la vittoria. Una partita ad altissimo rischio giocata da Macron che però conosce alla perfezione il sistema elettorale francese. Proprio il sistema elettorale maggioritario a doppio turno della Quinta Repubblica ha sempre funzionato da freno per gli eccessi estremistici. E ha funzionato anche questa volta. Ma è ormai un Macron che ha perso il piglio che lo aveva contraddistinto fin dalla sua prima elezione che ha lasciato, nel corso soprattutto di quest'ultimo mandato, spazio al populismo che è proliferato. La sinistra si é unita, l’argine contro l’estrema destra della Le Pen ha retto e lei, ancora una volta, é costretta a rinviare “la festa”. 218 desistenze strategiche per arrivare a questo risultato che ha sicuramente del “clamoroso” perché ben oltre le aspettative, ma che hanno consentito di bloccare l’avanza dell’estrema destra. L’elevata affluenza alle urne (che ha superato anche quella del primo turno) ha raggiunto il 67,1% -la più alta dal 1997-evidenzia come i cittadini francesi abbiano scelto di agire, di essere protagonisti, di essere parte attiva del proprio futuro e del futuro di tutta la Francia. Ciò non significa che sarà facile formare un governo, non significa che tutto si “risolverà” con uno schiocco di dita, ma si avrà la certezza che l’estrema destra é fuori dai giochi. Non sarà facile perchè l'Assemblea Nazionale è spaccata. La Francia si avvia verso un periodo di incertezza come non si è mai verificato nella sua storia repubblicana. Ora, Macron non potrà- almeno per il prossimo anno, procedere allo scioglimento delle Camere e proprio per questo motivo sarà fondamentale cercare accordi tra le forze politiche. Bisognerà capire chi vorrà (o meglio sarà disposto) a ricoprire un ruolo- d'ora in poi molto delicato- che è quello di primo ministro perchè la coalizione è davvero molto eterogenea. La sinistra dovrà “fare i conti” con fratture sociali che appaiono insanabili, dovrà “riappacificare” città e periferia, dovrà lavorare sui delicati dossier economici perchè la situazione dei conti pubblici francesi mostra alcune crepe tenendo conto di quelle che sono le "promesse elettorali" del Fronte Popolare che faticano a conciliarsi con la realtà dei conti pubblici francesi, ma anche (e soprattutto) dovrà soffermarsi sui temi sociali e sul welfare, su scuola e istruzione. Insomma, su tutti quei temi su cui la sinistra fonda (o perlomeno dovrebbe) fondare il suo esistere. Ora é il momento forse della “famosa” cohabitation (più o meno forzata) e della designazione di un percorso comune per Mélenchon e Macron, due politici con idee molto diverse, ma da oggi necessariamente dovranno trovare un senso di “unità” e dialogare nel nome della Francia e del popolo francese forse senza però quell'ipotesi di grande coalizione. Probabilmente ci sarà un governo "tecnico" tipo quelli cui siamo abituati in Italia, ma è ancora presto per dare questo tipo di analisi perchè l'Eliseo attenderà di avere chiaro la composizione dell'Assemblea Nazionale. di Giulia Cavallari Il Consiglio europeo ha dato il via libera ai top jobs in seguito alle indicazioni della trattativa tra Ppe, Pse e liberali. Vale a dire le cariche apicali dell'Unione.
I nomi principali sono quelli di Ursula Von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas. Un negoziato lungo, complicato che ha portato al raggiungimento di un accordo tra popolari, socialisti e liberali lasciando, di fatto, fuori gli estremisti di destra. Von der Leyen è stata proposta all'Eurocamera dal Consiglio europeo per un secondo mandato a capo della Commissione UE (e dovrà essere confermata dal Parlamento UE), Kallas per il ruolo di Alto Rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Costa come nuovo presidente del Consiglio europeo. Il comportamento tenuto dalla Presidente del Consiglio italiano è quello di chi si forse si è risentita perchè non gli è stato possibile toccare palla come avrebbe voluto. Al punto che la Von der Leyen ha indicato la volontà di un perseguire un negoziato diretto con la Meloni e quindi con l'Italia specificando però che tratterà con lei come partner istituzionale e non come leader del gruppo dei Conservatori. Eppure l'Italia è un Paese fondatore dell'Unione. Come sia possibile che un capo di governo abbia scelto la linea della 'barricata' anzichè quella del dialogo costruttivo con le altre forze e con gli altri rappresentanti degli altri Stati membri UE è uno dei tanti misteri all'italiana. Un comportamento quello di Meloni che trascina l'Italia fuori dal centro di comando ed emarginata ritrovandosi cosi all'opposizione. Anteporre i propri interessi di partito agli interessi e al ruolo istituzionale che Meloni ricopre. L'unico che si è schierato solo in parte con Meloni è l'ungherese Orban che si è astenuto su Von der Leyen, ha votato per Costa e si è astenuto su Kallas. Un comportamento quello di Meloni che ha portato il Presidente del Ppe, Weber, a dichiarare che "L'Italia è un Paese del G7, leader nell'UE e i suoi interessi vanno presi in considerazione". Dichiarazioni che sono state fatte per tendere la mano ad un capo di governo ed evitare che fosse completamente esclusa dai negoziati. Giorgia Meloni parlando ai microfoni dei giornalisti ha affermato che "la proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni. Continuiamo a lavorare per dare finalmente all'Italia il peso che le compete in Europa". Peccato che il peso che ha da sola l'Italia non serva a nulla. Si agisce tutti insieme, si affonda da soli. Tajani, in qualità di ministro degli esteri, ha dichiarato di voler l'Italia al centro del rafforzamento dell'UE e quindi di far rispettare il risultato delle elezioni. Abbiamo vinto e vogliamo che l'Italia continui ad essere al centro del rafforzamento dell'UE. La partita che si sta giocando coinvolge anche Raffaele Fitto, attuale ministro del governo Meloni, per il ruolo di Commissario al Bilancio con delega al PNRR e Coesione. Rutte, premier olandese, ha evidenziato come l'Italia non sia esclusa, ma il nodo della questione ruota intorno alla impossibilità di dialogare con Ecr (gruppo dei conservatori e riformisti europei) di cui fa parte anche il Partito della Meloni e che ha eletto soltanto 83 parlamentari e il gruppo Identità e Democrazia di cui fa parte la Lega solo 58 seggi. Anche Scholz aveva già avvertito della impossibilità di collaborazioni con Ecr e quindi nemmeno con Meloni. Alla fine di questa lunga giornata Meloni, e quindi l'Italia, si è astenuta su Von der Leyen e ha votato contro Costa e contro Kallas, secondo quanto riportato dalle fonti diplomatiche. Salvini poi, con i suoi soliti modi pacati che lo contraddistinguono, ha parlato di "colpo di stato" (testuali parole "Quello che sta accadendo in queste ore fra stasera e domani, puzza di colpo di Stato. Sembra un colpo di Stato perché milioni di europei hanno votato in Italia, in Francia, in Germania e in Spagna e hanno chiesto di cambiare l'Europa, hanno chiesto un cambiamento dell'Europa da tutti i punti di vista. E che cosa ti ripropongono quelli che hanno perso voti? Le stesse facce. Quindi, Ursula von der Leyen, un socialista al Consiglio europeo, una persona indicata da Macron per la politica estera"). Resta il fatto che con le elezioni europee di giugno 2024 si è modificata solo in parte la composizione del Parlamento europeo anche se non ci sono stati grandi cambiamenti rispetto ai rapporti di forza della precedente legislatura appena conclusasi. Nella precedente legislatura i gruppi Ppe e Pse e Renew avevano sostenuto la Von der Leyen. Oggi possono contare su un totale di 399 parlamentari e alla Von der Leyen basterebbero 361 voti (50% più uno). Il gruppo ECR è ancora in via di negoziazione per giungere ad un accordo ufficiale soprattutto alla luce della posizione della Polonia ed entro il 4 luglio si dovrebbe giungere ad un accordo. Ecr come gruppo può contare su 83 europarlamentari che se si sommano a quelli del Ppe e di Identità e democrazia possono arrivare a 330 parlamentari europei, vale a dire 31 in meno rispetto alla soglia per la maggioranza assoluta. Questo significa che è esclusa l'ipotesi di una Commissione europea retta solo da partiti di destra anche alla luce del fatto che gli altri gruppi parlamentari non hanno intenzione di stringere accordi con l'estrema destra e con gli euroscettici. Vedremo quale sarà il ruolo e il peso dell'Italia nel prossimo scacchiere europeo perchè non possiamo permetterci errori e quindi è fondamentale avere approcci costruttivi e dialogare con le altre forze non estremiste se, come afferma Tajani, si vuole una "Italia che continui ad essere al centro del rafforzamento dell'UE". Ma dalle notizie e dichiarazioni giunte in queste ore si profila per il nostro Paese una grave forma di isolamento soprattutto se teniamo conto anche della non propriamente florida situazione economica e finanziaria in cui si trova l'Italia e che il livello del debito pubblico resta molto alto e che abbiamo bisogno di avere anche uno scudo europeo e soprattutto il nostro debito pubblico è anche in mani straniere. Sono tanti i fattori da prendere in considerazione ma una cosa è certa è fondamentale avere nei ruoli apicali e istituzionali (in Italia) chi è disposto al dialogo e al confronto senza che si chiuda a riccio per far sì che l'Italia possa contare nei consessi internazionali. di Giulia Cavallari Era il 1978 quando fu varata la legge n. 833 nota a tutti come la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale e il cui principio cardine sarebbe stato quello di garantire una sanità fruibile da parte di tutti. Parliamo del Governo Andreotti IV con Tina Anselmi ministro della Sanità.
Un servizio sanitario basato sul principio della universalità della assistenza sanitaria, sulla solidarietà del finanziamento tramite la fiscalità generale e basato sulla equità di accesso alle prestazioni. Tutti principi che nel corso degli anni hanno perso la loro forza diventando sempre più deboli di fronte allo strapotere della sanità privata. Il varo della legge n. 833 è legato all'attuazione di quanto previsto dall'articolo 32 della Costituzione che al comma 1 recita quanto segue: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti." A distanza di anni purtroppo il nostro Sistema Sanitario Nazionale sta subendo pesanti tagli e di conseguenza i cittadini si trovano a non vedersi garantito e riconosciuto appieno questo diritto che potremmo definire fondamentale. La crisi, che potremmo definire irreversibile, legata soprattutto alla mancanza di fondi che dovrebbero, invece, essere stanziati. Purtroppo va anche rilevato come vi sia una forte disparità tra Nord e Sud dell'Italia perchè nel Sud il Sistema Sanitario Nazionale è in profondo affanno a causa dei tagli, a causa di una (non) gestione da parte delle Regioni arrecando così forti disservizi alla comunità. Anche Svimez ha rilevato come le condizioni del Servizio Sanitario Nazionale presenti un divario sempre più profondo. Stando anche ai dati ISTAT disponibili, il tasso di mortalità infantile entro il primo anno di vita era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, era di 3,3 in Sicilia e 3,9 in Calabria. Già prima del 2020, anno della pandemia, il numero di consultori familiari aveva subito un drastico ridimensionamento rendendo così carenti di questi servizi territoriali di prossimità che sono fondamentali per sostenere e garantire la salute e il benessere sia della madre che del bambino. I dati mostrano come al Sud i servizi di prevenzione, ma anche di cura siano più carenti rispetto al Nord e soprattutto al Sud ciò che danneggia i cittadini è anche il tempo di percorrenza per raggiungere i presidi ospedalieri e ricevere assistenza medica. Al Sud vengono chiusi i reparti per mancanza di personale medico oppure si deve chiedere "aiuto" a personale medico proveniente da Cuba, dal Venezuela e questo comporta anche difficoltà nella comprensione linguistica se si pensa che nel nostro Paese la maggioranza della popolazione è composta da anziani e da coloro che hanno maggiore bisogno di assistenza medica. Si dovrebbe ripartire in maniera più corretta, a livello regionale, il Fondo Sanitario Nazionale tenendo conto dei bisogni di cura nei territori dove si registra un maggiore disagio socio-economico. Va doverosamente rilevato come la recente approvazione della legge sull'autonomia differenziata andrà ad acuire in maniera ancora più evidente e profonda il divario tra le regioni del Nord e le regioni del Sud Italia creando, ancora più di quanto non lo sia oggi, una disparità tra cittadini che vivono a Nord e coloro che vivono al Sud. Stando ai dati resi pubblici dal Centro per la ricerca economica applicata in sanità sono 6,1% le famiglie italiane che si trovano in povertà sanitaria; significa che hanno difficoltà a curarsi, a pagare le spese sanitarie o che addirittura hanno rinunciato ad esse. Nel Mezzogiorno la percentuale di povertà sanitaria riguarda l'8% delle famiglie contro il 4% del Nord Italia: praticamente il doppio. Inoltre, nel Sud Italia si è costretti a registrare un altro dato fortemente negativo e preoccupante e riguarda la prevenzione oncologica. In Italia circa il 70% delle donne (nella fascia di età tra i 50 e 60 anni) si è sottoposta a controlli di prevenzione. Circa 2 donne su 3 lo hanno fatto perchè hanno aderito ai programmi di prevenzione e screening gratuiti. La percentuale di donne raggiunge l'80% al Nord, mentre raggiunge il 59% nel Sud. Un altro fattore che segna il declino del Sud in materia di sanità pubblica è la c.d. "mobilità sanitaria", addirittura si parla di "migranti sanitari". Una vera e propria fuga dal Sud soprattutto nei casi di patologie più gravi. Quindi significa che i cittadini del Sud si recano al Nord per ricevere assistenza medica e sanitaria nelle strutture che ritengono essere maggiormente all'avanguardia nella cura di determinate patologie. Sono sempre più frequenti le "migrazioni sanitarie pediatriche" dal Sud verso il Nord Ancora una volta dobbiamo rilevare la presenza di "due Italie" soprattutto in ambito sanitario con il Nord che va avanti e il Sud sempre più povero che arranca. L'autonomia differenziata tanto cara a Giorgia Meloni e al suo governo porterà al vero e proprio collasso della sanità nelle regioni del Sud segnando il punto di non ritorno in tema di equità in campo medico-sanitario e il riferimento è ai LEA cioè ai Livelli essenziali di assistenza vale a dire le prestazioni sanitarie che le regioni sono tenute a garantire gratuitamente o tramite pagamento di un ticket. La frattura già esistenza si acuirà maggiormente a danno dei cittadini italiani sia che vivano al Nord sia che vivano al Sud. Notizia di qualche ora fa è l'affossamento della legge a prima firma di Schlein sull'aumento delle risorse per la sanità perchè la maggioranza ha approvato una serie di emendamenti soppressivi degli articoli della proposta di legge in questione. La proposta di legge prevedeva per i prossimi 5 anni un incremento graduale dei fondi per il Servizio Sanitario Nazionale fino ad arrivare al 2028 con un finanziamento non inferiore al 7,5% del PIL oltre ad uno stop al tetto di spesa per il personale medico-sanitario e interventi sulle liste d'attesa. La scusa della maggioranza è stata che loro non votano leggi non coperte, eppure per l'autonomia differenziata manca tutta la parte dei LEA e dei LEP (che il governo entro 24 mesi- vale a dire 2 anni- dall'entrata in vigore del DDL dovrà varare decreti legislativi per la determinazione dei livelli e importi dei LEP). Purtroppo parole al vento quelle della maggioranza così come il decreto vuoto che avrebbe dovuto mettere mano alle infinite liste d'attesa della sanità e presentato a gran voce appena prima delle elezioni europee e che nella pratica è una scatola vuota come è stato evidenziato da Cartabellotta (presidente GIMBE) durante l'audizione presso la Commissione Sanità del Senato "non include misure per ridurre la domanda inappropriata di esami diagnostici e visite specialistiche e punta, oltre che su attività ispettive e sanzioni, sul potenziamento dell'offerta di prestazioni sanitarie con ulteriore sovraccarico dei professionisti sanitari che hanno carichi di lavoro già inaccettabili". Quindi la strada è alquanto lunga anche perchè per rendere effettivo il taglio delle liste d'attesa nella sanità servono ben 7 decreti attuativi e soprattutto serve il confronto con le Regioni che fino ad ora è mancato. Insomma tante parole al vento, nel frattempo la sanità affonda e con lei il diritto alla salute degli italiani. di Marco Cappa Lo scorso 20 marzo si è insediato il nuovo Consiglio d’Amministrazione dell’AIFA. Perché è così importante saperlo? Direte voi. Ovviamente non è solo una questione di coscienza civica dato che l’Agenzia Italiana del Farmaco è il più importante ente pubblico a regolare tutto ciò che riguarda i medicinali nel nostro paese; ma soprattutto è importante osservare la composizione di questo nuovo CDA. Come si può apprendere dal sito web dell’AIFA il CDA è composto da quattro membri, più altri due che nonostante lo presenzino non ne fanno parte. La cosa sconvolgente è che tra questi membri nessuna è donna. Il più importante organo regolatore in materia di farmaci non ammette la presenza femminile all’interno della sua dirigenza, o meglio, lo farebbe se non fosse per questo governo.
Arrivati a questo punto potreste pensare che questo articolo sia solo una mera propaganda sinistroide contro l’esecutivo. Vorrei dimostrarvi però che non è così. Come ho già detto il CDA dell’AIFA è composto da quattro membri permanenti, i quali da adesso e per cinque anni saranno solo uomini. Il fatto è che questi membri, come dicono le regole, sono stati nominati dai diversi ministeri del governo. In realtà il governo ne nomina due: il Consigliere designato dal Ministero della Salute, cioè Francesco Fera; e il Consigliere designato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Emanuele Monti. Gli altri due ruoli vengono assegnati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, oggi ricoperti da Angelo Gratarola e Vito Montanaro. Anche nelle due ultime nomine però c’è da storcere il naso. Infatti, la Conferenza Stato-Regioni è composta da: Presidente del Consiglio (Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia), Ministro per gli Affari Regionali (Roberto Calderoli, Lega), i presidenti delle regioni e delle provincie autonome (5 di Forza Italia, 5 della Lega, 3 del PD, 2 di FDI, 3 riconducibili al centro-destra e 2 al centro-sinistra); tenete conto che in questo calcolo non è conteggiata Alessandra Todde, esponente del Movimento 5 Stelle, dato che all’epoca dei fatti non aveva ancora preso in mano le redini della Regione Sardegna. Se contiamo anche la presenza del Ministro della Salute (Orazio Schillaci, indipendente ma comunque parte di questo governo), essendo il tema di sua competenza, arriviamo a un totale di 24 membri di cui la stragrande maggioranza, ben 19, gravitano nel mondo della destra. Alla luce di ciò non è strano pensare che la decisione di assegnare quei ruoli, quelli di Consiglieri nel CDA dell’AIFA, provenga dalle proprie convinzioni ideologiche. Purtroppo, stando ai dati del sindacato Annao-Assomed, il quale tutela i professionisti del campo medico, quello della disparità di genere è un tema molto attuale. Infatti, nel 2020 le direttrici di strutture sanitarie in tutto il paese erano solo il 17,2%. Nel campo della medicina universitaria non va meglio: le ordinarie erano solo il 19,3% mentre le ricercatrici tra il 40 e il 55%. Ma ci sono anche dati provenienti da agenzie indipendenti, come Openpolis, la quale afferma che nel 2024 sono stati rinnovati 115 incarichi nel settore medico ma solo il 29% di questi sono stati assegnati a delle donne. Una situazione, quella della disparità di genere sui luoghi di lavoro, che non riguarda solo il settore medico. Infatti, stando a quanto dice il Global Gender Gap 2023, servono ancora 131 anni affinché in Italia questa differenza si riduca del tutto. C’è da dire però, che quei dati risalivano a diversi mesi fa, prima di diverse decisioni di questo governo. Per esempio, l’esecutivo di Giorgia Meloni ha aumentato l’IVA sui prodotti per la prima infanzia, o ancora peggio, ha aumentato le libertà dei gruppi pro-vita all’interno dei centri per l’aborto. Tutte decisioni che non solo si ripercuoteranno su tutte quelle donne che già vivono numerose discriminazioni sul lavoro, anche socialmente accettate, ma che renderanno nei fatti più difficile l’essere donna nel nostro paese. In attesa di un ricalcolo da parte del Global Gender Gap possiamo affermare una sola cosa: questo governo sta aumentando il divario che esiste tra uomini e donne. Marco Cappa - Giovane Avanti! Roma È guerra aperta in Puglia dopo che Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha fatto saltare le primarie del campo largo in vista delle elezioni comunali di Bari. Ciò, a detta dell’ex Presidente del Consiglio, sarebbe stato causato dal proseguimento dell’inchiesta aperta poche settimane fa a carico di alcuni esponenti del Partito Democratico locale, rei di aver comprato dei voti in due elezioni di piccoli centri del barese. Infatti, a detta di chi sta indagando, le elezioni comunali del 2020 di Grumo Appula e quelle del 2021 di Triggiano, sarebbero state inquinate dalla compravendita di alcuni voti, anche a 50€. Inchiesta che avrebbe portato a dieci indagati e due arresti: Antonio Donatelli, sindaco Dem di Triggiano; e Sandro Cataldo, referente del movimento politico “Sud al centro”. Sarebbe indagata anche Anita Maurodinoia, Assessora regionale ai Trasporti e moglie di Cataldo. Quest’ultima si sarebbe dimessa dalla giunta regionale provocando molte grane al governatore Emiliano, l’unico esponente del PD che all’epoca della segreteria Bersani sosteneva l’utilità di allearsi con il movimento di Grillo, e portando Conte alla rottura con il partito di Schlein.
Una scelta, quella di Conte, che secondo la Schlein faciliterebbe la vittoria alle comunali della destra. C’è da dire che nonostante nel centro-sinistra attualmente ci siano due candidati sindaci, Michele Laforgia (M5S, Italia Viva, Sinistra Italiana, PSI e +EU) e Vito Leccese (PD, Azione e Verdi), il candidato pentastellato starebbe temporeggiando in vista di una possibile ricucitura del campo largo. Comunque, Conte non sembrerebbe intenzionato a far pace con la Schlein, rispondendo alle provocazioni di lei minacciando di far saltare l’alleanza non solo a Bari ma in tutto il paese. A detta di qualche malintenzionato però, la scelta di Conte non sarebbe unicamente giustificata da un senso morale provocato dall’inchiesta per l’inquinamento delle votazioni. Infatti, non è sfuggito a pochi la debolezza del Movimento in questo momento, che nonostante trovi in Puglia una grande base elettorale non può reggere il confronto con il PD. Perciò in questi giorni sta girando la voce, soprattutto negli organi di stampa che fano capo alla destra, di come Conte abbia fatto tutto ciò per evitare di legittimare la leadership Schlein all’opposizione. Infatti, è ormai chiaro come la Meloni veda la segretaria Dem nelle vesti di capo della sinistra e sua principale avversaria. Una legittimazione elettorale, per di più nell’ambito delle primarie del solo campo largo, sarebbe il colpo di grazia che relegherebbe il Movimento 5 Stelle a forza secondaria, per capirci al livello di AVS o dell’ex terzo polo. Un rischio che l’avvocato del popolo non può assolutamente correre dato il mutamento dello scenario politico nazionale, in un quadro in cui oltre al rafforzamento di FDI e PD vediamo anche il delineamento di una seria area liberal al centro. Insomma, osservando bene la situazione pugliese possiamo renderci conto di come i possibili, e ora concreti, rischi del campo largo non deriverebbero dal suo, perdonate il gioco di parole, allargamento ai liberali e ad AVS, come qualcuno immaginava; ma il suo più grande pericolo sarebbe proprio la competizione, che oggi sembra implacabile, tra PD e M5S. Situazione che a qualche nostalgico come me, può ricordare in linea generale quella della frattura insanabile tra PSI e PCI nella Prima Repubblica. Paragone azzardato forse, ma che può restituirci l’idea di un quadro politico, quello che alcuni chiamano “Terza Repubblica”, in cui il campo progressista potrebbe ritrovarsi ad essere irrimediabilmente separato e compromesso. La strada verso gli Stati Uniti d’Europa passa per l’alleanza tra socialisti e liberali, forse10/4/2024 Marco Cappa- Giovane Avanti! Roma Ci sono un socialista, un liberale e un conservatore. Il primo spinge da anni per l’integrazione europea del proprio paese e del suo popolo. Il secondo tiene così tanto all’idea di Unione che organizza una convention per andare verso una federazione continentale. Il terzo invece, a causa del suo irrefrenabile nazionalismo, è ostico all’idea di “UE” e sabota gli altri due. Quanto detto non è una barzelletta ma la realtà dei fatti, la situazione osservabile alla convention del 24 febbraio denominata: “Verso gli Stati Uniti d’Europa, con Emma Bonino”. L’iniziativa, organizzata e promossa da +Europa, ha raccolto il mondo liberale italiano e più in generale i principali attori del centro-sinistra, con la voluta assenza del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi Sinistra, ritenuti troppo distanti dalle istanze europeiste dell’evento. Dicevamo, il dichiarato scopo della convention è stato quello di stilare un programma comune alle forze liberali, con lo scopo di volgere l’opinione pubblica verso il tema del federalismo europeo, caro al partito di Emma Bonino e Riccardo Magi tanto da farne esplicito richiamo nel nome.
La convention, condotta da Alessandro Cecchi Paone, che da decenni bazzica il mondo liberal-radicale, si è aperta con un intervento del segretario di +Europa, Riccardo Magi: "Il salto di qualità deve diventare un obiettivo politico e non tecnico". Chiaro il discorso di Magi: il federalismo europeo non riguarda solo le alte sfere di Bruxelles e Strasburgo, richiamate da numerosi riferimenti all’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi, ma deve comparire sulla bocca di tutti. Un discorso sensato e condivisibile, rimarcato anche dalla presenza, mediante collegamento online, di Beppe Sala. Il sindaco di Milano, più attinente alla sfera d’influenza PD che di +Eu, ha voluto sottolineare come: "In questo momento a Milano si parla d’inquinamento. Ma questo è un tema milanese? È un tema profondamente europeo", e ancora, "siccome nel 2050 l’80% della popolazione vivrà in aree urbane [...] non è giusto che i sindaci siano esclusi dal dibattito". Come intuibile da questo preambolo, sono tanti i temi trattati il 24 febbraio: dall’ambiente alla legalizzazione della cannabis, dagli alleati europei della destra di governo ai temi attinenti alla comunità LGBTQIA+. Tutto per arrivare a una generica ma fondamentale conclusione: "Qual è il nostro modello europeo di riferimento?", come dichiarato dalla coordinatrice di meglio legale, la piattaforma liberale il cui obiettivo è la sensibilizzazione al tema della liberalizzazione della cannabis. All’interno dell’Unione Europea convivono, più o meno pacificamente, 27 nazioni. Il che vuol dire 27 legislazioni diverse, 27 strutture socioeconomiche diverse, 27 percezioni sociali diverse ma soprattutto 27 insiemi di interessi diversi. "L’esigenza di sostenere i bisogni nazionali ha impedito l’adozione di misure lungimiranti" secondo Chiara Favilli, docente di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università di Firenze. Secondo Federico Pizzarotti, ex sindaco di Parma e presidente di +Europa, ciò è causato dalla "mancanza di una dimensione federale" che "impedisce all’Europa di influire sul piano globale". Piano su cui si sofferma anche il co-presidente di Volt Italia: "In America domani potrebbe esserci Trump, non possiamo guardare a Oriente dove c’è la Cina. L’Europa è l’unica cosa che abbiamo". Insomma, gli Stati Uniti d’Europa, così chiamata l’eventuale federazione continentale voluta dal partito di Bonino, sono un fatto di necessità. L’articolo che state leggendo è iniziato con una simil-barzelletta, voluta dal sottoscritto non solo per facilitare e invogliare la lettura di un tema oggettivamente complesso come quello del federalismo europeo. Il suo scopo era anche quello di rendere chiara la natura sì di convenienza dell’evento, per cercare di dare il via al processo fondativo di una macro lista liberale dato che difficilmente +Europa avrà la possibilità di correre alle europee di giugno in solitaria, ma anche l’interesse di numerose forze politiche. I big presenti, oltre alla leader di +Eu Emma Bonino, trattata dai suoi iscritti in un modo che potrebbe ricordare la visione forzista del defunto Silvio Berlusconi, erano: Carlo Calenda, Matteo Renzi ed Elly Schlein. I tre, che condividono un passato travagliato con il Partito Democratico, nonostante la Schlein sia tornata sui suoi passi addirittura vincendo l’ultimo congresso, si sono lanciati in lunghi interventi che, quasi come dei comizi politici, hanno animato la folla presente in sala spostando l’attenzione sulla dichiarata bontà dei loro partiti. Per il mondo socialista, gli Stati Uniti d’Europa "sono un fatto di coerenza", come affermato dal segretario del PSI, Enzo Maraio, anch’egli presente all’evento. Una posizione rimarcata dalla ben più importante presenza della segretaria del PD, e legittimata dal governo come leader de facto dell’opposizione, Elly Schlein. Il suo lungo intervento ha inizio con una citazione di Jean Monnet, considerato uno dei padri dell’Europa unita: "L’Europa si sarebbe forgiata nelle sue crisi e sarebbe stata la somma delle risposte messe in campo". Una dichiarazione che a posteriori potremmo ritenere lungimirante, data la spinta europeista, materiale e valoriale, che è avvenuta nell’immediato post pandemia. "Sono stati stanziati 100 miliardi dopo la pandemia in ambito sociale", situazione che secondo la segretaria Dem sarebbe messa in pericolo nell’ipotesi di una ribalta destroide alle elezioni di giugno. Non mancano gli attacchi al governo: "Sono passati due anni dall’invasione criminale di Putin [...] non ci può essere nessun dubbio [del governo N.D.R.] sull’assoluta responsabilità di Putin". Anche lei, come le numerose formazioni liberali presenti in sala, rimarca la sua posizione sulla guerra in Ucraina e il modo in cui essa è legata al tema del federalismo: "Con nettezza l’Europa deve continuare a sostenere il popolo ucraino con ogni forma di assistenza necessaria. Con la consapevolezza, però, che in questi due anni abbiamo visto troppa poca politica estera e di sicurezza comune" e ancora "bisogna che noi investiamo sul ruolo diplomatico e politico della UE". L’idea di Europa unita, secondo la Schlein, si articola anche con una politica economica più statalista, forse rendendo più difficile la compatibilità con la galassia liberale. Secondo la segretaria c’è bisogno di "una lotta seria contro i paradisi fiscali" e "le tasse si pagano dove si fa profitto e non dove conviene", ribadendo la posizione contraria del PD alla sempre più frequente delocalizzazione degli impianti produttivi. L’ex Terzo Polo invece, sembra meno convinto. Infatti Calenda, segretario di Azione e al momento della convention presente sul suolo ucraino per il secondo anniversario dello scoppio della guerra, sembra sviare il discorso. L’ex ministro nel Governo Renzi ha condito il suo discorso, durato a malapena dieci minuti, di riferimenti alla situazione orientale e all’importanza di sostenere Kiev. "Prima della battaglia per gli Stati Uniti d’Europa dovremmo riscoprire l’orgoglio di essere occidentali", e ancora, "possiamo fare tanti richiami ai padri fondatori, ma oggi è una questione di armi". Di certo Matteo Renzi, ex segretario Dem e ora leader della formazione liberale Italia Viva, non è stato più esaustivo riguardo l’argomento cardine. Sembra che per l’ex Presidente del Consiglio la questione degli Stati Uniti d’Europa sia solo un fatto di strategia politica: "Io sono il primo a parlare di geopolitica, di diplomazia, di munizioni, di globalizzazione. Però c’è una domanda secca: siete disponibili a fare una lista? Si o no?". Molto più frequenti gli attacchi al governo, in particolare al duo Meloni-Salvini (ribattezzato Melonez per l’occasione), che secondo Renzi "dopo Chiara e Francesco" sarà "la prossima coppia che scoppia". Non meno indulgente è stato nei confronti della Schlein con cui ha, a sua detta, "un’affettuosa incompatibilità". Infatti, Renzi mette in dubbio la possibile alleanza PD-M5S, denominata “Campo largo” e iniziata dall’ex segretario Nicola Zingaretti, chiedendosi "come questo suo ideale europeista [di Elly Schlein N.D.R.] possa accompagnarsi con chi alle Nazioni Unite si definisce “sovranista”, come ha fatto Giuseppe Conte". Insomma, gli Stati Uniti d’Europa per alcuni sono un sogno, per altri una necessità e per altri ancora mera strategia politica. Quel che è certo è che se si vuole andare veramente nella direzione tracciata da Emma Bonino e Riccardo Magi, cioè l’alleanza tra liberali e socialdemocratici, non è detto che tutti possano rimanere sulla stessa barca. Forse la simil-barzelletta con cui si è aperto questo articolo (quella del socialista, del liberale e del conservatore) non è del tutto esatta: non è detto che gli avversari del federalismo siano solo conservatori. |